CALTANISSETTA, aprile.
Incontro Leonardo
Sciascia a Caltanissetta, nella città dove, malgrado numerosi
impegni lo costringano spesso a viaggiare, risiede da tanti anni. Al
ritorno da una puntata a Palermo (per una intervista alla TV) e alla
vigilia di una corsa a Catania (per incontrarsi con il regista Landi
che ha messo in scena la riduzione teatrale de Il giorno della
civetta), lo scrittore ha concesso all’Unità questa
intervista.
D. Anche tu, per una
sorta di timidezza, sei sempre stato schivo dall'assumere posizioni
politiche ben definite. Il che non ti ha tuttavia impedito di
individuare e denunziare nelle tue opere alcuni nodi fondamentali, di
ieri come di oggi, della società italiana. Per chi voterai
quest'anno?
R. La domanda potrebbe
turbarmi per il motivo che la detta. Perché si chiede ad un
intellettuale per chi voterà il 28 aprile? Evidentemente perché si
ritiene che, la sua scelta possa orientare in qualche misura la
scelta dell’opinione pubblica. Ebbene anche io sono talvolta
disorientato. E non perché non sappia per chi votare - anzi lo dico
subito: voterò per il Partito Comunista — ma. perché ho alcune
riserve che investono direttamente la mia stessa funzione dii
intellettuale. Se penso alle polemiche in corso nell’Unione
Sovietica sull’arte o ad alcune fasi passate della politica del PCI
in Sicilia, ebbene, questi sono elementi del mio disorientamento. Ma,
se considero il grande balzo del socialismo nel mondo, la battaglia
per la pace che l’Unione Sovietica conduce tenacemente e, per esser
più vicini a noi, la situazione di questi paesi siciliani del
“miracolo”, dove migliaia di giovani lasciano le loro case per
emigrare all’estero, alla ricerca di un lavoro; se considero
questo, allora trovo delle ragioni sicure per esprimere il mio voto e
dichiararlo preventivamente. E questo dico con più diretta
cognizione di causa: altrove, nelle zone più sviluppate del paese,
c’è il rischio di perdere il senso della realtà. A Milano,
insomma, può anche accadere che qualcuno, creda nel «miracolo», ma
non certo a Racalmuto o nella stessa Caltanissetta.
D. La tua condizione
di intellettuale meridionale, a contatto diretto quindi con la
drammatica realtà del Sud, ha influito in maniera fondamentale nella
tua presa di coscienza e nella tua scelta politica?
R. Certamente. Nel
Gattopardo di Lampedusa c’è quella grande e ormai notissima
verità che viene sintetizzata nel concetto del «cambiar tutto
perché non cambi niente». Questo fenomeno assume aspetti
macroscopici sopratutto nel meridione e qui in Sicilia, ma è anche e
più in generale la parola d’ordine dei nostri governanti. Se il
centro sinistra è destinato a realizzarsi sul piano, nazionale così
come si è già realizzato in Sicilia - e tutto lo sta dimostrando —
penso che non si verificherà alcun rinnovamento. Dico
paradossalmente di più: preferirei allora che si tornasse al
centro-destra: avremmo almeno più chiarezza, e la sinistra del PSI
troverebbe forse la forza di reagire a quel che sta accadendo. Per
questo, come .cittadino, combatto la parola d’ordine dei riformisti
e lotto perché cambi tutto, perché cambi tutto davvero. E invece si
gingillano con i piccoli palliativi, per la scuola per esempio, senza
affrontare radicalmente le questioni di fondo della riforma
dell’istruzione. Ma quello della scuola è soltanto un esempio: si
potrebbero citare decine d’altri casi. .
D. Uno di questi casi
potrebbe essere quello della posizione del nostro governo sui
problemi della • pace e della coesistenza pacifica, no?
R. Esattamente. Ci
impongono la stretta collaborazione con i nazisti di Adenauer, con
l’autoritario De Gaulle, e purtroppo con gli assassini franchisti
di Grimau e gabellano lutto questo per “civiltà occidentale e
sicurezza per la pace», senza rendersi conto, i governanti italiani,
che il problema della pace e della coesistenza non si affronta così
e con questi uomini. La nostra è una classe di governo che non ha
assolutamente il senso di quanto sia grande questo problema. E
basterebbe pensare ai missili e alle basi americane, anche qui in
Sicilia, per averne, la riprova; oppure pensare ai tira e molla tra
DC e PSI sul problema del neutralismo... Tutto ciò è privo di senso
quando il Papa, che è il Papa, assume, anche con la recentissima
Enciclica, una posizione così netta ed inequivocabile da tagliar
corto ad ogni discussione, platonica. C’è da concludere che
abbiamo per governanti uomini molto, ma molto più arretrati di
Giovanni XXIll. Il che, ad un uomo fondamentalmente radicale come me,
dà un enorme fastidio, non per la buona volontà di Papa Roncalli,
ma per la ottusa insensibilità dèi governo. Anche per questo dunque
voterò comunista.
D. La tua scelta
politica potrà in qualche modo sorprendere i tuoi lettori?
R. Credo di no; anzi
ritengo che i lettori abbiano sempre ritenuto, sin dalle Parrocchie,
che se pure non ero e non sono un militante comunista, sono certo da
anni molto vicino al Partito Comunista con un colloquio talvolta
critico ma sempre utile e positivo per me. E in un certo senso la
riprova di questo è venuta quando ho scritto Il giorno della
civetta che credo sia il mio libro di maggior impegno rispetto
alla realtà siciliana di oggi. E’ stato un po’ il mio piccolo
contributo alla lotta per l’emancipazione sociale e politica dei
siciliani. Ora che si presenta l’occasione per verificare con il
voto, la mia scelta, la riconfermo.
“l'Unità”, 25 aprile
1966
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