In occasione di una
pubblicazione tedesca dei carteggi di Heine, “Il Contemporaneo”,
il settimanale vicino a Pci diretto da Carlo Salinari e Antonello
Trombadori, molto ortodosso, tradusse e diffuse la lettera qui
“postata”, indirizzata da Heine al poeta e giornalista renano
Georg Weerth, che fu anche redattore della Neue Rheinische Zeitung.
(S.L.L.)
Heinrich Heine |
Parigi, 5 novembre
Carissimo Signor Weerth,
certamente anche a Lei
sarà già capitato di osservare che pensiamo più spesso a coloro
cui, per inerzia, siamo rimasti debitori di una risposta che non a
quelli ai quali scriviamo sempre, senza indugio e alla bell’e
meglio una lettera di cortesia, come per liberarci al più presto di
un’incombenza. Così avviene con Lei, caro Weerth, che mette nella
mia memoria radici ogni giorno più profonde, mentre io mi rimprovero
continuamente di non averLe ancora espresso il mio ringraziamento per
le molte parole cortesi che Lei mi ha rivolto, e particolarmente per
la Sua ultima, divertente lettera. Ma ho sempre atteso un’ora di
salute che non è mai venuta, e oggi finalmente mi sono deciso, non
so neanch’io perché, visto che in questo momento sono più che mai
sofferente e d’umore nero.
Da alcune settimane il
mio stato si è fortemente aggravato, non posso più, con la solita
leggerezza, sperare in un miglioramento e, preparandomi al peggio
cerco di pagare almeno i miei debiti di lettere. Ma estinguo
coscienziosamente anche gli altri debiti, e forse nessun poeta è
morto in tanta rispettabilità filistea come farò io, quando, come
dicono i devoti, il Signore mi chiamerà a sé, alla vita eterna.
Sono contento che la mia
prefazione Le sia piaciuta; purtroppo non ho avuto né il tempo né
la disposizione di spirito per esprimervi quello che appunto volevo
spiegare, e cioè che io muoio da poeta che non ha bisogno né della
religione, né della filosofia e non ha nulla a che vedere né con
l’una né con l’altra. Il poeta intende benissimo l'idioma
simbolico della religione e l’astratto gergo raziocinante della
filosofia, ma né i signori della religione, né quelli della
filosofia comprendono mai il poeta, il cui linguaggio suonerà loro
sempre ostrogoto, come il latino al Massmann. A causa di questa
ignoranza linguistica, gli uni e gli altri hanno creduto che io sia
diventato un baciapile. Essi comprendono soltanto gli aborti a cui
assomigliano, come dice Goethe il cui nome divino mi riempie
d’invidia.
A proposito di Goethe:
qualche tempo fa ho riletto i Colloqui di Eckermann con Goethe
ricavandone un godimento veramente balsamico, tranquillizzante. Li
legga questi due volumi, se ancora non li conosce e nel caso che Le
riesca di trovare il terzo volume di questi Colloqui, che è
stata pubblicato più tardi, cerchi di farmelo avere quando se ne
presenterà l’occasione. Per distendermi in spirito mi dedico
volentieri a letture siffatte; ora leggo soprattutto libri di viaggi
e da due mesi non esco più dal Senegal e dalla Guinea. Proibilmente
è colpa del senso di fastidio che i bianchi m’ispirano, se mi
immergo in questo mondo nero che è davvero molto divertente. I re
negri mi sollazzano di più dei Padri della patria di casa nostra,
sebbene anch’essi non conoscano bene i diritti dell’uomo e
considerino la schiavitù come qualcosa di naturale. Spero che il mio
Romanzero e specialmente il mio Faust Le piaceranno. Dio sa
che non attribuisco grande valore a questi libri e che essi non
avrebbero visto così presto la luce, se Campe non mi avesse messo
sotto torchio.
Sono talmente stordito
dall'oppio che ho preso ripetutamente per placare i miei dolori, da
non rendermi bene conto di che cosa sto dettando. A ciò si aggiunge
che non più tardi di questa mattina è venuto a trovarmi un
imbecille di un connazionale che mi ha intrattenuto in una lunga e
noiosa conversazione; a causa di questo scambio di idee mi sono
rimaste in testa le sue stupide idee, e forse mi occorreranno alcuni
giorni perché io me ne liberi del tutto e possa di nuovo concepire
un pensiero ragionevole. Quell’uomo vedeva tutto grigio — e
questo è anche il suo proprio colore — e diceva che la Germania
sta dinanzi a un abisso ... meno male allora che la Germania non è
un focoso destriero, bensì un prudente quadrupede dalle orecchie
lunghe, che dinanzi all’abisso non conosce vertigini e che può
traquillamente camminare lungo l’orlo dello stesso.
Qui tutto è tranquillo,
solo che recentemente il prefetto di polizia, novello Erode, progettò
contro i nostri innocenti connazionali un'enorme strage, atterrendo
gravemente i poveri piccoli. Si dovettero recare tutti alla polizia e
comprovare l’esistenza che qui conducono, il che era molto
difficile per taluni che non possiedono né un’esistenza, né mezzi
di esistenza. Quell’Erode riteneva che fra di noi ci fosse un
Redentore politico, e la delazione viene purtroppo da un uomo che non
manca di istruzione, che è perfino un letterato. Sono cose
dannatamente terribili e repugnanti. Rabbrividisco al pensare che
persone come queste abbiano potuto venirmi vicino per anni. Com’è
terribile l’esilio! Tra le sue avversità più tristi è il fatto
che esso ci fa capitare in una cattiva compagnia che non possiamo
evitare, se non ci vogliamo esporre a una coalizione di tutti i
mascalzoni. Come sono toccanti i lamenti dolorosi e in pari tempo
irati che Dante dedica a questo tema nella Divina Commedia! Addio,
caro amico! e rimanga serenamente affezionato
al Suo. devotissimo
Heinrich Heine
“Il
Contemporaneo”, 31 marzo 1956
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