18.2.18

“Com’è terribile l’esilio!” Una lettera di Heinrich Heine del 1851

In occasione di una pubblicazione tedesca dei carteggi di Heine, “Il Contemporaneo”, il settimanale vicino a Pci diretto da Carlo Salinari e Antonello Trombadori, molto ortodosso, tradusse e diffuse la lettera qui “postata”, indirizzata da Heine al poeta e giornalista renano Georg Weerth, che fu anche redattore della Neue Rheinische Zeitung. (S.L.L.)
Heinrich Heine

Parigi, 5 novembre
Carissimo Signor Weerth,
certamente anche a Lei sarà già capitato di osservare che pensiamo più spesso a coloro cui, per inerzia, siamo rimasti debitori di una risposta che non a quelli ai quali scriviamo sempre, senza indugio e alla bell’e meglio una lettera di cortesia, come per liberarci al più presto di un’incombenza. Così avviene con Lei, caro Weerth, che mette nella mia memoria radici ogni giorno più profonde, mentre io mi rimprovero continuamente di non averLe ancora espresso il mio ringraziamento per le molte parole cortesi che Lei mi ha rivolto, e particolarmente per la Sua ultima, divertente lettera. Ma ho sempre atteso un’ora di salute che non è mai venuta, e oggi finalmente mi sono deciso, non so neanch’io perché, visto che in questo momento sono più che mai sofferente e d’umore nero.
Da alcune settimane il mio stato si è fortemente aggravato, non posso più, con la solita leggerezza, sperare in un miglioramento e, preparandomi al peggio cerco di pagare almeno i miei debiti di lettere. Ma estinguo coscienziosamente anche gli altri debiti, e forse nessun poeta è morto in tanta rispettabilità filistea come farò io, quando, come dicono i devoti, il Signore mi chiamerà a sé, alla vita eterna.
Sono contento che la mia prefazione Le sia piaciuta; purtroppo non ho avuto né il tempo né la disposizione di spirito per esprimervi quello che appunto volevo spiegare, e cioè che io muoio da poeta che non ha bisogno né della religione, né della filosofia e non ha nulla a che vedere né con l’una né con l’altra. Il poeta intende benissimo l'idioma simbolico della religione e l’astratto gergo raziocinante della filosofia, ma né i signori della religione, né quelli della filosofia comprendono mai il poeta, il cui linguaggio suonerà loro sempre ostrogoto, come il latino al Massmann. A causa di questa ignoranza linguistica, gli uni e gli altri hanno creduto che io sia diventato un baciapile. Essi comprendono soltanto gli aborti a cui assomigliano, come dice Goethe il cui nome divino mi riempie d’invidia.
A proposito di Goethe: qualche tempo fa ho riletto i Colloqui di Eckermann con Goethe ricavandone un godimento veramente balsamico, tranquillizzante. Li legga questi due volumi, se ancora non li conosce e nel caso che Le riesca di trovare il terzo volume di questi Colloqui, che è stata pubblicato più tardi, cerchi di farmelo avere quando se ne presenterà l’occasione. Per distendermi in spirito mi dedico volentieri a letture siffatte; ora leggo soprattutto libri di viaggi e da due mesi non esco più dal Senegal e dalla Guinea. Proibilmente è colpa del senso di fastidio che i bianchi m’ispirano, se mi immergo in questo mondo nero che è davvero molto divertente. I re negri mi sollazzano di più dei Padri della patria di casa nostra, sebbene anch’essi non conoscano bene i diritti dell’uomo e considerino la schiavitù come qualcosa di naturale. Spero che il mio Romanzero e specialmente il mio Faust Le piaceranno. Dio sa che non attribuisco grande valore a questi libri e che essi non avrebbero visto così presto la luce, se Campe non mi avesse messo sotto torchio.
Sono talmente stordito dall'oppio che ho preso ripetutamente per placare i miei dolori, da non rendermi bene conto di che cosa sto dettando. A ciò si aggiunge che non più tardi di questa mattina è venuto a trovarmi un imbecille di un connazionale che mi ha intrattenuto in una lunga e noiosa conversazione; a causa di questo scambio di idee mi sono rimaste in testa le sue stupide idee, e forse mi occorreranno alcuni giorni perché io me ne liberi del tutto e possa di nuovo concepire un pensiero ragionevole. Quell’uomo vedeva tutto grigio — e questo è anche il suo proprio colore — e diceva che la Germania sta dinanzi a un abisso ... meno male allora che la Germania non è un focoso destriero, bensì un prudente quadrupede dalle orecchie lunghe, che dinanzi all’abisso non conosce vertigini e che può traquillamente camminare lungo l’orlo dello stesso.
Qui tutto è tranquillo, solo che recentemente il prefetto di polizia, novello Erode, progettò contro i nostri innocenti connazionali un'enorme strage, atterrendo gravemente i poveri piccoli. Si dovettero recare tutti alla polizia e comprovare l’esistenza che qui conducono, il che era molto difficile per taluni che non possiedono né un’esistenza, né mezzi di esistenza. Quell’Erode riteneva che fra di noi ci fosse un Redentore politico, e la delazione viene purtroppo da un uomo che non manca di istruzione, che è perfino un letterato. Sono cose dannatamente terribili e repugnanti. Rabbrividisco al pensare che persone come queste abbiano potuto venirmi vicino per anni. Com’è terribile l’esilio! Tra le sue avversità più tristi è il fatto che esso ci fa capitare in una cattiva compagnia che non possiamo evitare, se non ci vogliamo esporre a una coalizione di tutti i mascalzoni. Come sono toccanti i lamenti dolorosi e in pari tempo irati che Dante dedica a questo tema nella Divina Commedia! Addio, caro amico! e rimanga serenamente affezionato
al Suo. devotissimo
Heinrich Heine


“Il Contemporaneo”, 31 marzo 1956

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