Nell'agosto del 1968, a
Praga, alla vigilia dell'intervento dei carri armati sovietici,
Angelo Maria Ripellino, lo slavista e poeta siciliano, intervistò
Milan Kundera sulla situazione cecoslovacca. Il testo venne
ripubblicato un ventennio più tardi da “Repubblica”, onde l'ho
tratto. (S.L.L.)
Milan Kundera in una foto dell'ottobre 1968 |
RIPELLINO. Non temete che
tutte le conferenze e i convegni e le dichiarazioni, mentre
rafforzano il blocco socialista, allontanino la Cecoslovacchia dalla
sua funzione storica di mediatrice tra l'Occidente e l'Oriente?
KUNDERA. Creare
finalmente un paese in cui si possa vivere da uomini liberi, è per
il movimento socialista più importante che rafforzare esternamente
la salvezza del blocco. Vivere da uomini significa anche vivere a
proprio modo. La Cecoslovacchia è stata sempre, in passato, un
attivo punto d' incontro di varie tradizioni culturali. Il blocco
socialista s' è sforzato di uniformare tutto, e così ha imbrigliato
questa nostra ricchezza culturale. E' come se la fisionomia di questo
paese fosse stata cancellata.
RIPELLINO. In che
consiste, secondo voi, il futuro compito della libera Cecoslovacchia
in Europa? KUNDERA. Essere se stessi. Quello che chiamiamo il blocco
socialista non è soltanto una costrittiva alleanza militare; è
anche una politica interna, una stampa, una cultura, una scuola, un
pensiero, un linguaggio ugualmente imposti dall'alto. Questa
sovietizzazione che livella i valori è anticulturale allo stesso
modo in cui lo è l'americanizzazione in altra parte del mondo. Se un
piccolo popolo troverà forze sufficienti di ribellarsi a queste
tendenze uniformatrici e ad essere autonomo, renderà un enorme
servizio non solo a se stesso, ma a tutti.
RIPELLINO. Qual è
l'opinione di “Literarni Listy” in merito alla pluralità di
partiti in un sistema socialista?
KUNDERA. Finora la
pluralità delle opinioni si registra all' interno del partito
comunista più che in una dialettica fra comunisti e rappresentanti
di altri partiti. Non saprei prevedere che cosa succederà in
seguito.
RIPELLINO. Possiamo dire
che esiste un certo nesso tra la calma di cui oggi dà prova il
popolo cecoslovacco e la tradizionale finzione del soldato di Bertold
Brecht, Svejk, simbolo di prudenza? Se l'attuale serenità non è in
un certo senso una variante di quell'eterna categoria che chiamiamo
svejkismo?.
KUNDERA. Anch'io penso
che esista un nesso tra la sobria tranquillità, la prudenza e la
calma attuale del nostro popolo, e il famigerato eccesso cecoslovacco
di cautela, di tendenza al compromesso e di avversione al rischio e
alla lotta. È paradossale che questa infelice e ripugnante
tradizione di cautela abbia assunto d'improvviso una funzione così
positiva: perché ha impedito al nostro grande fratello, il quale
nelle nuove situazioni si muove sempre molto goffamente, di ripetere
ciò che aveva sperimentato a Budapest.
“la Repubblica”, 2
dicembre 1989
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