Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al Faro, in
quelle
parti ove s’ode beatamente il suono
d’una squilla, la voce d’un
fanciullo
che gioca in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all’ampio
mare
solo seduto; io giunsi, se non erro,
a un culmine del mio dolore umano.
Tra i sassi che prendevo per lanciare
nell’onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio), un coccio ho
rinvenuto,
un bel coccio marrone, un tempo gaia
utile forma nella cucinetta,
con le finestre aperte al sole e al
verde
della collina. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.
Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. Io della
morte
non desiderio provai, ma vergogna
di non averla ancora unica eletta,
d’amare più di lei io qualche cosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso.
Da L’amorosa spina (1920) in Il Canzoniere. Einaudi, 2000
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