“L'Unità” pubblicò
la lettera che segue nell'ottobre del 1964, alla vigilia di elezioni
amministrative che riguardavano Milano e Roma, le due città più
popolose d'Italia. Non so dire se ne sia l'autore il non meglio
conosciuto Rag. Teofilo Barenghi, di cui si legge la firma, qualcuno
dei redattori o lo stesso direttore del quotidiano del Pci, Mario
Alicata. Essa contiene una critica all'incipiente “consumismo”
nell'Italia appena uscita dal “miracolo economico” che non manca
di ingenuità e di debolezze argomentative, ma nondimento è
significativa di un passaggio importante della nostra storia
nazionale. (S.L.L.)
Perchè io servo
l’auto e l’auto non serve me? - Da consumatore a «consumato» e
da uomo a «utente» - Motivi di una ribellione
Caro direttore,
permetti a un uomo della
strada di dire la sua su questo «pazzo pazzo pazzo mondo», sulle
elezioni in corso e su altre questioni connesse. Voglio precisare
subito che se mi qualifico «uomo della strada» questo non significa
che io sia un barbone tipo «Miracolo a Milano». Non ho né toppe ai
calzoni né buchi nelle scarpe. Porto una dignitosissima camicia
bianca, sebbene l'ultima moda di Sanremo prescriva per il giorno
camicie di tinta pastello. Ma alle mode io non ci bado troppo. Sono
un abitudinario, non mi piacciono le avventure. Per questo per
abitudine e innato spirito di moderazione, ho sempre votato per la
Democrazia Cristiana, che mi prometteva «progresso senza avventure».
Non che la Democrazia
Cristiana, come partito, mi piacesse un gran che. Al contrario, certe
mescolanze di politica, affari e religione mi hanno sempre messo in
sospetto. Mi consolavo pensando che la politica «è una cosa
sporca», e per evitare il peggio votavo per la Democrazia Cristiana.
E ora non verrò a dirti che non voterò più per quel partito perchè
sono diventato, improvvisamente, un rivoluzionario. La questione è
un’altra. La questione precisa, anzi, è che io non so più bene
che cosa sono diventato, ma è certo che per la DC non voto più.
A prendere nota dei
particolari la mia condizione sembrerebbe migliorata, e non di poco.
Ero un pedone, ed ora ho la macchina. In casa ho il televisore, il
frigorifero, la lavatrice. Dovrei star meglio di una volta, no? E in
un certo senso sto meglio. Ma in un altro senso sto come peggio non
si potrebbe. Spiegami un po’ tu questo mistero.
Ho l’automobile. L’ho
comprata perché tutti la comprano. Ho l’impressione che tutti la
compriamo perché si desidera che la compriamo, si fanno le
autostrade per farci desiderare la macchina, ostinarsi a fare il
pedone sa addirittura di disfattismo. Ma intanto, che cosa succede?
Quattro volte al giorno, nei viaggi tra casa e bottega, eccomi
imbottigliato nel traffico, cucito a doppia catena a una fila
spaventosa di macchine che procedono come condannati al patibolo.
Condannati a che? A quale
patibolo? Non lo so. So che ci guardiamo in faccia e ci vediamo come
siamo: tra ossessi e rassegnati, tra abulici e sul punto di sparare.
La colonna marcia come vuole, indipendentemente dalla volontà dei
singoli incolonnati. Ogni tanto mi chiedo: «Ma perché mi trovo qua
dentro? Che cosa faccio? ». “Eh, che cosa faccio... È semplice:
do il mio contributo al progresso dell'automobilismo, all'incremento
della produzione nazionale; sacrifico alla Dea della Motorizzazione.
Io cosa c’entro? Io sono quello che paga le tasse
d’immatricolazione, le multe per sosta vietata, la benzina, sono
quello che mantiene il mercato dei pezzi di ricambio. Insomma, non so
più se mi trovo dentro un’automobile o dentro una trappola. Io
propongo, il Traffico dispone. Ma tiriamo avanti. Ecco gli
elettro-domestici, l’appartamento, il sogno della casetta, del
ritiro in campagna per trascorrere qualche ora alla settimana lontano
dal fracasso, dai duelli all’ultimo colpo d’acceleratore. Ed ecco
le scadenze. Scadenze di cambiali, di mutui, di prestiti privati.
Forse guadagno il doppio di dieci anni fa, ma sono indebitato del
triplo. Per chi lavoro? Lavoro per la banca, per la fabbrica di
televisori, per i magnati dell'edilizia, per il dazio sui fabbricati,
per il fisco. E guarda che tutto ciò non accade per colpa mia. Ci
sono stato tirato dentro per i capelli. Se non contribuivo
all'espansione dei consumi ero un nemico della patria. E allora sotto
con i consumi e con i superconsumi: con il risultato che l’autentico
consumato sono io e la sola vista del calendario mi dà i brividi.
Esso mi compare di notte, come compaiono i fantasmi nei castelli
scozzesi. Sono una marionetta nelle sue mani: paga qui, paga là,
datti da fare per questo, datti da fare per quello... Io docile, io
obbediente, io buon cittadino, ho applicato alla lettera i
comandamenti della pubblicità, mi sono lasciato prendere nel «boom»
prima un dito, poi tutta la mano, e adesso ci sono dentro tutto
quanto, con le ossa stritolate e il fegato in pericolo.
Quand’è il venti del
mese in casa si sospende il vino, si riduce la frutta, si fa la spesa
per telefono, così il droghiere e il salumiere sono costretti a
«segnare». Dal venti al trenta si sospende addirittura l’acquisto
delle puntate - settimanali dell’enciclopedia illustrata, che è la
passione dei ragazzi, per non dover tirar fuori quelle due, trecento
lire: così alla fine del mese bisogna comprare due-tre puntate tutte
insieme, e i soldi se ne vanno di corsa.
Chiudo l’intermezzo dei
prezzi. Torno a parlarti delle cento forme della mia schiavitù. Eh,
sì, perché io non sono tanto il proprietario della mia automobile,
quanto lo schiavo suo, e di tutto quel che c'è dietro. Tiranni
domestici sono i miei elettrodomestici. Tiranno anonimo è la banca
che ha fatto il mutuo sull'appartamento. (E a proposito, ci siamo
andati, io e mio fratello, in banca, con la candida intenzione di
farci prestare qualche soldino per la casetta in campagna. Ci hanno
semplicemente, anche se molto amichevolmente, riso in faccia. Ci
hanno spiegato molto bene che le banche danno i soldi a chi ne ha già
tanti, non a chi non ne ha. A chi non ha soldi non si dà nemmeno
l’ombrello se piove). Tutti comandano, nella mia vita di ogni
giorno. E io? Come dicevo prima: che cosa sono diventato, io?
Speravo di rifarmi con le
ferie. Ah, che beltà cosa le vacanze. Che bella cosa, sentirsi
simili ed uguali, sia pure per pochi giorni, ai signori di una volta,
che lasciavano Milano d’estate per le ville in Brtanza, o che da
Roma si trasferivano nella villa ai Castelli. Sì, bravo! Per prima
cosa le ferie le devi fare quando le fanno tutti gli altri, sicché
trovi la stessa folla al mare che in città, gli stessi ingorghi del
traffico in vai d’Aosta che in piazza del Duomo o al Tritone. È
colpa della macchina. La macchina degli affari, del lavoro, della
civiltà, via. La macchina si ferma solo in agosto. Ti lascia un po'
direspiro solo quando lo lascia a tutti. Così, anche quel po’
d’aria di montagna o quel po’ di sabbia al mare te le devi andare
a cercare in mezzo alla folla. E così, sempre a camminarsi sui
piedi, sempre a fare gomitate anche in vacanza. Per andare dove, poi?
Bisogna andare dove vanno
le strade, perché c’è l’automobile Le strade vanno dove ci sono
gli alberghi. E tu, finisce che vai dove qualcun altro ha deciso,
disposto e organizzato che tu andassi. Tutto questo si chiama
«turismo di massa»: una fatica che dopo le ferie, per riposarsi,
bisognerebbe prendere un mese di malattia. Ma non si può, perché il
mese dopo le ferie, come tutti sanno, è il più magro: e già
bisogna cominciare a mettere insieme i soldi per le feste, che
arrivano tanto in fretta, e che sono un obbligo inderogabile, un
imperativo categorico, insomma, un mostro e un tiranno anche loro.
Anche babbo Natale, che ti costringe a comprare ciò che è stato
fabbricato solo perché tu lo comprassi, e a comprare nel giorno
stabilito, il giorno che il calendario assegna alla distruzione delle
tredicesime. Tutto organizzato, tutto calcolato, tutto montato alla
perfezione, come un robot meccanico. E tu esci da una macchina solo
per essere infilato in un’altra, come un gettone.
Tutto questo gran
meccanismo, questa macchinò che mi comanda a colpi di «compra!
mangia! mettiti in viaggio! ingrana la quarta! », eccetera, ogni
tanto si guasta. Ma guarda, combinazione, non si guasta mai la
macchina .. che mangia t tuoi quattrini. Però si guastano le
condutture dell’acqua. A Roma siamo stati tutta l'estate, fino alla
fine di settembre, con l’acqua razionata. Certi giorni, se perdevi
il conto dei comunicati e dei turni, ti toccava di lavarti a secco,
come si lavano i panni in tintoria. A Roma, capitale d’Italia, in
piana estate, l’acqua si distribuisce col contagocce, come dopo un
bombardamento aereo, come il giorno dopo di un’esplosione atomica.
Non è una cosa insensata?
È vita, questa? È vita
per uomini? Siamo ancora uomini, poi? Questo è il dubbio che mi
prende sempre più spesso. Ed è un dubbio che non riguarda i
dettagli, i particolari, ma il fondo, le fondamenta di questa
società. Essa mi si presenta come la società fondata sui diritti
dell’individuo, sulla difesa della persona umana. Ma in realtà sta
riducendo l’uomo, il celebrato “homo faber” a un utente senza
volontà propria, vissuto dalle cose che lo dominano, spinto,
diretto, stiracchiato, malmenato, stritolato giorno per giorno da un
meccanismo su cui non può influire; e quanto alla persona,
semplicemente la distrugge, perché le riconosce solo il diritto di
comprare e pagare.
Di chi la colpa, signor
direttore?
Del solito «mondo cane»?
Sarà, ma non mi soddisfa. Ci deve essere pure chi tiene in mano le
chiavi di questo finimondo. E, sul piano politico-amministrativo,
diciamo così, mi risulta che le chiavi della mia «alienazione» le
tengono democristiani e padroni del vapore, che se non sono DC sono
PLI. "Voterò dunque, ardentemente, contro chi li contesta di
più, questi fabbricanti di nevrosi, turbatori della mia quiete
nervosa. E chi li contesta di più questi prevaricatori? Chi fa loro
la criticuzza il sabato per poi abbozzare la domenica? Non mi pare.
Dunque voterò per voi, per voi comunisti, caro direttore, perché
essendo stato infinocchiato più volte con la storia del «progresso
senza avventure» non voglio, Dio liberi, cascare ancora una volta in
ciò che mi sembra assolutamente un’avventura senza progresso.
Cordialmente,
Rag. TEOFILO BARENGHI
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