Niccolò Bambini (1651-1736), Enea racconta a Didone la distruzione di Troia - Macerata, palazzo Bonaccorsi |
Il lettore che inizia il
libro II dell’Eneide non ha dubbi sul fatto che il
protagonista del poema sia destinato a un grande futuro sul suolo
italico. Lo dice la leggenda, naturalmente, e Virgilio stesso nel
proemio ha già dichiarato come, dopo tante sofferenze, Enea dovesse
portare gli dèi troiani nel Lazio, gettando le fondamenta per le
«mura dell’alta Roma». Adesso, però, questo eroe vincitore è
invitato dalla regina Didone a «rievocare un dolore indicibile»,
come è lui stesso a dire nel celebre attacco (infandum, regina,
iubes renovare dolorem). Si intravede il futuro in cui Enea, con
i suoi alleati, vincerà la guerra contro i popoli latini, ma per il
momento lo ascoltiamo narrare, nella reggia di Didone, i luttuosi
eventi della notte in cui Troia cadde, cioè la sua più grande
sconfitta come capo guerriero.
L’evento «mitistorico»,
con cui nel libro II Virgilio si confronta, è enorme, il vero
archetipo della «distruzione della città», e, per giunta, nemmeno
trattato distesamente nei due poemi maggiori di Omero. Che si tratti
di una prova notevole per un narratore epico, Virgilio lo lascia
intendere anche per il modo con cui la prepara, già in più punti
del libro I, creando una forte tensione narrativa. Quando, in
apertura di libro, Enea inizia a parlare, qualunque lettore, al pari
dei convenuti al banchetto di Didone, non può far altro che
rivolgergli tutta la propria attenzione («Tutti tacquero, e
fissavano attenti i suoi sguardi su lui»). Perché Virgilio, di
fronte al difficilissimo compito di raccontare come va a finire la
vicenda dell’Iliade – «completando» Omero – ha scelto
di aiutarsi con Omero stesso: come avveniva con il protagonista
dell’Odissea, che presso i Feaci raccontava le proprie traversie,
Virgilio adesso lascia la parola a Enea, che dell’ultima notte di
Troia può parlare come di un fatto vissuto in prima persona e ancora
di attualità. Non poteva darsi un modo migliore, per il poeta epico
latino, di innestarsi nel pieno della dimensione eroico-omerica.
Non mancavano, in realtà,
testi e tradizioni varie che Virgilio e i suoi lettori avevano
sicuramente a disposizione sull’argomento (e oggi sono perduti):
l’inganno del Cavallo e la caduta della città erano raccontati in
due poemi ciclici, la Piccola Iliade e la Distruzione di
Troia (Ilioupersis). Ma qui Virgilio è voluto risalire al
momento in cui tutti quei racconti, notizie di un passato appena
trascorso, iniziavano a diffondersi sulle varie sponde del
Mediterraneo. Tra le anticipazioni contenute nel libro I, ce n’è
addirittura una che viaggia sul piano comunicativo più diretto e
immediato, quello delle immagini: da poco sbarcato in terra d’Africa,
Enea si accorge, non senza qualche meraviglia, che alcuni tra i fatti
di Troia sono rappresentati nelle pitture che adornano il tempio di
Giunone a Cartagine (l’artista, anzi, deve essere stato piuttosto
abile e informato, perché Enea si riconosce senza difficoltà in una
delle figure [se quoque… adgnovit]). E adesso tocca proprio a Enea,
in prima persona, raccontare come siano andate le cose, rispondere
alle curiosità della regina, che verso la conclusione del libro I
gli si rivolge con animo ormai già sotto l’effetto di Cupido.
Prospettiva del
narratore
Quello di Enea, però,
non è un racconto facile, e non solo per la dolorosità (renovare
dolorem…) della vicenda. È stato uno tra i grandi meriti di
Richard Heinze, illustre studioso tedesco di Virgilio (1867-1929),
essersi posto nella prospettiva del narratore per comprendere al
meglio le difficoltà cui era esposto chi volesse raccontare la
caduta di Troia dal punto di vista dei fuggitivi. Tanto Enea, che
degli eventi fu protagonista e vittima, quanto il poeta dell’Eneide
che gli dà voce, devono riuscire nell’impresa di raccontare – in
una modalità dignitosamente eroica – come fosse potuto avvenire
che i Troiani cadessero in un inganno come quello del Cavallo, di per
sé non proprio irresistibile, e come il grande Enea, mentre la sua
città bruciava, avesse trovato la via per salvarsi, scampando a
quella morte onorevole, in battaglia, cui invece tanti suoi compagni
erano andati incontro. Già in un frammento della Guerra punica
del predecessore repubblicano, Nevio, la necessità di un chiarimento
su questo punto sembra essere espressa in modo piuttosto diretto, ma
non senza, significativamente, qualche riguardosa cautela (si è
pensato, senza però argomenti decisivi, che il soggetto potesse
essere proprio Didone, intenzionata a stimolare il racconto
dell’eroe): blande et docte percontat, Aenea quo pacto / Troiam
urbem liquerit «con blandizie e sapienza si informa sul modo in
cui Enea / abbia lasciato Troia».
Del grande libro di
Richard Heinze (La tecnica epica di Virgilio [Teubner
1915,terza ed., trad. ital. il Mulino 1996]) sono eredi, in varia
misura, tutti i più avveduti interpreti e critici virgiliani degli
ultimi cento anni e sulla sua scia si pone adesso il nuovo commento
al libro II di Sergio Casali (Virgilio, Eneide 2,
introduzione, traduzione e commento a cura di S. C.), primo volume
della collana «Syllabus», con cui le Edizioni della Normale di Pisa
si propongono di fornire, alla scuola e all’università italiane,
commenti ai testi classici che coniughino la solidità scientifica
alla chiarezza espositiva, come dichiarato da Gianpiero Rosati nella
Premessa. E indubbiamente questo libro dell’Eneide si presta
particolarmente ad essere letto e studiato da giovani ancora in fase
di formazione: si può dire che Virgilio abbia vinto la sua
scommessa, perché la sua «continuazione» dell’Iliade si è
da sempre imposta come un classico della scuola. Un successo
ininterrotto dall’antichità fino a oggi, di cui sono testimoni le
numerose citazioni o reminiscenze del libro II negli autori antichi e
moderni, come già nei testi epigrafici o nei graffiti pompeiani. E
fu questo libro dell’Eneide che piacque di tradurre al
giovane Leopardi, il quale così, con schietto latinismo e un poco
faticosamente, rendeva in endecasillabi l’attacco di Enea:
«Infando, / o regina, è il dolor cui tu m’imponi / che
rinnovelli».
Proprio su di un testo
come questo, Sergio Casali è interprete particolarmente qualificato
e prezioso: e non soltanto per la sua ormai lunga esperienza negli
studi virgiliani, che ha prodotto molti contributi importanti, ma
soprattutto per la salutare intransigenza che lo caratterizza e che
gli permette di leggere anche il testo più celebrativo (e celebrato)
osservandone in controluce tutte le piegature, ricostruendo il
lavorio di selezione con cui il poeta ha voluto indirizzare il
lettore tra le tante tradizioni, senza escludere quelle scomode e,
talvolta, soggette a censura. Grande esperto della tradizione
esegetica virgiliana, a partire da quella antica fino a quella
moderna (questa, in particolare, rilanciata dal commento del gesuita
Juan Luis de La Cerda, 1612), sensibile agli approcci più aggiornati
degli studi classici, Casali si inserisce appunto nel gruppo dei
commentatori più capaci di seguire il testo virgiliano nelle sue
problematicità: sovvengono i nomi di Philip Hardie, Stephen
Harrison, Nicholas Horsfall, Richard Tarrant, Alfonso Traina. Una
tale raffinatezza esegetica non va disgiunta, però, dalla solidità
filologica, che approda nel volume a una revisione critica del testo,
fondata sulle principali edizioni (quelle di Roger Mynors, Mario
Geymonat e, soprattutto, Gian Biagio Conte), e che al contempo
produce un apparato critico autonomo e originale.
Il commento di
Horsfall
Non c’è dunque da
dubitare che questo nuovo commento al libro II si imponga sia
all’attenzione degli studiosi, come un prezioso strumento di
riferimento e stimolo per la ricerca, sia, secondo gli obiettivi
della collana, al pubblico dei lettori italiani, soprattutto nel
contesto di scuole e università. Il più recente commento al libro
II, infatti, pubblicato esattamente dieci anni fa (Brill, 2008), è
quello in lingua inglese del già ricordato Horsfall, uno tra i più
produttivi e instancabili studiosi di Virgilio dei nostri tempi:
esso, però, per dimensioni (e prezzo…), per l’approccio
ultra-specialistico e per il modo stesso dell’annotazione, molto
tecnico (a rischio talvolta di riuscire criptico o «iniziatico»),
non si presta all’adozione presso le università e tantomeno le
scuole italiane. Piuttosto, per le sue caratteristiche di formato e
approccio, il commento di Casali potrebbe invitare al confronto con
quello oxoniense di Roland Austin (in inglese), ovvero con quello
italiano, ma più limitato nei suoi obiettivi, di Feliciano Speranza.
Basti dire, però, che entrambi questi commenti, pubblicati tutti e
due nel 1964, sono ormai inevitabilmente carenti sul piano
dell’aggiornamento bibliografico – tanto più quando si pensi
all’enorme vitalità degli studi virgiliani nell’ultimo
cinquantennio.
Se, dunque, il commento
di Casali restituisce al lettore un testo spiegato con precisione e
cura, anche tramite una traduzione in prosa estremamente affidabile,
riesce cioè a produrre un’esegesi chiara e documentata,
oggettivamente utile, il Virgilio che emerge da questa impresa
interpretativa è un autore complesso, che non mira ad appianare le
contraddizioni con cui egli stesso si trovò a confrontarsi durante
la stesura di un poema epico su quell’esule sconfitto, che
abbandona la sua città in fiamme e poi diventa eroe nazionale di
Roma. In un caso in particolare, come dicevamo (è la proficua
intuizione di Heinze), il poeta Virgilio e il narratore Enea sono
solidali, quando si tratta di spiegare come sia stato possibile che
la trovata del Cavallo abbia funzionato. Non è stata soltanto
l’astuzia umana, di Ulisse e di Sinone, a ingannare Enea e i suoi
concittadini, ma – come Casali mostra – allo scopo è riuscito
decisivo l’intervento divino: i due serpenti marini che uccidono
Laocoonte (figura introdotta nella tradizione relativamente tardi,
per rispondere alla necessità che almeno ad un Troiano venisse in
mente di seguire le più ovvie procedure di sicurezza in tempo di
guerra) devono essere inevitabilmente interpretati dai Troiani come
una conferma di veridicità, proveniente dagli dèi, che avvalori il
discorso di Sinone, di per sé tutt’altro che lineare e privo di
contraddizioni.
Giustificazione
morale
Per questa via dunque,
secondo l’interpretazione di Casali, la vicenda del Cavallo si
connette direttamente al tema cruciale del libro II, posto a
fondamento della giustificazione morale e ideologica indispensabile
per l’eroe Enea, e che così può riassumersi: Troia è caduta ed
Enea è fuggito, salvando i Penati, perché questa era la volontà
divina. Qui Virgilio, poeta epico della Roma augustea, doveva fare i
conti con tradizioni ostili già consolidate, sorte nella cultura
ellenistica e stimolate da sentimenti antiromani, che mettevano in
dubbio l’eroismo di Enea, facendone addirittura un traditore,
salvatosi perché, nelle parole dello storico greco Menecrate di
Xanto, era diventato «uno degli Achei». Che Virgilio avesse da
«difendere» il proprio eroe, seppure con la sovrana astuzia
narrativa di lasciare a lui stesso (e alla sua responsabilità…)
l’onere del racconto in prima persona, è evidente nella
sovrabbondanza di temi e trovate che ne giustificano le azioni:
l’apparizione notturna di Ettore, che (lui, colonna della città e
morto per essa) lo esorta a lasciare Troia, ma il cui suggerimento
Enea decide di non accogliere, cercando la morte in battaglia con un
furor quasi suicida; l’intervento della madre Venere, che in una
grandiosa apocalissi gli rivela come gli dèi stessi si stiano
accanendo contro Troia, e quindi lo convince a correre in aiuto della
sua famiglia; l’ostinazione del padre Anchise, determinato a farsi
uccidere dal nemico, il quale torna così a impersonare l’idea
omerica dell’autoimmolazione e in effetti induce Enea a voler
tornare in battaglia, tanto che soltanto, ancora una volta,
l’intervento divino, con il prodigio delle fiamme sul capo di
Ascanio e il tuono di Giove, persuade l’anziano padre (e quindi il
figlio) a desistere.
Fonte di scandalo era
anche il modo piuttosto improvvido con cui Enea perde Creusa, dando
la sensazione che un marito innamorato avrebbe saputo come tenersi al
fianco la propria moglie: e Virgilio stesso amplifica questa
sensazione attivando più volte, come mostra finemente Casali, la
memoria a contrasto di Orfeo e Euridice (se Enea si fosse voltato
come aveva fatto, sbagliando per troppo amore, Orfeo, forse sarebbe
riuscito a non perdere Creusa, che in alcune fonti per altro ha nome
proprio Euridice). E qui il commentatore Casali si mette al fianco di
un particolarissimo lettore di Virgilio: l’Ovidio delle Heroides,
che nell’epistola di Didone fa sì che la regina rimproveri a Enea
proprio di aver crudelmente abbandonato la moglie.
In conclusione,
l’approccio esegetico di Casali, e il commento che ne è il frutto,
sono perfetti per «preparare» un esame e sapere tutto quello che
c’è da sapere su di un testo cruciale della letteratura latina. Ma
questo volume è anche un prezioso strumento per leggere Virgilio e
seguirne la straordinaria impresa di narratore e poeta soprattutto
per le difficoltà che essa comportava. Non era cosa da nulla, per un
poeta che aveva cantato di pascoli e campi, di amori, di fiori e di
alberi, corrispondere all’obbligo – sostanzialmente assente dai
poemi omerici – di un poema nazionale ideologicamente orientato,
cioè vincolato a una rappresentazione positiva e nel complesso
incoraggiante del mito finalizzata alle esigenze dell’oggi. In
questa sua «piccola Iliade» Virgilio ha tentato una poderosa
sintesi: il suo eroe riconosce la volontà divina negli eventi e
tanto gli basta per proseguire nel suo cammino e, a suo modo, per
dichiarare con onestà il proprio personaggio. Se Didone, presa
d’amore per l’intervento di Cupido, resterà sorda a ogni
ragione, Enea per parte sua le sta raccontando come, per volontà
divina, egli abbia dovuto e potuto lasciarsi alle spalle addirittura
la legittima moglie, madre di Ascanio. E per volontà divina dovrà
abbandonare, non troppo sorprendentemente, la stessa Didone. Adesso è
il momento di «rinnovare il dolore», ma per prepararsi a una storia
che deve proseguire, lontano dalle coste d’Africa, con nuove
guerre, assedi e, naturalmente, uccisioni. Il fato lo vuole.
Alias – il manifesto,
domenica 27 maggio 2018