Il gusto eroico della farsa, di cui
Dickens aveva dato gran prova nel Pickwick, nascondeva un
volto emotivo e patetico, anche orroroso e tragico. Se Dickens aveva
la letizia dello sguardo infantile, di quello stesso sguardo aveva la
improvvisa angoscia lo sgomento e soprattutto la capacità di far
grandi le figure reali, di dar loro dimensioni di maschera, di
caricatura, e anche di mostro grottesco. Nel Copperfield
Dickens oggettivò e allontanò da sé le tristi memorie di una
amarissima infanzia, e insieme si permise una descrizione della
realtà a misura infantile, e pertanto grandissima, irripetibile in
ogni sua parte, buffa e spaventevole. Si aggiunga che Dickens aveva
anche il genio, ottocentesco e borghese, del melodramma: donde quella
fortissima miscela di ilare e lacrimoso, quel sapore di falso e quel
gusto del vero, che esasperano e affascinano. Prodigioso mimo,
Dickens mostra con quanta onestà anche una infanzia sventurata,
anche la descrizione di una morte di persona giovane, possano
diventare entertaining, divertenti.
Da Cento libri, a
cura di Cesare Garboli e Giorgio Manganelli, Archinto, 2002
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