Il 3 ottobre 1849
Baltimora, terza città degli Stati Uniti, era in piena campagna
elettorale. Si votava per mandare un rappresentante dello Stato del
Maryland al Congresso: all'abituale frenesia che caratterizzava la
vita cittadina nei settori caldissimi della speculazione, dei
trasporti, della stampa (nuovi periodici nascevano e morivano a
decine), si sommava quella provocata dalla lotta senza quartiere fra
i due partiti, democratico e repubblicano (questo si chiamava ancora,
all'inglese, "Whig"), condotta con metodi da far sembrare
giochetti gli attuali brogli nostrani. Nel pomeriggio di quel
mercoledì 3 ottobre, un tipografo del Baltimore Sun, di nome Joseph
Walker, passava per High Street nei pressi del "Fourth Ward
Club", sede della quarta sezione del partito Whig e dei suoi
agenti elettorali, quando vide giacente sul marciapiede un uomo dagli
abiti sporchi e laceri, in stato di estrema prostrazione fisica, ma
anche di confusione mentale. Il tipografo riconobbe nei lineamenti
decomposti dell' uomo lo scrittore, poeta e critico Edgar Allan Poe.
Preso in cura al Washington College Hospital, il più moderno della
città, lo scrittore morì nella notte fra il sabato e la domenica
successivi: aveva quarant' anni e qualche mese.
Il "mostro"
più grande
Col racconto di questa
drammatica fine si apre la biografia-inchiesta che lo scrittore
francese Georges Walter ha dedicato al più grande "mostro"
che la letteratura americana, ancora ai suoi esordi, abbia prodotto.
Inventore del racconto poliziesco, massimo esponente del racconto
dell'orrore, progenitore, con il suo romanzo Gordon Pym (che
diede lo spunto a Melville per Moby Dick), della fantascienza,
giornalista e polemista implacabile, poeta squisito, d'una musicalità
che nessuna traduzione, neppure quelle di Mallarmé, ha potuto
rendere, infine autore d'un trattato di cosmogonia, Eureka,
nel quale scienziati del nostro secolo hanno visto prefigurate
chiaramente scoperte della fisica recente: queste le proverbiali
benemerenze di Edgar Allan Poe. Il quale, oltre a questi primati ne
vanta tuttavia un altro, di ordine biografico: quello d' essere
stato, in vita, amato, e soprattutto odiato, con una furia che dopo
la sua morte, anziché placarsi, si è ampliata ben oltre i confini
della sua patria.
Autore di sei romanzi e
di parecchie inchieste giornalistiche, Walter ha intitolato la sua
biografia Enquete sur Edgar Allan Poe, poète américain
(Inchiesta su Edgar Allan Poe, poeta americano, Flammarion),
proprio per mettere subito in chiaro la portata del suo lavoro, che è
non solo di fare il punto su una vita e una personalità
particolarmente complesse. Il suo scopo è soprattutto di ricollocare
la figura di Poe nel suo autentico contesto geografico e sociale,
fuori della falsa dimensione conferitagli dall'appropriazione fattane
dal grande "fratello", il poeta francese Charles Baudelaire
che, con le sue perfette traduzioni e in tre saggi critici, lo
"disamericanizzò" diffondendone in Europa e nel mondo
un'immagine seducente ma arbitraria, di maudit dedito al culto
dell'insolito e dei paradisi artificiali.
Mistero e mistificazione:
i due poli fra cui si espresse la personalità di Poe, si sono
perpetuati a dir poco bizzarramente. Come nessuno ha mai saputo
spiegare che cosa fece Poe nei sei giorni che separarono la sua
partenza da Richmond (città dove aveva trascorso l' infanzia e la
fanciullezza) e il ritrovamento a Baltimora, così nessun detective
potrà mai sapere la vera causa della sua morte. Delirium tremens
(come scrisse il dottor Moran alla madre adottiva di Poe, Maria
Clemm), congestione cerebrale, come riferirono i giornali e come
asserì lo stesso Moran in un libretto in difesa di Poe pubblicato
nel 1885? Oppure delitto? L'ipotesi è suggestiva e il suo sviluppo
degno delle deduzioni del geniale investigatore creato da Poe, il
celebre Auguste Dupin. In quell'epoca Baltimora, proprio perché
città animata e vivace, importante nodo ferroviario, scalo
marittimo, pullulava di ladri, borsaioli, scrocconi d' ogni specie.
Inoltre c'erano le bande organizzate di agenti elettorali che
battevano le strade del centro e intorno al porto con uno scopo
preciso: cercavano persone isolate, preferibilmente forestieri o
contadini, e usando la tecnica detta "cooping", ossia
"mettere in gabbia", le drogavano con una miscela di whisky
e narcotici, e poi li portavano da un seggio elettorale all'altro
facendoli votare a ripetizione per questo o quel candidato. Rinchiusi
poi in un locale buio (la gabbia) a smaltire la cotta, venivano
successivamente gettati in strada.
Poe era partito sei
giorni prima da Richmond, dove aveva trascorso un paio di mesi di
tranquillità. L'alternarsi di depressione e di speranza che aveva
caratterizzato gli ultimi due anni e che aveva visto anche un
tentativo di suicidio, nel 1848, pareva quasi dimenticato, a
Richmond. Poe si era persino iscritto alla locale società di
temperanza, facendo pubblica promessa di dimenticare il vizio funesto
del bere. Perché dunque quel vuoto di sei giorni, fra la partenza da
Richmond e il ritrovamento sul marciapiede, perché le tasche vuote,
perché gli abiti non suoi e addirittura la mancanza della giacca?
Nessun Dupin ci spiegherà mai se Poe si sia autodistrutto, se sia
stato rapinato o, più verosimilmente, drogato e sequestrato a scopi
elettorali.
Una mano livida
sulla fronte
Dalle 560 fitte pagine
dell' inchiesta di Walter esce un'immagine a misura umana e
"americana" di quel formidabile creatore di paure, tanto
efficace perché proprio lui era la prima vittima di quel sentimento
che ha saputo tanto bene ispirare ai suoi lettori. Da quando,
adolescente, aveva visto una mano livida uscire dal buio per
posarglisi sulla fronte, non riusciva ad addormentarsi se qualcuno
non lo teneva per mano confortando il suo ingresso nelle tenebre del
sonno. Il teorico del "principio di perversità" (tendenza
insopprimibile dell'anima a far violenza a se stessa) pianificò
americanamente fin dal 1831, a ventidue anni, di scrivere racconti
d'un genere particolare, e per questo fece uno studio quasi
statistico del romanzo gotico inglese, dei racconti di Hoffmann e in
genere di tutta la letteratura dell'orrore, per impadronirsi alla
perfezione degli ingredienti, a cui aggiunse le sue personali
ossessioni ma anche il suo gusto della parodia e della
mistificazione.
Nell'opera di Walter
confluisce il meglio, insieme col peggio di quanto è stato scritto
su Poe, dalle grandi biografie della fine del secolo scorso, a
quella, che resta a tutt' oggi la più ampia e sicura, pubblicata nel
1941 da Arthur Hobson Quinn. Ma, oltre a tutto ciò che fa di questa
biografia il più aggiornato strumento di lavoro su Poe (manca
purtroppo l'indispensabile indice dei nomi), c'è da aggiungere
l'apporto personale del critico-romanziere, frutto d'un lungo
soggiorno negli Stati Uniti, nei luoghi dove si svolse la vita di Poe
da Richmond a West Point da Filadelfia a Providence, da New York a
Baltimora: dovunque osservando, visitando musei, cimiteri, cercando
testimonianze e reliquie e ascoltando persino un tassista di
Baltimora vomitare ingiurie all'indirizzo di Poe con le stesse
espressioni usate dai suoi detrattori ottocenteschi. Il racconto,
solido e ben scritto, della vita e delle avventure di Poe, è
inframmezzato da parecchi brani in data odierna, da cui curiosamente
emerge un'altra immagine dell'"americano" Poe, e ciascuno
dei diciassette capitoli è corredato da un folto apparato di note
che illustrano con ogni specie di particolari il testo, formando nel
complesso un'affascinante enciclopedia della vita americana (e di
quella letteraria in particolare) sulla costa atlantica, nel
diciannovesimo secolo.
“la Repubblica”, 17
luglio 1991
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