Nei
Miserabili di Victor
Hugo (1862) c' è un poliziotto, Javert, che nella sua ottusa
dedizione alla legge esprime tutta la convinzione della Francia
ufficiale nella necessità del sistema, da preservare con ogni mezzo
contro ogni attentato. Ma nella Francia reale di quel periodo c'è un
altro personaggio che con altrettanta ottusità e pervicacia ha
difeso la società dagli attacchi che le portava uno dei più subdoli
nemici, la letteratura: Ernest Pinard, che dalla sesta camera del
tribunale correzionale di Parigi scagliò i fulmini della giustizia
contro capolavori come Madame Bovary
di Gustave Flaubert e I fiori del male
di Charles Baudelaire, in nome della moralità, del buon costume, dei
buoni sentimenti, della famiglia e della patria.
Pinard
è uno dei protagonisti, ma non il solo, d' un recente volume nel
quale Yvan Leclerc racconta la lotta che la legge ha condotto per
tutto l'Ottocento in Francia contro la letteratura colpevole di non
adattarsi alle sue esigenze: Crimes écrits. La littérature
en procés au 19 siècle
(Delitti scritti. La letteratura processata nel secolo
XIX), pubblicato dall' editore
Plon (pp. 448, Ff. 2.660). Infatti la lotta fra letteratura e censura
si è svolta durante tutto il secolo e sotto tutti i regimi. Il libro
di Leclerc, facendo centro sui due processi a Flaubert e Baudelaire,
a cui si aggiunge quello a Jules Barbey d' Aurevilly per le novelle
Le diaboliche (1875),
contiene ventuno altri dossier relativi ai processi intentati dallo
Stato francese dal 1821 al 1892 ad altrettanti autori rei di avere
offeso il re, la morale pubblica, il governo, i buoni costumi, l'
esercito, l' impero, la repubblica. "I governi hanno un bel
cambiare, monarchia, impero, repubblica, che importa. L'estetica
ufficiale non cambia", scriveva nel febbraio 1880 Flaubert in
una lettera aperta al suo discepolo Guy de Maupassant, anch'egli
incappato nella rete punitiva per alcune poesie "lascive".
La presenza di Pinard nella vita pubblica ossessionò Flaubert fino
alla fine: diciassette anni dopo il processo, nel 1874, egli scriveva
in un taccuino: "Non dimenticare Pinard". E nel 1877 il
fondatore del romanzo moderno aveva una grande, una enorme
soddisfazione; un' amica gli fece sapere che erano state trovate
delle poesie oscene di pugno proprio del fustigatore Pinard:
"Ringrazio la Provvidenza per le poesie lubriche di ser Pinard.
Non mi stupisco, non c' è nulla di più immondo dei magistrati, la
cui geniale oscenità viene dall' abitudine di portare la toga... Se
penso che Pinard si indignava delle descrizioni di Madame Bovary!".
Uno scandalo di
verità
Eppure,
dal suo punto di vista di tutore della legge, Pinard non aveva tutti
i torti; Pinard che persino nel nome, motivo di infiniti scherzi e
scherni, porta il segno dell' imbecillità che segnò la sua vita:
pine, infatti, designa
in gergo l'organo genitale maschile e il suffisso -ard,
in questo caso, ne diventa un peggiorativo.
Il
punto più acuto del dibattito che Leclerc mette in luce nella sua
analisi, profonda e precisa oltre ogni dire, consiste proprio nel
confronto che oppone lo Stato, tendenzialmente conservatore e
preservatore dell'ordine costituito, contro le forze nuove
rappresentate dalla letteratura, che tendono alla disgregazione dei
valori. Basta leggere il blocco degli articoli usciti al momento del
processo alla Bovary e le lettere personali ricevute in proposito da
Flaubert per rendersi conto dell' urto, dello scossone ricevuto dal
pubblico nel leggere la storia dell'adultera di provincia. Perché,
questo è il punto, allora si credeva che arte e moralità fossero
tutt'uno, e i libri venivano giudicati secondo due criteri morali,
che erano l'intenzione dell'autore e l'effetto prodotto sul lettore.
E
qual era, tanto per restare al tandem Flaubert-Baudelaire, la loro
intenzione, se non di dare scandalo? Una intenzione forse meno
cosciente in Flaubert e più cosciente in Baudelaire, e uno scandalo
non certo di oscenità ma di verità, ma non per questo meno vivi ed
evidenti. L'anno del processo, il fatidico 1857, era stato premiato
al concorso dell'Académie des sciences morales et
politiques il libro d' un
giudice, Eugène Poitou, dedicato all'influenza del romanzo
contemporaneo sul costume in Francia. Scriveva Poitou: "Il
romanzo dev'essere il mondo migliore. Noi tutti abbiamo bisogno di
mischiare alla nostra vita una certa dose d'ideale: spesso la realtà
è tanto triste" che non c'è alcun bisogno del "grossolano
e volgare realismo". Flaubert dovette restar male nel ricevere
una lettera datata 23 giugno 1857, da una signora inglese da lui
conosciuta in gioventù: "Vi dirò francamente d' essere
meravigliata che voi, con la vostra fantasia e con la vostra
ammirazione verso tutto ciò che è bello, abbiate scritto, vi siate
compiaciuto di scrivere una cosa così orribile come quel libro! L'ho
trovato tanto cattivo! E il talento che ci avete messo è doppiamente
detestabile!". Dovette restar male, ma non poi tanto, nel
leggere ciò che Mrs. Tennant aggiungeva: "Perché rivelare
tutto quel che è meschino e misero; nessuno ha potuto leggere questo
libro senza sentirsi più infelice e più cattivo".
Non
era stato proprio questo il suo scopo: comunicare una visione della
vita completamente negativa e pessimista scopo: comunicare una
visione della vita completamente negativa e pessimista sublimata
unicamente dalla virtù suprema dello stile? E alle sue lettrici,
poiché il libro si considerava diretto specialmente al pubblico
femminile che cosa poteva importare lo stile? C'è di più. Come si
sa, prima di ogni stesura definitiva, Flaubert preparava un abbozzo,
una specie di pre-sceneggiatura. Accadeva che spesso quel che c'era
nello schizzo fosse assai più e più forte di quel che entrava nel
testo finale. Un esempio, fra tanti: "L'abitudine di scopare la
rende sensuale, botta con Rodolphe, in camera, sul divanetto dove
hanno tanto chiacchierato, piena di sperma, di lacrime, di capelli e
di champagne, dopo le scopate va a aggiustarsi i capelli. Emma, un
po' puttana, Léon prende un guanto, lo guarda come gli venisse
un'idea, far capire che si masturba col guanto, se lo infila e dorme
posandoci la testa, sul guanciale, toilette puttanesca, far vedere
già un po' di porcheria, far vedere chiaramente il gesto di Rodolphe
che le prende il culo nella mano...". Ben poco di questo
(qualche riga di descrizione dei guanti) finì nel romanzo, ma
Flaubert aveva bisogno di scrivere tutti quei particolari, per
imprimerseli bene in mente, e per farli sentire al lettore, come dice
Leclerc, "prima di scrivere un testo casto in superficie ma
ardente di passione sotto ciò che è stato volontariamente
censurato".
Flaubert
scriveva alla sua amante Louise Colet il 2 luglio 1853: "C' è
una scopata che mi preoccupa molto e con cui non c'è da usar
sotterfugi, sebbene la voglia fare casta ossia letteraria, senza
particolari piccanti né immagini licenziose: bisogna che la lussuria
sia nell'emozione". Flaubert, quindi, sapeva benissimo, anzi,
poneva ogni sua cura perché nel non detto trapelasse tutto quello
che c'era sotto; e quello che c'era non lo sapeva soltanto lui, ma
anche Pinard; il processo, e l'accanimento di Pinard, furono proprio
in questo; far emergere, affinché tutti potessero vedere, quello che
Flaubert aveva nascosto. Madame Bovary
uscì a puntate sulla “Revue de Paris”, diretta da Léon
Laurent-Pichat, a partire dal primo ottobre 1856 e fino al 15
dicembre (la rivista era quindicinale). Per Flaubert i guai
cominciarono subito: gli fu chiesto dal direttore, prima della
pubblicazione, di apportare modifiche o tagli in ben 71 punti, che
lui non accettò; ma dovette accettare la soppressione della scena
della carrozza.
Nonostante
questo il gladio di Pinard si levò alto e tutta la passione vera
che, sotto lo specchio dello stile, si agitava come magma, fu da lui
portata alla luce e sciorinata davanti agli occhi delle future
lettrici. Flaubert fece fuoco e fiamme e mise in campo quante più
amicizie altolocate poté, puntando soprattutto sul prestigio che suo
padre, il famoso chirurgo, s' era conquistato a Rouen e in tutta la
Normandia; e da parte sua si difese invocando non tanto la moralità
dell' opera letteraria, quanto la sua propria moralità. Mentì,
certo, ma che cosa poteva fare con Pinard e con quell'opinione
pubblica che pretendeva dal romanziere l'intenzione moralistica? A
Baudelaire andò peggio. Intanto non poteva vantare un solido sfondo
familiare come quello di Flaubert; il suo massimo vanto era un
padrino colonnello. E poi, aveva messo tutto il suo talento, a furia
di eccentricità e di oltraggi al comune buonsenso, per farsi
considerare individuo asociale, turbolento, pericoloso, che andava in
giro "senza cravatta, a collo nudo, testa rasata, proprio come
uno che va alla ghigliottina" (Goncourt). Non era facile, per
uno come lui, sostenere la moralità delle poesie in cui descriveva
due lesbiche nude, dopo la voluttà, oppure offendeva la religione
con empie litanie sataniche.
Ma,
dopo aver messo nelle poesie tutta la sua forza provocatoria,
Baudelaire era convinto che esse, da vedersi non una per una ma nell'
insieme, come un solo corpo, fossero d'una "terribile moralità".
Nonostante tutte le testimonianze, in forma di articoli a suo favore,
portate da illustri personalità, e nonostante la lettera che il
poeta scrisse all'imperatrice impetrandone l'intercessione, la
condanna doveva venire e venne: sei delle tredici poesie indicate da
Pinard furono soppresse. Però Baudelaire, anche nella lettera
all'imperatrice, non aveva rinunciato alla provocazione e aveva
scritto alla moglie di Napoleone III: "Ci vuole tutta la immensa
presunzione d'un poeta per osare richiedere l'attenzione di Vostra
Maestà su un caso piccolo come il mio". Ora, la parola cas,
già allora, voleva dire sia caso sia quell'organo genitale maschile
che appare nel nome di Pinard.
Quella vita
esemplare
L'imperatrice
comunque intervenne e fece ridurre l'ammenda da 300 franchi a 50, ma
non poté impedire la distruzione delle sei poesie condannate, le
quali furono materialmente strappate dal volume in vendita; poi, le
"pièces condamnées" fecero corpo a sé, prima in opuscoli
che circolavano clandestini come opere pornografiche, in attesa della
riabilitazione. Nel 1925 la Société Baudelaire fece domanda di
revisione del processo, il quale si rifece soltanto vent'anni dopo, e
ci vollero altri quattro anni prima che la condanna fosse cancellata:
1949. Ma la cosa non è finita. Riferisce Yves Leclerc, a conclusione
della sua ricostruzione della vicenda baudelairiana, di avere
acquistato nel 1984, ossia trentacinque anni dopo la riabilitazione,
un'edizione "integrale" dei Fiori del male
della famosa casa editrice Hachette, in una collezione di "grandi
scrittori scelta dall' Académie Goncourt", in cui delle sei
poesie infami non c'è traccia. Quanto a Pinard, come logica vuole,
seguitò trionfalmente la sua carriera degli errori: da pubblico
ministero negli anni Cinquanta diventò ministro dell' Interno e
condusse una lotta così ottusa contro la libertà di stampa da
essere costretto alle dimissioni. Non per questo si tirò in
disparte. Nel 1885 pubblicò in due volumi le sue Opere
giudizarie, in cui erano
raccolte le sue più feroci requisitorie, compresa quella contro
Flaubert (ma con testo differente da quello che lo scrittore aveva
fatto stenografare a sue spese durante il processo). E finalmente,
nel 1892, venne il Diario
in cui quella vita esemplare era proposta in tutta la sua integrità.
“la
Repubblica”,11 aprile 1992
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