Migrazioni. Dietro la
lotta alle organizzazioni umanitarie c'è un livello istituzionale,
una convergenza parallela di interessi
È liquida la frontiera
sud dell’Europa. È una linea più politica che geografica, un’arma
brandita dalle destre identitarie europee e una moneta di scambio tra
i governi securitari. Con l’Italia e la Francia in prima fila e con
le milizie libiche pronte a contrattare.
Occorre partire
dall’estate del 2017. La macchina della propaganda anti migrazione
era pronta da mesi. Da marzo il comitato Schengen, presieduto nella
XVII legislatura dalla forzista Laura Ravetto, aveva aperto il gioco
al massacro contro le organizzazioni umanitarie impegnate nei
salvataggi nel Mediterraneo centrale. Quando convoca il procuratore
di Catania Carmelo Zuccaro – il magistrato che sostiene
giudizialmente l’esistenza di una complicità tra le Ong e i
trafficanti libici – nello speech iniziale cita il video di
un blogger ventitreenne, Luca Donadel, che ipotizzava il ruolo di
«taxi del mare» delle navi umanitarie.
Tesi, questa, a sua volta
proposta dal Thinktank sovranista nell’autunno del 2016. Subito
dopo la commissione Difesa del Senato avvia un’indagine conoscitiva
sulle Ong – con una competenza curiosa, vista la natura ovviamente
pacifista delle organizzazioni umanitarie – dando ulteriore palco
al procuratore Zuccaro.
Siamo a maggio. Il gruppo
di estrema destra Generazione identitaria esordisce sullo scenario
del Mediterraneo, tentando di bloccare con un gommone la partenza
della nave Aquarius, di Sos Méditerranée. È l’inizio della
campagna Defend Europe, che entrerà nel vivo nel luglio successivo.
Nel frattempo il ministro
dell’Interno Marco Minniti prepara il codice di condotta per le
Ong. È un insieme di norme quasi di natura privatistica – non
passeranno mai per il vaglio parlamentare – che impongono alle navi
umanitarie una serie di regole più simili alle forche caudine che a
regole sensate. Nel sottotesto politico si legge la volontà di
Minniti di battere i pugni sul tavolo, di far capire alle Ong che non
sono gradite.
In questi ultimi mesi lo
scenario si è ulteriormente aggravato. La frontiera sud dell’Europa
di fatto viene affidata alla cosiddetta Guardia costiera libica,
forza militare apertamente accusata dalla Nazioni unite di violazione
dei diritti umani.
La consegna è talmente
palese da rivelarsi goffa: sui fax dei libici appare il numero di
telefono di un interno della Marina militare italiana, collegato
direttamente con la nave Capri, di stanza fino allo scorso marzo nel
porto di Tripoli. Sempre più spesso la Guardia costiera italiana
affida ai libici i salvataggi dei migranti nel Mediterraneo centrale
e la Ong Open Arms, che si rifiuta di consegnare i naufraghi, si
ritrova con l’imbarcazione sequestrata dal procuratore Zuccaro. Con
un’accusa pesante – poi caduta, almeno per il momento, davanti al
Gip di Catania – quella di associazione per delinquere finalizzata
al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I magistrati di
Ragusa, che ereditano il fascicolo da Catania, decideranno per il
dissequestro della nave fermata da Zuccaro, ma le indagini
proseguono.
Mentre riprendono i
naufragi, mostrando la fragilità della Libia, il concetto di
frontiera come fortezza si sposta al nord. I migranti che tentano di
attraversare le valli innevate diventano i nuovi nemici della destra
identitaria, legata a doppio filo con la Lega di Matteo Salvini, da
una parte, e con l’organizzazione di estrema destra francese Les
identitaires, erede dell’Unione radicale sciolta nel 2002.
Parte la seconda missione di Defend Europe, con due elicotteri, un
aereo, suv e una logistica da milizia molto ben finanziata.
In Francia in queste ore
si sta discutendo della revisione delle norme su asilo e migrazione e
le azioni della destra radicale sulle Alpi punta a dettare l’agenda
politica e a influenzare le scelte parlamentari. Timing, forte
comunicazione e tanti soldi. Nel contempo in Italia si discute di
alleanze e governi, con il Movimento 5 Stelle perno centrale. Anche
in questo caso la pressione identitaria – che ha una sponda diretta
in Matteo Salvini, ripresa e amplificata dalla stampa di destra –
ha l’obiettivo immediato di influenzare politiche e decisioni degli
stati.
Dietro i movimenti
dell’estrema destra identitaria c’è però un livello molto più
profondo, istituzionale. Una sorta di convergenza parallela di
interessi. L’8 luglio 2016 il Consiglio d’Europa, la Commissione
europea e il segretario generale della Nato firmano a Varsavia una
dichiarazione congiunta, con le basi per una stretta collaborazione
su temi ritenuti strategici.
Ancora una volta è la
frontiera – a est e a sud – il tema politico, e militare,
centrale. I migranti diventano questione di sicurezza nazionale:
«Espandere e adattare il nostro coordinamento operativo al mare e
sulla migrazione», scrivono il presidente del Consiglio europeo
Donald Tunk, il presidente della Commissione europea Jean-Claude
Junker e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg
nell’accordo. L’esodo dai paesi africani, la fuga dalle guerre
perdono ogni aspetto umano, l’Europa diventa la fortezza da
difendere, gli umanitari il nemico interno.
“alias – il
manifesto”, 5 maggio 2018
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