1.6.18

1982, gli Italiani e il Mundial. Sermonti intervista Carmelo Bene: “La nostra è una squadretta”.


Nel giugno del 1982, alla vigilia del Mundial di Spagna, Vittorio Sermonti era provvisoriamente giornalista: era stato consulente CEE, insegnante, viveur, sarebbe poi diventato un rinomato dantista, un apprezzato traduttore di Ovidio ed altri classici, uno scrittore in proprio, un performer eccetera eccetera. Per “l'Unità” raccolse alcune interviste a personalità di vari campi. Questa, a Carmelo Bene, più che un'intervista è un monologo, condotto con il linguaggio immaginifico e provocatorio del celebre attore. Le valutazioni di Bene si rivelarono del tutto sbagliate. La squadra italiana giocò qualche partita davvero bella e alla presenza di Pertini, si laureò Campione del Mondo, lasciando il ruolo di “vicecampione”, secondo Carmelo Bene un po' servile, alla Germania e ai suoi panzer. (S.L.L.)
Italia 1982, La formazione tipo
“Dimenticare il Mundial. Non capisco l'interesse. Ci sarà poco da vedere, così, a naso lo dico. Se il Brasile ha fatto 1-1 in casa con la Svizzera, figurati l'allegria. Della nostra squadretta non se ne parla... Secondo te, passeranno il turno? Può anche darsi. Non credo. Questi cominciano a lamentarsi del caldo dai primi di aprile... E non me lo auguro nemmeno. Se ci attardiamo, le spese aumentano. A che buon fine, me lo spieghi”.
Così ringhia soavemente Carmelo Bene, accappatoio arancio contro il nero galattico dello studiolo che insigni rilegature d’opera omnia tracciano di fiochi barbagli. L’interrogatorio è subissato da un monologo irrefrenabile. Registro e asciugo.
“Però, si consola quello, al Messico siamo arrivati in finale. Primo: c'erano in squadra due grandi come Riva e Rivera (e di Rivera, ricordati che non ne nasce uno al giorno: ne nasce uno al secolo); secondo: avemmo una fortuna sfacciata; terzo: quando in finale rimedi quella figura, meglio avresti fatto a fare le valigie il giorno prima adducendo motivi di famiglia. 'Vicecampioni' E chi sarebbe, un vicecampione? Colui che, quando il campione va alla toilette, fa gli onori di casa? E quello, dai a consolarsi: 'non si può vincer sempre. Si gioca per giocare...'. Scemenza: ma allora, almeno, gioca! Niente: inseguono la palla, faticano, si sacrificano, è grande il sacrificio, scalciano, falli, gente ingessata, poi si fa la spedizione punitiva e — bontà di Dio o insofferenza, piuttosto, di Dio — scappa il gol. Quando scappa. Va bene: ma aspettando questo gol, bisogna che qualcosa accada, non può non accadere niente, solo affanno, d'affanno morirò — morirò di noia.
“Per come si sono ridotti questi italiani, oggi non giocano più, fanno solo sport: sportaccio: apologia di reato... L'anima l'anima l’anima (senti i telecronisti delle private) 'ci hanno messo l’anima!'. Il sentimento e la buona volontà dovrebbero essere banditi dai campi di gioco. Niente. Non m’interessa vederli scendere in campo, non m’interessa vederli giocare, non hanno nemmeno un minimo di Grazia sufficiente, perché alla Grazia non danno accesso né dottrina né astuzia né, tanto meno, i buoni sentimenti.
“Mai un’azione di prima come la intendo io, sempre a stoppare, a litigare con la palla, la zona è finta, tutto si risolve nel corpo a corpo. Li hai mai visti 'lasciarsi giocare', 'farsi giocare dal pallone', essere il pallone che li gioca? Niente. Un altro mondo. Sono ragionieri, piccoli esperti, ognuno abbarbicato alle competenze del suo ruoletto: mediano di spinta semifluidificante monopiede... Il giocatore è grande, come l'attore, se giocando fa altro da quello che fa. Altrimenti, sono affari suoi.
“Guarda il gioco fatale del Brasile. Ze Sergio. Paulo Isidoro. Calcio di solisti? Attenzione: solisti che sanno suonare insieme. Noi ormai non abbiamo né orchestra né solisti. Il peggior calcio del mondo. Possiamo condividere il fango dell’abiezione con tanti (non troppi), ma sotto di noi non c’è nessuno. Abbiamo solo una fortuna: il timore che ci portano gti avversari all’inizio delle partite, chissà perchè mai, magari perché hanno letto l’enciclopedia illustrata del calcio. Li vedi deferenti, titubanti. Quando poi si accorgono di aver a che fare con nessuno, sfondano. Infatti, se hai notato, i parvenus del calcio, tipo Corea, tipo Haiti, che non hanno cultura, ci infilano tranquillamente. Temo il Cameroun. Bisognerà informarli che il secolo scorso abbiamo vinto due tornei, sennò come fanno ad accorgersene da soli? E magari, per ignoranza, ci sopraffanno, quei negretti spensierati.
“Ma non li vedi i nostri che stanno sempre lì a brucare il prato con gli occhi? Ti faccio una domanda: in Italia oggi aitanti giocano a testa alta? Due: Franco Baresi, un vero libero, libero in tutti i sensi, che potrebbe diventare uno dei più grandi al mondo... Baresi del Milan e Antognoni, che però purtroppo è il campione dell’ovvio, dove lui manda la palla c’è sempre un compagno di squadra e cinque avversari pronti a levargliela.
“Non vorrei essere frainteso, non ce l’ho con nessuno. Tanto meno col CT perché ha dimenticato a casa questo o quello. Lo avrà fatto per usargli una gentilezza. Beato chi potrà dire, gonfiando il petto, ai nipoti: "nella giornata di San Crispino non ho combattuto", "io non v’era". Piuttosto, sono imbarazzato per i 22 che vanno. Personalmente, manderei il Bari. Al completo. È una squadra che sì diverte, si avventura. Antologizzare è la soluzione peggiore: oltre tutto questi azzurri tapini insieme fan pochissime partite, e non giocano mai (ogni volta c’è una buona ragione per rapinare il gollettino e assassinarti dalla noia). D’altronde, la sinfonica non l’abbiamo: mandiamo l’orchestrina. I ragazzi sarebbero contenti, e noi Italia avremmo le stesse chances. (Scusa, non è il Modena, C1, l’unica italiana che l’altro mese ha battuto la Polonia di Boniek?).
“Perché? Vuoi dirmi che c’è una squadra di A che quest'anno ha fatto più gioco? La Juventus a parte, che ha vinto il campionato per disperazione con il meglio in ortopedia; la Fiorentina a parte, perché non c’entra, è una squadra di ciclisti; non s’è vista che la Roma per qualche decina di minuti: quando giravano Conti e Di Bartolomei, ricordava il gioco del calcio... Di Falçao non se ne parla. Altra galassia. Se penso che nel Brasile rischia la panchina, tremo di pietà per la patria. Falçao in panchina e Graziani in campo... Ma perché andiamo? Che ci andiamo a fare? E se non se ne può proprio fare a meno, ripeto, mandiamo il Bari. Tutt’al più con Castellini in porta. Visto che è il più grande portiere del mondo, se lui non si vergogna troppo sarebbe il caso di pagargli il viaggio.
“Ti dicevo: la Roma. Come mai? Altroché consentire l' importazione di giocatori stranieri. Bisognerebbe imporre l’obbligo di importare l’allenatore. La grandezza della Roma, la piccola intermittente grandezza della Roma, è Niels Liedholm. Fra lui e gli altri, in Italia, c’è il baratro e il silenzio. Poche norme: chi stoppa la palla, penalizzato; chi guarda per terra, radiato; cambiare radicalmente le maniere dell’ allenamento (in Brasile, per esempio, si allenano sulla sabbia); e applicare il gioco a zona totale.
“Liedholm, Jessie Carver, Erbstein: da sempre gli stranieri ci sono maestri. Perfino il nostro brutto giochetto all’italiana lo abbiamo imparato da uno straniero: ma almeno Herrera lo faceva bene, era uno spettacolo, un giovedì grasso, un’orgia di nongioco. E vinceva. Che non è poco. '
“Perché, se invece avesse ragione Gianni Brera quando dice: 'i giocatori li fanno le mamme; poi vengono gli allenatori', ci sarebbe da pensare che il calcio non sia gioco per noi. E che fai? Non puoi andare a insultare le signore, sarebbe villano, oltre tutto non è detto che la mamma gli abbia detto: 'figlio mio, fa’ il calciatore'.
“E qui mi si domanda se tifo per l’Italia. Vorrei. Non posso. Non c’è: quelli non giocano a pallone. Io tifo sempre per chi gioca meglio, per chi fa succedere qualcosa in quell’ora e mezza. Tifo, poi... Mi infastidisce la parola. Capisco il tifo del bambino: dopo, chi meno è cresciuto — o forse chi è cresciuto meglio — si porta dietro quell’amore strano per cosa mai vista, e sentita raccontare da Nicolò Carosio. E capisco il tifo indigeno: la squadra della tua città ti piace, perché ci giocano quelli della tua città: la Pro Vercelli, l’Ambrosiana Inter, oggi più o meno il Bari. Sennò che te ne frega? Un anno Collovati è l’uomo di Dio, l’anno dopo passa all’Udinese e tu lo fischi... Vuol dire che sei un imbecille.
“Odio quel tifo lì, fra giovinotti, per la rissa, fanno fumi colorati, guardano indietro. Poi ne riparlano tutta la settimana, in gergo, parlando parole sputate da altri. La loro lingua è chewing-gum. Causa efficiente del nostro calcio è, a mio avviso, l’assenza della lingua italiana. Ma su questo ci sarebbe da fare un paio di volumi. Hai sonno. Ciao”.


"l'Unità", 3 giugno 1982

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