Il testo che segue fu
pubblicato da “micropolis” come presentazione di un dossier
antologico sul tema della democrazia diretta, che conteneva testi di
John Reed, Antonio Gramsci, Aldo Capitini e Valentina Pazè. Mi pare
un'utile sintesi su un problema storico che in questi ultimi anni
ritorna drammaticamente attuale. (S.L.L.)
La crisi che investe i
sistemi politici liberali fa riemergere il problema storico della
democrazia, ovvero la sua effettiva capacità di controllare e
diffondere il potere, sfuggendo alle degenerazioni oligarchiche,
plebiscitarie, populiste; questioni già affrontate nell'Atene
classica, da Platone ad Aristotele. In età moderna, quando i diritti
di cittadinanza si estendono, sganciandosi dal diritto di
partecipazione, la rivendicazione democratica è fatta propria dai
soggetti sociali esclusi dai diritti politici. Dalla rivoluzione
francese e fino all'inizio del ‘900 la lotta per il suffragio
universale divide nettamente liberali e democratici.
Contemporaneamente a questa dicotomia si affianca e si sovrappone
quella tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, che per
Rousseau rappresenta la traduzione politica dell'uguaglianza sociale.
L'espressione della volontà generale si concretizza in una serie di
istituti quali il mandato imperativo e il diritto di revoca degli
eletti.
Borghese e citoyen,
società civile e stato
Allargamento del
suffragio e superamento della democrazia delegata fanno parte della
cultura e del programma del movimento operaio e socialista
ottocentesco, intersecando il rapporto tra lotta economica e lotta
politica. Gli esiti del 1848 spingono Marx ad abbandonare l'ipotesi
di una soluzione immediata della contraddizione tra società e stato.
Da questo momento in poi, insieme all'approfondimento della “anatomia
della società civile”, teoria e prassi del socialismo si misurano
con la complessità della struttura statale. I temi
dell'organizzazione politica, della conquista e della gestione del
potere, ricorrono nella polemica con gli anarchici e nella
riflessione sulla Comune.
Soviet e
industrializzazione: la democrazia operaia
Questioni analoghe si
ripropongono nell'età della seconda internazionale su una scala
molto più ampia, in seguito all'estensione geografica, dimensionale
e tecnologica del sistema capitalistico industriale. I grandi partiti
socialdemocratici europei, mentre provvedono attraverso diverse forme
organizzative all'alfabetizzazione politica delle classi lavoratrici,
assumono il suffragio universale e la democrazia parlamentare come
via maestra per la conquista dello stato: una strategia conforme ad
un'idea evolutiva dello sviluppo economico. L'alternativa
rivoluzionaria di Lenin si fonda su una visione non lineare
dell'imperialismo, nega la possibilità di una trasformazione
dall'interno dello stato borghese. Ne consegue la netta separazione
tra democrazia parlamentare, identificata con la dittatura della
borghesia, e democrazia proletaria, da basare su istituzioni di tipo
nuovo. Il discorso comincia a precisarsi con i soviet del 1905, che
divengono il punto di appoggio decisivo della vittoria bolscevica nel
1917. Ben presto, tramontate le utopie di Stato e rivoluzione, si
presenta l'immane compito di ricostruire ex novo apparati produttivi
e amministrazione statale di un paese arretrato; a quel punto i
soviet sono investiti di compiti gestionali, tecnici e amministrativi
che non ne impediscono una rapida burocratizzazione. In ogni caso per
tutta una fase il tema dei “consigli” è al centro del dibattito
del movimento operaio internazionale.
Nella riflessione
gramsciana, sviluppata a contatto con la classe operaia torinese, il
tema della democrazia operaia è tutt'uno col ragionamento sulla
società industriale moderna. Soggetti alla disciplina di fabbrica,
che significa anche cooperazione razionale, i lavoratori imparano a
gestire la produzione: i consigli operai si configurano
contemporaneamente come stimolo della coscienza di classe, cellule
della rivoluzione, organi del futuro potere socialista. La democrazia
diretta è sostanzialmente vista come democrazia organizzata,
modellata sulla complessità tecnica della società industriale. Il
Gramsci leader del Pcd'i e dei Quaderni mantiene questa impostazione,
approfondendola in relazione al problema della rivoluzione in
occidente.
La democrazia
nell’età del compromesso costituzionale
Ancora ad un quadro di
“democrazia organizzata” si può riportare l'evoluzione
dell'occidente nel secondo dopoguerra, quando una prolungata fase di
crescita consente un compromesso stabile tra capitale e lavoro, che
assicura la costituzionalizzazione dei diritti sociali e una
progressiva inclusione delle classi e dei soggetti subalterni. Il
tema della democrazia diretta si sviluppa in relazione all'estensione
dei diritti, al controllo dei servizi e delle amministrazioni
pubblici, secondo un'impostazione complementare alle istituzioni
rappresentative.
Da un lato cresce il
movimento referendario, che in alcuni casi (come in Svizzera) assume
un rilievo politico-istituzionale di primo piano. In un'altra
direzione si promuove la partecipazione diretta dei cittadini, su
base tematica o professionale, ma fino a tutti gli anni ‘60 -
specie in Italia - lo spazio dell'azione politica è monopolizzato
dai partiti e dai sindacati. È l'onda d'urto del ‘68 a determinare
una rivoluzione nelle forme di mobilitazione, che ha come presupposto
il rifiuto della delega. Gli strumenti di azione e comunicazione che
sorgono o risorgono (l'assemblea, il comitato di lotta, il volantino,
i concerti, ecc.) si fondano su un'ipotesi di proiezione immediata
sul piano politico generale di istanze specifiche di liberazione e
presa di coscienza. Il limite intrinseco, comune a molti movimenti
fino ad oggi, sta nella dipendenza dai flussi e riflussi fisiologici
delle mobilitazioni, che le rende incapaci di incidere sulle
strutture istituzionali esistenti: rifiutando a priori il tema
dell'organizzazione e del potere, certe esperienze si condannano
all'assorbimento o alla marginalizzazione.
Postdemocrazia
Il crollo del socialismo
sovietico e la nuova globalizzazione capitalistica fanno saltare il
compromesso keynesiano, abbattendo principi e pratiche politici
consolidati. Si manifesta così l'attuale crisi di tutte le forme
della democrazia, dalle assemblee rappresentative agli enti locali,
dai partiti ai sindacati. Questo stato di cose produce un'articolata
gamma di reazioni, dall'astensionismo silenzioso alla rabbia
qualunquista, dalla chiusura localista all'impegno nel volontariato.
Produce anche, e la stagione no global ne è un esempio, tentativi di
rilancio delle forme di democrazia diretta, le più signi-
ficative delle quali si
riassumono sotto le categorie della “democrazia deliberativa” e
della “democrazia partecipativa”, che promuovono la
partecipazione diffusa e informata rispetto ad alcuni temi,
soprattutto su scala locale.
Nel caso italiano certe
tendenze regressive sono incistate in una crisi di sistema sempre più
avvitata. Che il Movimento 5 stelle sia se non altro una cartina di
tornasole di questa crisi, lo dimostra anche il suo insistere sui
temi del funzionamento della democrazia. A partire dalla condanna
senza appello del sistema dei partiti, i grillini propongono una
riforma che riprende e rinnova elementi tipici della democrazia
diretta, come la ridefinizione della rappresentanza parlamentare
sulla base di un controllo diretto da parte degli elettori o
l'istituzione dei referendum propositivi. L'elemento centrale è la
cosiddetta “webdemocracy“, che da un lato è il principale
strumento organizzativo (i meetup) del movimento, dall'altro si
candida a modello alternativo di democrazia, destinato - secondo la
profezia di Casaleggio - a diventare lo strumento di una democrazia
mondiale in un futuro non tanto remoto. Al di là di grottesche
approssimazioni, le precoci contraddizioni con cui il M5s si trova a
fare i conti non indicano solo i limiti del progetto grillino, ma
rimandano allo scacco a cui finora sono sempre andate incontro le
“riforme della politica” basate su più o meno raffinate
ingegnerie istituzionali. Il problema della relazione tra potere e
democrazia resta aperto.
“micropolis”, luglio
2013
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