8.7.18

La gara degli ipocriti. Di Maio, Di Battista e gli altri (S.L.L.)

Leggo sul “Corriere” delle polemiche in merito alla iniziativa delle Magliette Rosse indetta ieri da “Libera” “contro l'emorragia di umanità”, cioè per rompere il muro d'indifferenza sui migranti affogati nel Mediterraneo. Una iniziativa giusta, necessaria e urgente.
Non mi è parso aspro, come pretende l'articolista, lo scambio di battute tra il ministro Salvini e don Ciotti, presidente di Libera, con il primo che dichiara di non avere magliette rosse e il secondo che replica “te la porto io una, al Viminale”. Il caporione leghista si è poi fatto vedere con una maglietta bianca e la scritta Divieto di svolta a sinistra, integrata dal corrispondente segnale stradale. Il presidente Ciotti in questo caso mi è parso troppo “prete”, con l'esibizione di una disponibilità che mi pare fuori luogo.
Il giornale fa riferimento ai non pochi delegati ed esponenti “dem” al Consiglio nazionale di quel partito, che ieri si sono mostrati con la maglietta rossa, tra cui l'ex premier Letta e l'attuale segretario Martina. In molti di quei casi la maglietta è veramente inopportuna: i naufragi e i morti annegati non datano da oggi, durano da lustri, e alcuni di quei politicanti Pd, che avevano responsabilità politiche importanti, hanno volto gli occhi dall'altra parte per non vedere, hanno minimizzato davanti alle denunce e comunque hanno fatto molto meno di quanto potevano per fermare la strage. L'ex presidente del Consiglio Letta, per esempio, avrebbe potuto senza scandalo indossare in privato il segno del suo pentimento. Oppure recitare il “mea culpa” in pubblico. Ma vestirsi di rosso senza un minimo di autocritica per le responsabilità gravi dei lustri trascorsi appare una manifestazione di ipocrisia.
Di “ipocrisia”, non a caso, ha parlato l'ex parlamentare Cinque Stelle Di Battista additando al pubblico ludibrio un portatore di maglietta rossa, presunto “lacché di Napolitano, colui che convinse il governo a dare via libera ai bombardamenti in Libia, preludio di una delle crisi migratorie più gravi della storia”. 
A sua volta il ministro a Cinque Stelle Di Maio ha accusato i “democratici”, che hanno indossato la maglietta rossa: “Hanno preso i soldi dal business dell'immigrazione”. Verrebbe da chiedergli “chi, dove e quando?”. 
Nessuno, e meno che mai un ministro della Repubblica, dovrebbe lanciare accuse penali a vanvera. Di Maio denunci i profittatori, se è informato di fatti concreti, oppure taccia. Se la sua è una valutazione “politica” sulla contiguità di alcune comunità di accoglienza con esponenti del Pd, non parli di “prendere soldi” e si limiti alla denuncia politica, facendo quanto è in suo potere per mettere fine agli affari sulla pelle dei migranti, ammesso che se ne siano fatti. Intervenga cioè come sempre dovrebbero intervenire i governanti: operando e non facendo proclami, battutine e polemiche.
Ma tutto questo “dichiarare” di esponenti Cinque Stelle è espressione – oltre che di una difficoltà di rapporto con una parte del loro elettorato – di un modo disonesto di far politica, che - col dire e non dire - tende a coinvolgere personalità che su questo tema hanno parlato per tempo, sfidando l'impopolarità, e che meriterebbero la gratitudine di tutte le persone di buon cuore, come Roberto Saviano, Laura Boldrini e, appunto, Luigi Ciotti.
“Il ladro che grida al ladro” si diceva una volta; ora si può dire “l'ipocrita che grida all'ipocrita”. Le “strette”, come dimostrano anche i muri di Trump, non frenano la spinta migratoria, anzi – in una qualche misura l'accelerano – aumentano solo le difficoltà e i costi, anche in termini di vite umane. Chi al governo tiene bordone a un ministro che presenta la fuga e la migrazione come “pacchia”, che chiude i porti, che ostacola le attività di soccorso, per non parlare d'altro, è complice di quel losco figuro in maglietta bianca.   

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