20.7.18

Le armi del comunismo emiliano (Edmondo Berselli)

Guido Fanti (Bologna, 27 maggio 1925 – Bologna, 11 febbraio 2012) 

Raccontava così Guido Fanti, che fu un sindaco illuminato di Bologna prima che i compagni lo sbolognassero, che un’estate venne in visita a Bologna il compagno Molotov, a vedere in azione la poderosa macchina pragmatica del socialismo emiliano. Per la verità Fanti, dopo avere letto questa mia storia, sostiene polemicamente che io sarei un tipo impreciso, inquantoché venne il compagno Boris Ponomariov («un omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva di un busto di marmo», secondo la come sempre accurata descrizione dell’ambasciatore Sergio Romano, gran conoscitore di tutte le Russie e di tutta la storia mondiale compreso il patto Hitler-Stalin). Ma siccome il suddetto Ponomariov non lo conosce più nessuno, mentre il citato Molotov ha dato il nome alle celebri bottiglie, io persevero diabolicamente nell’errore.
Dunque l’austero Molotov, che per la gioia dell’ambasciatore Romano sarebbe per l’appunto quello del patto con Ribbentrop, una sfinge, baffi e occhialetti micidiali, lo sguardo glaciale di chi sa come comportarsi durante una purga di Stalin, partecipò impettito nella sua giacchetta sovietica a un fine settimana autenticamente emiliano di pranzi e cene: i comunisti bolognesi volevano fargli capire che la storia del materialismo l’avevano presa sul serio. L’uomo è anche ciò che mangia, come aveva detto un filosofo tedesco precursore di Carlo Marx. Ma che cosa vuoi che ne sappiano i tedeschi, benché filosofi e materialisti, che son gente che mangia cervi con la marmellata di mirtilli, vien ben qué che gli facciamo sentire lo zampone con lo zabaione, o con i fagioloni bianchi, a preferenza vostra. Quindi, sfilate di partigiani, e tortellini. Dimostrazione del lavoro dei servizi sociali, e tagliatelle. Incontro con la rappresentanza dei compagni gasisti, e lasagne.
Alla fine della visita, dopo l’ennesimo assalto gastronomico al suo equilibrio biofisico, il moscovita prese da parte il compagno Fanti, e con un’aria complice, stirando le labbra sovietiche, gli chiese: «E le armi?». Sbigottimento di Fanti. Quali armi? «Dove le tenete le armi?», insisteva Molotov, con l’occhio illanguidito dal pignoletto, dall’albana, dal lambrusco di Sorbara e da diverse bottiglie di nocino proveniente da Pavullo nel Frignano. Con la sua dialettica petroniana, e con la sua logica felsinea, Fanti provò a spiegargli che il comunismo alla bolognese era qualcosa di pratico, roba tutta impegnata nel lavoro e nella costruzione della pace, ma la sfinge non demordeva: «Fatemele vedere».
Fin qui arriva la storia ufficiale, sulla quale nei giorni successivi i comunisti bolognesi si sono divertiti molto. Voleva vedere le armi, pensa te. Le armi! Poi però c’è la storia leggendaria. Una versione non autorizzata che complica un po’ le cose. Secondo questo racconto anonimo, il lucido Fanti, imbarazzato di fronte al dirigente sovietico che non voleva saperne della pace e del lavoro, fu costretto a confidarsi lì per lì con i compagni, in un consulto un po’ affannoso. Vuole vedere le armi. Non disse «questo coglione», ma lo fece capire con un cenno di sbieco del labbro superiore. Insiste. Non cede. Che si può fare? Se pretende di vedere le armi, tagliò corto uno di quelli spicci, facciamogliele vedere. Basta organizzarsi.
Si organizzarono alla svelta, saltarono su una capitalistica Fiat Millecento, e portarono il compagno Molotov in un caseificio in campagna, appena fuori da Borgo Panigale. Il casaro Jaures Boldrini era un compagno di quelli fidati. Si erano fatte quasi le due dopo mezzanotte, la campagna intorno era umida, faceva quasi freddo. Il casaro, tirato giù dal letto in fretta e furia, rabbrividiva. «Le armi? Quali armi?». Molotov apprezzò con un ghigno sovietico: la riservatezza innanzitutto. Bravo compagno. Un dovere assoluto, un imperativo morale per qualsiasi militante del movimento operaio internazionale.
Il sindaco democratico e pacifista Fanti, che sudava gelido, ebbe a malapena la prontezza di strizzare l’occhio. Le armi. Il compagno casaro si era svegliato del tutto. «Sono là dentro», disse ergendosi nella sua coscienza socialista e indicando un magazzino, praticamente sull’attenti. «Seicentosessanta pezzi, perfettamente stagionati, lei mi capisce».
Fanti e gli altri riuscirono a portare via Molotov senza fargli vedere le forme di grana padano che da ventiquattro mesi giacevano sugli scaffali, diffondendo anche all’esterno un odore, un aroma, un afrore, che ancora qualche decennio dopo il vecchio Fanti ricordava con il sottile piacere che talvolta si accompagna nella memoria all’ineffabile sensazione dei pericoli scampati.

Dal sito di “Tuttolibri La Stampa”

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