19.8.18

Londra nel 1737 (Giorgio Manganelli)



Nel 1737 Londra non era soltanto un luogo di rapinosa vitalità, il gran palcoscenico della vita. Era una città torva e sordida, incredibilmente sporca - giacché ancora non esisteva servizio municipale di nettezza urbana -, male illuminata; non pavimentate le strade, e prive di marciapiedi; mancavano fognature, condotti di scarico, così che ogni sozzura si accumulava e rifluiva nel centro delle strade; i rapporti del tempo insistono specialmente sui gatti e cani morti.
La popolazione vi era già assai fitta, oltre mezzo milione di abitanti, sui circa sei di tutta l’isola; ed era gente rissosa, manesca, villana, litigiosa; quando Johnson fece un breve viaggio a Lichfield, poco dopo il suo trasferimento a Londra, la madre gli chiese se lui, a Londra, era di quelli che si attenevano al muro o che camminavano in mezzo alla strada: giacché pare che le risse per questioni di precedenza fossero frequenti e violentissime. Grande era la miseria, per cui i suoi bassifondi brulicavano di ladri e prostitute; la Moll Flanders di Defoe, di circa vent’anni prima, ci mostra una città di piccoli delinquenti, miserabili e sventurati, che la gremivano in ogni suo quartiere, illustre o povero; il gin era pressoché l'unica e rovinosa letizia di quella gente poverissima e incanaglita; la mortalità era assai alta, ma in confronto degli inizi del secolo già cominciava a diminuire: per la fine del secolo sarà calata dal 5 al 2,5%. Ma vaiolo, dissenterie, tifo imperversavano tutto l’anno, e la mortalità infantile era altissima. Il traffico era intenso, rapido, pericoloso: le gazzette del tempo dànno pacato resoconto di sciagure stradali: carri si rovesciavano, si scontravano, si sfasciavano: e la gente moriva. Capitava di tanto in tanto che animali imbizzarriti, tori, mucche, percorressero la città di Londra; frequenti i cani idrofobi; la brutalità popolare si sfogava in risse, tumulti, non di rado linciaggi: una donnetta che vendeva uova guaste venne buttata nel Tamigi.
Vigeva allora in Inghilterra un codice di giustizia di stolta ferocia: furti anche modesti venivano puniti con l’impiccagione, per cui da un lato il ladro era esortato a divenire assassino, ogni qualvolta l’omicidio gli desse anche solo una speranza di maggior sicurezza; dall’altro il derubato che avesse traccia di pietà in cuore, preferiva patire un danno, piuttosto che farsi complice di un supplizio inevitabile ed assurdo. Frequente era la pena della gogna, che toccava in special modo ai calunniatori: nella quale categoria rientravano anche i libellisti, i polemisti temerari, i giornalisti litigiosi; toccò anche al Defoe, e poteva essere mortale, per la licenza che si faceva alla plebe di bersagliare lo sventurato con sassi e legni, oltre che con meno letali verdure; e qualcuno morì in quella morsa, solo per l’affanno, la vergogna, e la molestia del sole e della pioggia.
Della sordida sporcizia londinese lo stesso Johnson ci lasciò testimonianza, sebbene a nessuno più che a lui fosse cara l’enorme città: “Delle descrizioni che i viaggiatori ci dànno delle nazioni più selvatiche, niente è più nauseante della mancanza di pulizia: cosa di cui in nessuna parte del mondo si fa maggior scialo che per le strade della capitale inglese; città insigne per ricchezze, e traffici, e prosperità, e ogni sorta di civiltà e cortesia, ma che abbonda di tanto sudiciume, che anche un selvaggio lo riguarderebbe con stupore ... Chi ha trascorso anche un solo giorno in questa grande città, ben sa che l’attuale negligenza nella pulizia delle strade, e la mancanza di pavimentazione, non è cosa che si possa più oltre sopportare; né tollerare che in ogni luogo buche impreviste sorprendano e insidino il passeggero, o gli intralcino il cammino montagne di rifiuti; e che questa generale lagnanza non abbia ancora trovato soddisfazione, è prova bastevole che, al presente, non v’è funzionario o magistrato capace di ottenere tanto”.

Vita di Samuel Johnson, Adelphi, 2008

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