9.8.18

Sessantotto insolente. Quando Viale strappava i libri (Nicola Tranfaglia)

Guido Viale durante una manifestazione

È difficile, forse impossibile negare che la contestazione studentesca di trent’anni fa nelle aule universitarie italiane sia stata caratterizzata da una certa e insistita insolenza. Il giudizio si ricava dall’esperienza personale (ero già dall’altra parte, assistente volontario in procinto di assumere un insegnamento) ma anche dai documenti e dalle testimonianze che di quel momento rimangono. Insolenti gli studenti del Sessantotto prima di tutto verso l’istituzione università e verso i professori.
A Torino, il 22 novembre 1967, alcune centinaia di studenti assediano il senato accademico dell’Università che deve deliberare su un possibile trasferimento dell’ateneo nel parco della Mandria. (Si noti che oggi si fanno piani per trovare luoghi in cui trasferire le facoltà umanistiche e quelle scientifiche che difettano di spazi e di strutture). L’ultimatum è chiaro: «O ci lasciate entrare o sfondiamo la porta». Con un megafono - raccontano le cronache - imitano i tre squilli della carica, poi a spallate sfondano l’uscio e invadono l’aula. La seduta viene sospesa e riprenderà due ore dopo.
Nelle settimane successive si crea, di fronte all’occupazione della sede storica di Palazzo Campana, una divisione abbastanza netta tra i professori: una minoranza consistente di questi ultimi, e tra loro ci sono alcuni tra gli intellettuali più noti e prestigiosi dell’ateneo torinese, accetta di confrontarsi con i giovani, di sostituire alle lezioni cattedratiche incontri seminariali, di discutere il significato di quello che insegnano. Ma la maggioranza è troppo colpita dall’insolenza e si chiude in un indignato silenzio.
Gli occupanti scrivono in un loro volantino: «Non ci interessa che una ventina di studenti possano mettere in discussione i temi e i metodi di studio del seminario “pilota” di dialettologia, come ha proposto il professor Corrado Grassi, quando trecento studenti continuano a dover assistere passivamente alle lezioni del professor Giovanni Getto. Non ci interessa l’isola felice di Filosofia del diritto - come hanno proposto Norberto Bobbio e Alessandro Passerin d’Entrèves - quando Giuseppe Grosso e Mario Allara continuano a imporre cose inutili a mille studenti ricattandoli con le firme».
Qui il riferimento era alla frequenza obbligatoria che poteva prestarsi effettivamente a tirannie ma rendeva l’università italiana più simile a quelle europee, giacché, se non si frequenta, l'università non è che un triste esamificio. Mario Allara era il Magnifico Rettore contro il quale si appuntavano di più gli strali dei contestatori.
Ma forse l’episodio più significativo di insolenza all’Università di Torino fu la scelta di uno dei leader della contestazione, Guido Viale, di strappare i libri a quinterni durante i controcorsi organizzati dagli studenti per mostrare a questi ultimi visivamente come la cultura fosse divisa e incapace di restituire davvero il sapere nella sua integralità ai giovani. Su questo episodio era nata negli anni una leggenda che è stata raccolta dopo qualche tempo da Enzo Siciliano su “Nuovi Argomenti”. Lì e altrove si è parlato di un “rogo dei libri" compiuto dagli occupanti nell’Università di Torino. In realtà lo strappo dei libri aveva tutt’altro significato e si legava al tema della cultura divisa, spezzata che fu al centro di tante discussioni, dentro e fuori l’università.
L’altra insolenza fu quella esercitata contro la grande massa degli studenti che non partecipavano alle discussioni. Per molti mesi un’assemblea di qualche centinaio di studenti monopolizzò il rapporto con le istituzioni, parlò a nome di tutta la popolazione studentesca, presentò una carta rivendicativa che teneva conto soprattutto dei bisogni e delle esigenze dei frequentanti piuttosto che di tutti. Di fronte a questo e ad altri atteggiamenti insolenti ci fu da parte dell’università un muro di gomma: i voti salirono, gli appelli aumentarono, i piani di studio si liberalizzarono. Ma trent’anni dopo è impossibile concludere che l’università allora cambiò e divenne davvero moderna. Non lo è ancora.

L'Espresso 5 marzo 1998

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