4.10.18

Sessantotto. Il “fascista” Pingitore racconta: “Io a Praga fra i tank” (Antonio Carioti)

Praga 68. Protesta accanto al carro armato

Non era un granché ospitale la Cecoslovacchia, nell’agosto 1968: «Passata la frontiera, ci accorgemmo presto che i cartelli stradali erano sbagliati, seguendo le indicazioni per Praga rischiavamo di finire chissà dove. La popolazione li aveva rigirati per disorientare gli invasori sovietici».
Pier Francesco Pingitore, classe 1934, per gli amici Ninni, aveva fondato nel 1965 il Bagaglino, futura mecca del cabaret romano, poi fucina di spettacoli televisivi molto apprezzati dal grande pubblico. Nel 1966 aveva scritto con Dimitri Gribanovski una canzone in onore degli insorti di Budapest (intonata tuttora negli stadi, spesso con parole cambiate), per ricordare il decimo anniversario dell’intervento militare sovietico. Non poteva rimanere indifferente all’analoga aggressione contro la Cecoslovacchia.
«Per la verità — precisa Pingitore—l’intera vicenda del Sessantotto mi aveva coinvolto. Credo che un po’ tutti, al di là delle divisioni politiche, fossero attirati dalla ventata di giovinezza che attraversava una società apparsa fino a poco prima immobile, soddisfatta del benessere prodotto dal boom economico».
Pier Francesco Pingitore
Lui e gli altri padri del Bagaglino, come Luciano Cirri, Raffaello Della Bona, Piero Palumbo, venivano da esperienze di destra. Mario Castellarci aveva combattuto per la repubblica di Salò. Quando però nel 1967 Ernesto Guevara era stato ucciso in Bolivia, Pingitore gli aveva dedicato la canzone Addio Che, interpretata da Gabriella Ferri: «Ci definivamo anarchici di destra, una formula che in realtà non significava nient’altro che il rifiuto di tutte le etichette ideologiche. Quando esplose la contestazione, decisi di fare un film per raccontarla. Girai l’Europa. Raccolsi riprese degli scontri all’Università di Roma, delle barricate nel Maggio parigino, delle manifestazioni di Londra, Amsterdam, Berlino. In Francia l’operatore che era con me fu picchiato dai poliziotti. Poi in estate parve che la bufera si placasse».
Invece no. A Praga, nella notte tra il 20 e il zi agosto, entrarono i carri armati inviati dall’Unione sovietica per stroncare la Primavera di Alexander Dubcek. «Non appena lo seppi — ricorda Pingitore — partii di corsa con la mia macchina, un Giulia Sprint, insieme a un cameraman. Oltre ai cartelli spostati, ce n’erano altri con la scritta “Mosca km 1600”: un invito ai sovietici perché tornassero a casa. Il 22 agosto giungemmo a Praga e andammo all'ambasciata italiana. Trovammo solo funzionari: tutti i nostri connazionali arrivati per ammirare il socialismo dal volto umano erano partiti dopo l’invasione. E l’ambasciatore Nicolò Di Bernardo ci esortò caldamente a seguirli, perché rischiavamo di passare brutti guai».
Invece rimasero: «Non mi andava di tornare a Roma con la coda tra le gambe, anche perché la situazione offriva opportunità preziose per il film. Tenendo nascosta la cinepresa, riprendemmo le scritte sui muri che equiparavano i sovietici ai nazisti. E poi i ragazzi che si avvicinavano con coraggio ai carri armati: un po’ deridevano i soldati dell’Armata rossa e un po’ fraternizzavano con loro. L’atmosfera però era cupa, anche in piazza San Venceslao, dove alcuni giovani suonavano la chitarra. Non c’erano notizie di Dubcek, prigioniero in Unione sovietica, tutti sapevano che la Primavera era finita. Alloggiammo all’Hotel Savoy, deserto, dove in portineria una signora non più giovane, che di certo era stata molto bella, ci rivolse un appello accorato in francese: “Per favore, dite al mondo come ci stanno trattando...”».
Poi si diffuse la notizia che i sovietici stavano per chiudere le vie d’accesso: «Salimmo in auto — racconta Pingitore — e lasciammo Praga. Ma poco fuori città un carro armato ci sbarrò la strada e un soldato ci ordinò di fermarci, avvicinandosi al finestrino. Mi assalì la paura. Sul sedile posteriore c’era la cinepresa, coperta solo da un maglioncino: se l’avessero requisita, tutto il viaggio sarebbe stato vano. Allora tentai la mossa della disperazione per distrarre il russo. Scesi di scatto, prendendolo alla sprovvista, poi girai intorno alla macchina e aprii bagagliaio e valigia, tirando fuori mutande, magliette e calzini. Lui diede un’occhiata e ci lasciò andare. Guidai di filato per oltre venti ore: l’avevamo scampata bella».
Così le immagini di Praga invasa furono inserite nel film di Pingitore Dipingi di giallo il tuo poliziotto: «Usai come titolo la scritta goliardica che compariva sulle bombolette di vernice gialla vendute all’epoca da una libreria romana. Ma nessuno volle distribuire il film. Lo proiettarono per qualche tempo al cinema Quirinetta, dove fece litigare gli spettatori: quelli di destra lo trovavano troppo di sinistra, quelli di sinistra l’esatto opposto».

Corriere della sera, 5 agosto 2018

Nessun commento:

Posta un commento