6.11.18

Facciamo un gioco: ce lo chiede l’azienda (Irene Vajani)


Sommersa da feroci commenti sui social network per il goffo video girato nella filiale di Intesa SanPaolo di Castiglione delle Stiviere, la povera direttrice potrà forse trarre conforto dal sapere che migliaia di altri lavoratori di tutti i livelli – impiegati, dirigenti, agenti di vendita, informatori del farmaco, store manager, eccetera eccetera – sono coinvolti ogni giorno in attività simili.
Da anni ormai, non c’è evento aziendale che non contempli il famigerato team building, un’attività che originariamente doveva creare squadra, appunto, spirito di gruppo, ma ora spazia dall’engagement alla competitività, dalla “formazione esperienziale” al “problem solving” alla creatività.
Tutte le formule sono buone. Da un rapido giro tra le agenzie specializzate nell’organizzazione di eventi, sgorgano tipologie tra le più varie. Se le sessioni di fotografia e video, così come la caccia al tesoro e il karaoke, sono ormai un classico quasi banale, non mancano le esperienze di re-orienteering (sperduti nel bosco, trovare la strada per tornare alla base), il flash mob con canzone famosa riscritta su contenuti aziendali (definizione tecnica: “Lip Dub”); infilarsi in un dragone cinese col quale percorrere un tragitto pericoloso; tirare di scherma senza aver mai preso in mano una spada; costruire imbarcazioni con pezzi di cartone e plastica e remare fino a una boa, rischiando il naufragio dopo pochi metri; pedalare su cyclette per generare energia sufficiente a illuminare una scritta o gonfiare con la pompa un pallone enorme con il logo dell’azienda, oppure formare lo stesso logo indossando tutti magliette dello stesso colore e mettendosi in posizione, mentre un operatore fotografa la performance stando in cima a una gru.
E ancora. Preparare un finto telegiornale con conduttore e inviati che fanno finti servizi in diretta dalla sala accanto; guidare su circuiti automobilistici o correre in un percorso da rally tra dune e buche piene di fango; correre dietro a un pollo vestiti con abiti medioevali; trovarsi catapultati nel Rinascimento, e mettersi alla ricerca di un “manoscritto perduto”; fare indagini per trovare l’autore di un crimine o per ritrovare un collega rapito; partecipare a quizzoni ricalcati sui format televisivi, per non parlare della felpata “Operazione Gatto” organizzata per una forza vendita del settore petfood.

Modelle per un giorno
Nei settori del fashion – moda, accessori, cosmetica – o dei prodotti per la casa, dove il personale è al novantanove per cento femminile, le dipendenti sono spesso invitate a diventare “modelle per un giorno”, attraverso sfilate o servizi fotografici che le trasformano in ragazze-copertina, testimonial dirette dei prodotti che vendono.
Non si contano, poi, le popolazioni aziendali che si sono cimentate con strumenti musicali, tamburi, formazione di cori. Un mondo variegato, insomma, dove il costo di una progetto di team building può variare mediamente dai 5 mila ai 20-25 mila euro, a seconda della complessità e dei materiali richiesti.

Il testimonial
A volte, le aziende non hanno tempo, o spazio o soldi sufficienti per infilare nell’evento pure il team building. In quei casi, possono ricorrere al “testimonial esperienziale”: anziché mettere in gioco direttamente le persone, si fa intervenire qualcuno che funziona come esemplare vivente dei valori o dei messaggi di comunicazione che l’azienda intende trasmettere.
Anche qui, il campo è vastissimo. Praticamente tutti coloro che hanno superato oceani, montagne, deserti, o che hanno battuto record nelle più varie discipline, hanno un’attività parallela di partecipazione alle convention, con cachet che di solito non superano i 5 mila euro.
I più noti del panorama recente: Alex Bellini, specializzato in attraversamenti di oceani in barca a remi e di deserti a piedi; Max Calderan, anche lui deserti; Simone Moro, conquistatore di vette himalayane; Umberto Pelizzari, campione mondiale di immersione in apnea, tanto per fare alcuni esempi.
Il testimonial esperienziale è quello che racconta le sfide che ha affrontato, i limiti a cui si è spinto, e ciò che ha imparato: che ci vuole coraggio ma anche paura, che ognuno di noi ha risorse inesplorate, e quindi ce la potete fare anche voi (non a scalare una montagna, ma a far crescere il fatturato aziendale della percentuale indicata poco prima dal direttore vendite).
La categoria di esperti attualmente più gettonata è quella degli chef. Cuochi-filosofi, che uniscono alle performance di show-cooking una parlantina sciolta, il cosiddetto storytelling, adattabile ai temi della convention. L’obiettivo è dimostrare come l’execution (della ricetta) vada di pari passo con la creatività: si seguono delle regole, ma al tempo stesso si inventano nuove procedure.
Se poi il tuo lavoro è preparare un contratto di assicurazione, vendere dentifrici o illustrare il funzionamento di un farmaco, inventa pure la ricetta, ma solo la sera, quando torni a casa e il massimo che riesci a fare è sbucciare una banana e stappare una birra, prima di metterti sul divano a vedere in tv lo stesso chef del team building, che guadagna milioni di euro cucinando le uova.

Più convention per tutti
Il team building è solo uno degli ingredienti del più vasto universo delle convention aziendali, che spesso comprendono l’ingaggio di personaggi dello spettacolo, del giornalismo (soprattutto televisivo) e del cabaret per la conduzione degli interventi o per chiudere col sorriso impegnative sessioni di strategia aziendale.
Quasi tutti sono disponibili a condurre convention, con richieste economiche che la crisi ha un po’ compresso, rispetto a qualche anno fa. Per cachet inferiori ai 10 mila euro oggi si possono avere sul palco per esempio Serena Dandini, Nicola Porro, Sebastiano Barisoni, Fabio Caressa o Dario Vergassola. Ci vogliono invece oltre 20 mila euro per ingaggiare Enrico Mentana, Bruno Vespa, Ilaria D’Amico, Enrico Bertolino, Antonella Clerici, Giovanni Floris o Neri Marcoré.
Dopo il tramonto del programma Zelig, che forniva personaggi a getto continuo – il paesaggio dei comici si è ristretto e spiccano alcuni nomi molto costosi. Personaggi come Luciana Littizzetto o Maurizio Crozza hanno cachet che superano i 50 mila euro.
Ma il compenso top degli ultimi anni è stato quello di Checco Zalone, baciato dal successo cinematografico e ingaggiato tempo fa da una compagnia telefonica per ben 200 mila euro per un’oretta di spettacolo dopo cena. Grasse risate, soprattutto per lui.

Pagina 99, 20 ottobre 2017

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