24.11.18

La cotoletta? Si mangiava già 900 anni fa. Una pergamena storica e l'archivio che la conserva (Paolo Foschini)


La prima menzione del «Lumbulus cum panicio» in un menù dei canonici del 1148.
Con tutto il religioso rispetto dovuto a una biblioteca che custodisce mille anni di manoscritti, fino a ieri più segreti che nel Nome della Rosa, può darsi che i milanesi imparino presto a battezzare più alla buona un tale scrigno come l’«Archivio della cotoletta»: appellativo magari profano, ma con una sua innegabile sacralità alla luce della pergamena datata 1148 recante il menu offerto dall’allora abate di Sant’Ambrogio ai canonici della basilica e ai benedettini del monastero adiacente, l’attuale Università Cattolica, per celebrare la festività di San Satiro con un bel pranzo di addirittura nove portate – non poche per l’epoca – la terza delle quali consistente appunto in un certo qual «Lumbulus cum panicio» a cui non serve un latinista raffinato, in fondo, per essere oggi riconoscibile nella cara vecchia (e ora sappiamo quanto) lombatina impanata.
La pergamena della cotoletta

La nuova sede
È solo una delle curiosità che insieme con 55 volumi e 1.200 pergamene risalenti indietro sino al IX secolo, più altri manoscritti più recenti, costituiscono la «Biblioteca dell’Archivio capitolare della basilica di Sant’Ambrogio»: tecnicamente il nome esatto è questo. Un tesoro riservato finora alla consultazione di una ristrettissima cerchia di storici e bibliofili, che peraltro erano tenuti a conquistarsela con qualche affanno salendo i 65 gradini della Torre Cartolaria in cima alla quale il patrimonio, così segregato, è tuttavia sopravvissuto al tempo e ai bombardamenti. Da adesso però comincia un’altra storia: l’Archivio ha una nuova sede, due ascensori per accedervi, una sala consultazione «sobria ma funzionale», uno spazio per future mostre e conferenze. Il tutto protetto da un sistema di sicurezza all’avanguardia studiato dalla Fondazione Hrubi (perché «con 8 mila furti all’anno – ricordano i carabinieri – i libri antichi sono la cosa più rubata in Italia») e realizzato sul retro della basilica grazie al restauro curato dagli architetti Michela Spinola e Giovanni Antonelli Dudan. Naturalmente la consultazione degli originali, stante la competenza necessaria a maneggiarne la delicatezza, continuerà a essere riservata agli studiosi. Ma il concetto è che si tratterà di una biblioteca comunque «aperta» alla divulgazione, perché il suo contenuto divenga «patrimonio della città».

«Dono culturale alla città»
Ed è proprio come un regalo a Milano che l’arcivescovo vicario Erminio De Scalzi, abate della basilica, lo considera: un aspetto di quella «carità intellettuale – spiega – non meno importante degli altri due tipi di carità, materiale e spirituale, la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti ogni giorno di più». L’elenco di ciò che l’Archivio ha conservato attraverso i secoli, custodito oggi da Marco Petoletti e Miriam Tessera, è lungo. Se ne possono dare solo alcuni esempi, eccoli a seguire.

Documenti di pregio
Il Messale miniato dell’Incoronazione di Gian Galeazzo Visconti (1395), con i dettagli dell’altare d’oro e i leopardi copiati dal vero in quella specie di zoo che il duca aveva a Pavia. Il codice col Martirologio del Venerabile Beda e le uniche quattro lettere autografe giunte fino a noi da Santa Chiara d’Assisi. I preziosi antifonari noti ai malati di musica come i Corali di Crescenzago. Una monumentale Opera Omnia dello stesso Sant’Ambrogio redatta dal canonico Martino Corbo nel 1130, talmente importante da essere stata prestata al Concilio di Basilea nel 1431 solo previa «solenne promessa – si legge sotto il sigillo – di restituzione». Per fortuna, mantenuta.

“Corriere della Sera”, 4 dicembre 2013

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