2.12.18

Dicembre 1968, dopo la tragedia di Avola. L'editoriale di Emanuele Macaluso su “l'Unità”



LA TRAGEDIA di Avola, dove ancora una volta si è sparso sangue dei lavoratori, non è solo un fatto siciliano. Con questo attacco, proditorio e meditato, le forze reazionarie nazionali hanno voluto montare una grossa provocazione poliziesca e politica nel tentativo di bloccare il grande movimento di lavoratori, di studenti, di popolo in corso da diverse settimane in tutto il Paese. Questo movimento non si fermerà. Respingerà ogni provocazione e andrà avanti, unitariamente e combattivamente. È chiaro d'altra parte che lotte come queste per la loro grande combattività, per la loro forte impronta unitaria, per la loro estensione, per la qualità delle rivendicazioni che pongono sul tappeto richiedono anche un profondo mutamento dell'indirizzo politico del paese.
Non a caso l'eco di queste lotte era stata avvertita anche nelle assemblee congressuali socialiste ed era arrivata sinanco nel recente Consiglio nazionale della Democrazia cristiana. Da più settimane la grande stampa padronale conduce una campagna contro le rivendicazioni dei lavoratori, contro la richiesta di un reale ampliamento della vita democratica nelle fabbriche. nelle campagne, nelle scuole, invita perentoriamente i dirigenti del centrosinistra a stringere i tempi della crisi, a «mettere ordine nel paese». E noi sappiamo cos’è per certe forze l’ordine.
Emanuele Macaluso
Lo abbiamo visto in altre occasioni, anche in momenti di crisi politica, nel 1960 per esempio, e lo vediamo oggi, ad Avola. Non è certo difficile quindi individuare le forze che hanno spinto e hanno dato gli ordini per arrivare alla strage, perchè di una vera strage si tratta. Contro chi si ò sparato? Da sei giorni i braccianti siracusani unitariamente, con i loro sindacati — CGIL, CISL, UIL - scioperavano per avere un nuovo contratto di lavoro. Scioperavano e manifestavano nelle piazze, nelle strade, come la Costituzione prevede e come è diritto dei lavoratori che hanno solo quest’arma per far valere le loro legittime rivendicazioni. Gli agrari hanno rifiutato ogni trattativa e la prefettura di Siracusa è stata con gli agrari ritenendo esagerata la richiesta di modesti miglioramenti salariali e normativi.
È bene, ricordare che ci troviamo in una zona dove sono avvenute ampie trasformazioni agrarie e colturali pagate tutte dallo stato e dalla regione, pagate dal lavoro mal retribuito di migliaia di braccianti. Sul lavoro del bracciante in queste zone pesa e resiste una rendita fondiaria fra le più alte d'Italia — sei, settecento, ottocentomila lire per ettaro di rendita fondiaria — sul lavoro di questi braccianti è cresciuto il profitto capitalistico, la speculazione dei grossi commercianti di agrumi e di primaticci, il profitto degli industriali che conservano e trasformano questi prodotti nelle loro fabbriche del Nord.
Ponendo dunque con forza il problema del salario i braccianti siracusani hanno posto e pongono il problema della riforma agraria nelle zone trasformate, hanno chiesto e chiedono la fine delle rendite parassitarle e speculative, l'uso del danaro dello stato per trasformare e migliorare l'agricoltura, per sviluppare l’industria di trasformazione nelle loro stesse zone. È questo, del resto, il solo modo di uscire da una crisi che ha portato lo scorgo anno a distruggere — per obbedire al Mercato comune — cinquanta milioni di chili di arance.
Sono questi problemi che scottano, i problemi che arrivano sul tavolo delle trattative politiche fra i partiti deh centrosinistra a Roma e che non sfiorano neppure .1 governanti siciliani impegnati in una disputa vergognosa di sottogoverno che paralizza la regione. E noi affermiamo che non saranno certo lo mitraglie o le bombe a fermare la volontà dei forti braccianti siracusani e di tutti i lavoratori italiani, non saranno questi metodi a risolvere i gravi problemi sociali che le lotte propongono. Chiediamo intanto giustizia per i braccianti uccisi o feriti, per le loro famiglie, per le popolazioni aggredite e colpite, chiediamo in nome loro la condanna dei responsabili e, sul piano politico, non aggiustamenti a una vecchia, fallimentare politica che porta a questi sbocchi ma una nuova politica che affronti alla radice i problemi della Sicilia, del Mezzogiorno, del Paese.

“l'Unità”, 3 dicembre 1968

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