17.12.18

Evoluzione di un mito. Didone da Virgilio a Ungaretti e Brodskij (Alessandro Schiesaro)


Posto con gratitudine questa bella pagina di storia letteraria, scritta come recensione di una intelligente antologia: DIDONE. LA TRAGEDIA DELL’ABBANDONO. VARIAZIONI SUL MITO Virgilio, Ovidio, Boccaccio, Marlowe, Metastasio, Ungaretti, Brodskij a cura di Antonio Ziosi, Marsilio, 2018. (S.L.L.)

Illustrazione di Cecilio Rizzardini per il libretto
del melodramma Didone abbandonata di Pietro
Metastasio  per  la  musica  di  Domenico  Sarro 

Il giovane Agostino legge le sventure di Didone e si commuove. A torto, come ricorda nelle Confessioni. Versa lacrime per l'amaro fato della regina cartaginese, abbandonata e spinta al suicidio; manda a memoria gli errori di Enea, mentre, prima della conversione, ignora i propri. Al lettore di Agostino non serve neppure ricordare l’autore di questa storia, la più nota di tutta la letteratura latina, e l’unica, diranno i detrattori romantici dell’Eneide di Virgilio, degna di confronto con i capolavori dei greci. Della tragedia greca la storia di Didone è erede sofisticata, penetrante. È tragica, prima di tutto, la contrapposizione senza speranza tra l’amore della donna per lo straniero improvvisamente arrivato dal mare e il destino che viene imposto ad Enea, quello di proseguire per l’Italia e gettare le fondamenta di un nuovo impero. Ma impostata sui ritmi e i toni della tragedia è l’intera struttura drammatica dell’episodio: dopo un prologo nel primo libro del poema, Virgilio imposta il quarto in veri e propri ’atti’ che segnano il percorso inesorabile verso la fuga di Enea e la morte di Didone. E ancora, tragici sono i principali modelli che si leggono in filigrana: la passione violenta della Medea di Euripide, il suicidio dell’Aiace sofocleo.
Pochi anni dopo la morte di Virgilio, Ovidio celebra la qualità eccelsa di questa narrazione complessa, stratificata, perturbante. Lui stesso ne offre una lettura sottile, che recupera linee di tensione dissimulate, semina dubbi, suggerisce varianti. Dopo, il dialogo di poeti, pittori e compositori con testo principe della poesia romana prosegue ininterrotto per se coli; l’antologia curata da Antonio Ziosi, corredata da un ampio saggio introduttivo ricco di spunti originali, consente di ripercorrerne alcune delle tappe letterarie più stimolanti, dai recentissimi Brodskij e Ungaretti proprio a Ovidio, primo lettore e primo critico dell’Eneide, il cui racconto delle vicende di Didone Brodskij proclama “più convincente” del modello virgiliano.
Come sempre accade per testi letterari che mobilitano a livelli altissimi sapienza compositiva e genialità espressiva, ogni generazione, ogni autore, reagisce in modo originale, costruisce una “sua” Didone. Erede di un lungo dibattito stimolato dai padri della Chiesa, per esempio, Boccaccio delinea una Didone castissima, che preferisce la morte al disonore delle seconde nozze. Prevale però, di norma, un’altra Didone, disperatamente innamorata, vittima umana di uno schema divino, quello della fondazione di Roma, che calpesta senza remore i desideri e le aspirazioni dell’individuo: lo stesso amore di Didone è frutto dell’interessato intervento di Venere, preoccupata di assicurare al figlio una sosta tranquilla sulle rive africane. Sconfitta e sacrificata prima ancora che si alzi il sipario, Didone è incarnazione di una perdita e di un lutto. Muore con lei la dimensione umana del sentimento contrapposta all’imperscrutabile onnipotenza degli dei; muore la sua Cartagine, che i discendenti di Enea metteranno davvero a ferro e fuoco, amplificando le fiamme della pira sacrificale su cui si immola Didone e che Enea scorge da lontano mentre fugge.
Per i contemporanei, Didone è soprattutto simbolo di esilio, perdita, distruzione. I Cori di Didone di Ungaretti decostruiscono in testi brevi e spezzati, la solida architettura epica del libro virgiliano. Ispirati alla poesia per musica di Monteverdi, anche questi Cori saranno musicati da Luigi Nono nel 1958, un lontano omaggio al Didone ed Enea seicentesco di Henry Purcell. Ma questa Didone è emblema di un declino esistenziale, ridotta a «cosa in rovina e abbandonata», come la sua città, che «anche le sue macerie perse» quando i Romani versarono sale sulle mure abbattute di Cartagine per assicurarsi che mai sarebbe risorta. Una Didone non lontana, per molti versi, dal Palinuro che Cyril Connolly, pochi decenni prima, aveva identificato come emblema di una melancolia esistenziale, di un allontanamento dagli spiriti vitali (non è un caso che Palinuro abbia esercitato un fascino notevole anche su Ungaretti). E neppure dalla Didone di Brodskij, vittima di altri esili e di altre crudeltà del potere.

“Il Sole 24 Ore – Domenica”, 2 settembre 2018

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