10.12.18

Il tramonto infuocato della filibusta. Un romanzo di Valerio Evangelisti (Mauro Trotta)


Dopo aver portato a conclusione la saga dell’inquisitore Nicholas Eymerich, Valerio Evangelisti termina anche quella relativa ai Fratelli della Costa. È uscito di recente, infatti, l’ultimo volume della trilogia dedicata alla Filibusta, intitolato Cartagena. Gli ultimi della Tortuga (Mondadori, 2012).
Anche questo romanzo, come i precedenti Tortuga e Veracruz, oltre al racconto I fratelli della Costa, pubblicato nell’antologia Anime nere, che ha dato il via nel 2007 a tutta la saga, è assolutamente godibile indipendentemente dagli altri, non richiede, cioè, la conoscenza degli avvenimenti narrati in precedenza. Naturalmente chi ha già letto gli altri romanzi, ritroverà in quest’ultimo personaggi apparsi in precedenza, coglierà i legami sottili che, comunque, legano tra loro i volumi della trilogia e soprattutto apprezzerà appieno la tesi di Evangelisti che, con le sue implicazioni storiche, sociali e politiche, è alla base di tutta la vicenda della Filibusta.
Il punto di vista dell’autore sui protagonisti degli eventi narrati, infatti, non ha assolutamente niente di romantico o idealizzato. Per Evangelisti i pirati non incarnano assolutamente la figura del ribelle, né tanto-meno del rivoluzionario che vuole cambiare lo stato di cose esistente per instaurare relazioni sociali più giuste e più umane. I filibustieri non sarebbero nient’altro che gli anticipatori, in qualche modo gli archetipi, del nuovo sistema capitalista fondato sul libero mercato che si prepara in quel periodo a conquistare il mondo intero. La ricerca del profitto, la predazione, lo sfruttamento del lavoro altrui, della schiavitù è alla base della loro concezione del mondo. E nessun ostacolo deve frapporsi tra loro e i loro obiettivi. Capitalisti ante litteram, sono allergici a qualunque laccio e lacciuolo tenti di frenare o regolamentare l’estrazione del profitto e ben consci della necessità di travolgere l’ordine sociale esistente fondato su monarchia e aristocrazia per poter instaurare il nuovo sistema economico e sociale. Del resto il loro fine è «instaurare il libero mercato». E, come afferma esplicitamente il governatore Ducasse, in pratica il vero capo della fratellanza: «Noi, coloni e filibustieri, siamo le avanguardie di tale progetto». E, ancora: «Stiamo fondando da decenni qualcosa di diverso dalla vecchia Europa».
È trascorso oltre un decennio dagli avvenimenti narrati nei precedenti romanzi della saga. Cartagena racconta, infatti, fatti ed eventi avvenuti nel 1697 e la storia è incentrata sul crepuscolo della confraternita dei pirati. I tempi gloriosi della Filibusta sono ormai passati. Non ci sono più capitani come Michel De Grammont o Van Hoorn, figure mitiche e carismatiche. L’ultimo rimasto di quella caratura, Lorencillo, è lontano, in Francia, a difendersi in un processo. Tortuga non esiste più, il covo storico dei filibustieri, quella sorta di repubblica indipendente è stata praticamente rasa al suolo e abbondonata.
Gli ultimi pirati si sono rifugiati, assieme ai bucanieri, sulle alture di Saint-Domingue, la parte francese dell’isola di Hispaniola. Qui governa Ducasse, ex mercante di schiavi e avventuriero, in pratica uno di loro.
Si respira, dunque, fin dall’inizio, un’aria di decadenza, di tramonto, di fine imminente. Il Re Sole, impegnato in una delle sue tante guerre, quel-la dei Nove Anni, ha bisogno di rimpinguare le finanze dello stato francese. Invia allora nei Caraibi una flotta comandata dal nobile De Pointis col compito di saccheggiare una delle più floride e ricche colonie spagnole, ovvero Cartagena. Per portare a termine l’impresa, però, c’è bisogno dell’aiuto della Filibusta. Così Ducasse raduna gli ultimi pirati e con i suoi coloni si schiera a fianco della flotta francese. Si tratta, però, di due universi opposti, tra loro inconciliabili e i contrasti non tardano a manifestarsi.
Innanzi tutto tra i due capi, il nobile ammiraglio e il plebeo governatore.
Tutta la vicenda, come nei precedenti romanzi, pur narrata in terza persona è vista attraverso gli occhi di un singolo personaggio. In questo caso il protagonista e una figura in qualche modo a metà tra i due mondi. Si tratta di Martin D’Orlhac, braccio destro dell’ammiraglio De Pointis, con un passato di ladro e sicario all’interno della Corte dei Miracoli parigina. D’Orlhac – il cui vero nome è Dorlhac, ma è stato necessario rendere più aristocratico il patronimico nel momento in cui è stato accolto tra i vertici della gerarchia militare – non tarderà a subire, anche a causa della propria storia passata, il fasci-no e l’attrazione della fratellanza.
Non manca, poi, nel romanzo, un’inconsueta figura di dark lady, ingenua all’apparenza, ma pericolosa, che porterà la sventura nella vicenda del protagonista.
Tra avventura, battaglie, efferatezze, tradimenti e colpi di scena, il racconto si snoda appassionato e avvincente e la fine della Filibusta viene resa ancora più indimenticabile dalla solita, straordinaria maestria della scrittura vivida e tagliente di Valerio Evangelisti. Ma soprattutto, al termine del romanzo emergerà in tutta chiarezza il legame che unisce quell’epoca lontana alla nostra, con una sorta di inaspettata genealogia che evidenzia concretamente in che modo il capitalismo attuale si sia nutrito dell’apporto dei mitici filubustieri.

"il manifesto", 11 dicembre 2012



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