7.1.19

Fratture generazionali. 1966, Caterina Caselli al Festival di Sanremo (Bianca Pitzorno)


Nel bel libro di Luigi Manconi sulla musica leggera italiana, uscito qualche anno fa è contenuta la testimonianza di Bianca Pitzorno che volentieri riprendo. (S.L.L.)


Nel gennaio 1966 venni invitata a far parte di una delle giurie popolari del Festival di Sanremo, quella appoggiata alla sede del quotidiano sassarese La Nuova Sardegna.
La giuria, credo per regolamento, doveva comprendere una percentuale di «giovani».
Nel nostro caso, oltre me, che avevo 23 anni, venne chiamato Luigi Manconi, che ne aveva 17. Conoscevo Luigi da sempre, non solo perché era il «fratello piccolo» della mia amica Paola, ma perché quattordicenne era stato abbastanza coraggioso e spiritoso da recitare una parte in una commedia musicale da me scritta e diretta, unico maschio in una compagnia teatrale interamente femminile. Entrambi venivamo considerati in città dei giovani «ribelli», anche se il fatto che a scuola - io ormai frequentavo l’università - avessimo ottimi voti ci procurava una certa indulgenza anche da parte dei benpensanti. Luigi si occupava già di canzoni, stava per mettere in scena uno spettacolo di canti politici e popolari sul modello del Ci ragiono e canto di Dario Fo. Io avevo fatto delle ricerche comparative sui testi dei «nuovi» cantautori e quelli delle canzoni italiane degli anni ’20 e ’30. Entrambi l’anno successivo ne avremmo scritto sulle «Pagine dei giovani» della Nuova Sardegna. Forse anche per questo eravamo stati chiamati a far parte della giuria.
Gli altri membri erano il vecchio direttore del giornale, due signori tra i quaranta e i cinquanta, forse giornalisti o professionisti, e una signora sulla quarantina, molto truccata, vistosa ed esuberante. Ai nostri occhi apparivano tutti e quattro molto anziani, tanto che ci sembrava ridicolo e inappropriato che lei civettasse con tante moine e che i tre maschi la corteggiassero con battute di spirito a nostro avviso idiote.
Seduti nella sala riunioni del giornale davanti a un grande televisore guardammo così tutti insieme il Festival di Sanremo.
La frattura generazionale si manifestò evidentissima quando sullo schermo apparve Caterina Caselli, per la prima volta a Sanremo, per la prima volta con la famosa pettinatura inventata per lei dai Vergottini, che si erano ispirati ai Beatles e che le valse l’appellativo di «Casco d’oro». A differenza delle altre cantanti in abito da sera, era vestita con giubbotto, pantaloni e stivaletti da «mods».
Gli altri giurati inorridirono a sentirla cantare, anzi gridare con mosse per loro sguaiate, Nessuno mi può giudicare. (La canzone in origine era destinata a Celentano, che però le aveva preferito Il ragazzo della via Gluck.)
Luigi e io invece ci entusiasmammo. Caterina ci sembrava l’emblema dei nostri coetanei, e come lei anche noi rifiutavamo di essere giudicati da quei ridicoli matusalemme che ci sedevano al fianco.
Al momento di votare naturalmente votammo per lei, ma fummo messi in minoranza. Probabilmente accadde lo stesso nelle altre centinaia di giurie sparse in tutta l’Italia, perché quell’anno vinse Dio, come ti amo, cantata dalla soave e rassicurante Gigliola Cinquetti in coppia con Mimmo Modugno.
Però l’esordiente “Casco d’oro” si piazzò al secondo posto, in testa ai molti altri cantanti già famosissimi.
Al momento di salutarci noi due «giovani» e il resto della giuria ci guardavamo come al di là di un crepaccio che ci si era appena aperto sotto i piedi. Noi gasatissimi, loro spaventati, sospettosi, diffidenti. Non c’era alcun dubbio che il mondo stesse cambiando.

Luigi Manconi, La musica è leggera, Il saggiatore, Milano, 2012

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