12.1.19

“Gilet gialli. Il M5S vuol ritrovare l’innocenza perduta”. Intervista a Marco Revelli (Silvia Truzzi)



Mi stupisce lo stupore”, spiega Marco Revelli riferendosi all’accoglienza ricevuta dalle dichiarazioni del ministro Di Maio a proposito dei gilet jaunes. “Mi sembra naturale che i 5Stelle cerchino di accreditare una fratellanza con i gilet gialli. Può restituire loro un po’ della freschezza perduta: in pochi mesi di governo hanno dilapidato buona parte della loro carica di protesta. In Francia emerge un movimento ambivalente e contraddittorio, che tuttavia esprime una rivolta sociale politica dal basso e per certi aspetti ricorda il radicalismo delle origini dei 5Stelle. Come può stupire l’interesse del capo politico dei grillini? È evidente che non può che fargli bene intercettare un po’ del vento di protesta”.

Un’unione possibile? I leader dei gilet jaunes danno risposte contraddittorie.
Mi pare che i grillini sottovalutino il fatto che i populismi di nuova generazione sono attraversati da forme più o meno esplicite di nazionalismi o radicamento nazionale che li rendono poco compatibili con alleanze trasversali, se non con operazioni di assemblaggio di mosaici molto traballanti. Si aggiunga che ai francesi l’Italia non è simpatica. I gilet gialli non hanno interesse a imparentarsi con una forza politica che perde progressivamente la spinta propulsiva originale.

Andare al governo fa sempre perdere l’innocenza, no?
Certo. Ma che i 5Stelle la perdessero con tanta rapidità e lasciandosi divorare dal socio di minoranza non era così scontato. Oggi, davanti all’impoverimento della componente sociale della politica del governo, si risponde accentuando la disumanità del programma securitario e xenofobo: l’avevamo messo in conto ma non in questa dimensione. La cifra del governo gialloverde è l’ostentazione del disumano, più che la tutela dei diritti sociali.

È ragionevole immaginare che in vista delle elezioni europee i 5Stelle cerchino alleanze fuori dai confini nazionali. Di Maio ha detto di aver incontrato i polacchi del Kukiz’15, i croati di Zivi zid e i finlandesi di Liike Nyt.
Sì, ma teniamo separate le due questioni. I gilet gialli sono a livello europeo il fenomeno più interessante degli ultimi mesi, per tenuta ed estensione. Sono la vera spina nel fianco di una tecnocrazia europea incredibilmente sorda e cieca. È così stupido ridurre il movimento alle sue ali estreme, black bloc e casseur che ci sono, ma non sono certamente la componente determinante. Il guaio è che non si è ancora preso coscienza del fatto che nel secondo decennio del nuovo secolo non esistono conflitti sociali puliti. Qualsiasi conflitto sociale si apra è attraversato da ambivalenze, da rivendicazioni che erano state tradizionalmente della sinistra sociale e da altre forme di chiusura che appartengono alla destra.

Perché accade questo?
Perché si è scomposta la struttura di classe della società, le culture politiche sono state dismesse e le ideologie non aggregano più. Io continuo a considerare salutari i conflitti, quelli non cruenti naturalmente, perché una società senza conflitti è morta, è una palude senza vento. La democrazia si alimenta di conflitti sociali. E oggi il conflitto è ambiguo: questo significa che chi è affezionato alla democrazia non può né liquidarli né demonizzarli. Certo, sono politicamente molto difficili da gestire perché non hanno una natura costituente, ma destabilizzante nei confronti del potere. E il potere francese, Macron, merita di essere esserlo.

C’è molta differenza tra l’espressione del dissenso in Italia e Oltralpe. Si dice che i francesi sanno fare le rivoluzioni e noi no, ma contemporaneamente loro non molto tempo fa hanno votato un Manchiurian candidate e qui invece hanno vinto le forze anti-sistema.
Il voto a Macron ha due forti connotazioni: da una parte l’esprit republicain che ha impedito a molti di votare Marine Le Pen, e dall’altra parte il messaggio di discontinuità con il passato lanciato da Macron che ha generato un’illusione di cambiamento. Un sogno che per la maggior parte dei francesi è svanito: sono rimasti a sostenerlo i ceti affluenti, Macron è davvero les président des riches. Un monarca con la puzza sotto al naso rispetto al suo popolo.

Cosa pensa dell’Internazionale della democrazia diretta, evocata da Di Maio?
Mi pare una boiata pazzesca, come direbbe Villaggio. La strategia europea di Di Maio mi sembra difficilmente praticabile. Questi movimenti di protesta dal basso non sono facilmente articolabili su scala politica. Lasciando da parte i finlandesi di Liike Nyt, che sono davvero altra cosa, i croati e i polacchi che Di Maio vorrebbe riunire in un ipotetico eurogruppo sono, e qui scomodiamo invece Cochi e Renato, tacchi dadi e datteri. I polacchi sono una formazione conservatrice con un programma di estrema destra. I croati di Zivi zid sono un gruppo che ha come programma politico la difesa degli ultimi e come obiettivo impedire gli sfratti. Non si capisce cosa c’entri con i polacchi o i finlandesi che sono un movimento iperliberista. Mi pare un’accozzaglia di forze che hanno come comune denominatore solo qualche riferimento movimentista.

Il Fatto, 11 gennaio 2019

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