7.2.19

Animali «guaritori» di uomini: gli insetti alchimisti (Mirella Delfini)



Se durante un viaggio in Sud America o in Uganda ci capitasse di vedere un indigeno che si fa mordere dalle formiche per purificarsi il sangue e stimolare - come dicono per esempio gli indios boliviani - il piacere di vivere in buona salute penseremmo che è gente selvaggia e piena di superstizioni. Invece hanno ragione loro: un morso di formica al giorno ti leva il medico di torno.
Grazie a una ricerca che ha impegnato per cinque anni un gruppo di studiosi dell'Università di Sydney, in Australia oggi sappiamo per esempio che la terribile formica detta bulldog toro, bisbetica e grossa quanto una vespa secerne almeno venti sostanze diverse capaci di sconfiggere miceti e batteri e quindi molti agenti responsabili di malattie anche umane.
Il problema che ci può affliggere è come facessero a saperlo i contadini australiani o gli indios della Guyana o gli ugandesi delle rive del Nilo bianco i quali si curavano cosi già da parecchi secoli magari con altre formiche brave anche loro a produrre antibiotici (lo sono tutte, benché usino formule diverse). Prima o poi dovremo ammettere che la tradizione popolare ha acquisito col tempo molte verità anche senza servirsi di quei metodi che noi, giustamente, consideriamo razionali e scientifici.
Il fatto è che provando e riprovando oggi con un erba, domani con la cera d'api e poi ancora dopodomani con la muffa e con qualche altra diavoleria, se uno per caso azzecca la strada giusta sopravvive, e la insegna agli altri. Quello che ha sbagliato è facile che vada invece al Creatore e del suo rimedio non se ne fa più nulla. Le formiche, evidentemente, avevano dato buoni risultati.
Infatti nelle antiche ricette si trovano infusi impacchi, distillati vapori puree macerazioni e spesso anche morsi di formica suggeriti come cura. Nel famoso Tesoro degli Arcani Farmacologici scritto da un religioso bergamasco nel XV secolo, frate Felice, si consiglia una certa Acqua di Magnanimità, ossia un vino medicato con estratto di formiche e addolcito con miele. Massimiliano d'Asburgo ne beveva sempre un bicchiere quando gli toccava andare in battaglia e mostrarsi coraggioso. Poi, nel 1670 lo studioso tedesco Fischer scoprì che la formica ruta produce l'acido formico, che non è solo disinfettante, ma ha molte altre virtù. Lo elaborano anche certe piante come le ortiche ed è presente negli aghi d'abete.
Nel secoli passati si conoscevano motte sostanze fabbricate dagli insetti per esempio la pericolosa cantaridina (isolata da Robiquel nel 1810) che si era fatta una fama come afrodisiaco. Qualcuno ricorderà che un tale un paio di anni fa, si è lasciato convincere a prendere polvere di cantaride per passare una “notte brava” ed è motto tra atroci dolori. Applicata sulla cute, e con cautela, sembra invece che la sostanza sia utile in caso di perdita dei capelli. Nella farmacopea dell’antica Cina esistevano molti medicamenti costituiti in parte da insetti essiccati e polverizzati, oggi esposti in preziose bottigliette nel Museo di Storia naturale di Pechino.
La medicina popolare, campagnola ha sempre usato il veleno delle api contro i reumatismi, la seta con cui il ragno fabbricala sacca delle uova come emostatico e il povero odiato pidocchio per bocca, come cura nelle epatiti acute e croniche. Secondo studi recentissimi il pidocchio, o meglio la modificazione dell'emoglobina umana compiuta dal pidocchio, che si nutre di sangue, stimolerebbe gli interferoni capaci di inibire la moltiplicazione dei virus all'interno delle cellule Ma siamo ancora all'abbicì di questa ricerca.
I gentiluomini del Settecento mettevano dentro le loro tabacchiere polvere di Aroma moschata, un coleottero verde con lunghe coma, deliziosa mente profumato, per migliorare il gusto del tabacco Oggi sappiamo che l’Aroma produce sostanze capaci di combattere molti batteri, e sicuramente quei nobili signori fiutando il loro tabacco aromatizzato si difendevano anche dai germi del raffreddore e del mal di gola.
In realtà la scienza non sa ancora un granché di queste sostanze animali, ne conosce pochissime e neppure troppo bene. Facciamo un ipotesi, immaginiamo che i misteri della biologia molecolare siano riuniti in cento volumi, grandi ognuno come un comune dizionario. No, non sono troppi. La biologia molecolare fonde insieme due scienze la biochimica, che studia le sostanze costitutive degli organismi viventi e le loro complesse interrelazioni e la biofisica che studia le forze fisiche e i fenomeni implicati nei processi biologici. Anzi, è probabile che cento volumi non bastino
Finora l'uomo ha decifrato poche frasi qua e là e non è riuscito neppure a capire l'indice che gli darebbe almeno un'idea del piano dell'opera. Ogni tanto, come in un rebus, qualcuno afferra una parola. Ma come in un rebus le parole isolate non bastano. Ed ecco che gli studiosi della facoltà di Scienze biologiche di Sydney, diretti dal professor Andrew Beattie, hanno decodificato qualche altra frase. Il capitolo nel quale sono andati a frugare non era proprio un campo vergine. Diciamo che è demivierge: sono almeno cinquant'anni che naturalisti e ncercatori curiosi, con l'aiuto di nuovi e sofisticati mezzi come il microscopio elettronico, stanno indagando sui misteri dell'ultrastruttura e della biochimica cellulare, e cercano di apprendere qualcosa di più sulle innumerevoli sostanze prodotte dagli invertebrati,
Nel 1947 lo studioso Mario Pavan, oggi direttore dell Istituto di entomologia dell Università di Pavia, aveva trovalo una sostanza chimica nuova per la scienza nella termica argentina, la piccola e insopportabile Iridomyrmex humilis che invade sempre le nostre case Si trattava del primo antibiotico e insetticida di origine animale, e fu battezzato iridomirmecina. Non ha nulla a che vedere con l'acido formico, che la Indomyrmex non produce. Pavan e Nascimbene si accolsero che l'estratto mostrava una notevole attività antibatterica verso numerose specie di microbi come quelli del tifo, paratifo, carbonchio, melitense, colera e tubercolosi, ma soprattutto era efficacissimo come insetticida.
La struttura completa della indomirmecina venne poi pubblicata nel 1955 e in pochi anni centinaia di specie di insetti e di altri artropodi cominciarono a essere studiate inn Italia e all'estero Valcuroni e Vita Finsi recensirono verso la metà degli anni Settanta circa 500 lavori di biòlogi che si erano dedicati a questa ricerca, e oggi sappiamo che le sostanze nuove, oltre agli iridoidi (simili all'iridomirmecina), sono moltissime.
Negli stesti anni Pavan aveva studiato la secrezione delle formiche della specie Dendrolasius fuliginosus che nella cavità degli alberi fabbrica grandi nidi scuri con centinaia di cunicoli e «stanzette». La sostanza, detta poi dendrolasina, serve probabilmente alle formiche per difendere e disinfettare le loro case. Là dentro intatti non si formano mai le muffe, nonostante l'umidità e l'ambiente favorevole, e nessun seme o spora può germogliare, perché le formiche sanno come bloccarne l'attività. Perfino le aggressive formiche razziatrici di schiave (tra le formiche lo schiavismo esiste ancora) scansano quel fortilizi con molta cura. Se per caso un operaia di altra specie dovesse venire contaminata con quel «profumo», al ritorno in patria verrebbe assalita dalle consorelle, che non la riconoscerebbero più come una di loro. In pratica, l’odore estraneo fungerebbe come una divisa da soldato nemico». Bisogna ammettere che le formiche ci battono sempre: una guerra così diabolica non l'avevamo ancora pensata. Allora perché non usare anche noi questi insetticidi, che non sono affatto tossici per gli animali a sangue caldo?
Quello delle sostanze prodotte da invertebrati di terra e di mare è un campo sterminate ed A un lavoro al quale un gterane ricercatore potrebbe dedicarsi con successo. Tutto è nuovo, e tutto è possibile, specialmente con I mezzi che la tecnica oggi ha a disposizione.
Pochi sanno, per esempio, che due ospedali del nord Italia (l'ospedale Maggiore di Novara e Arciospedale di Reggio Emilia) usano già una sostanza ricavata da un insetto per guarire piaghe resistenti a qualunque trattamento. Si tratta di un «veleno, capace di provocare dermatiti con necrosi che può Invece - se utilizzato in dosi inferiori al milionesimo di grammo - guarire anche grandi ulcere persistenti da anni, Su questa linea stanno lavorando gruppi di scienziati in Giappone, Inghilterra e Usa. Ma per il momento la sostanza - chiamata pedenna dal Paederus fuscipes, un coleottero che la produce - non si può ancora riprodurre in laboratorio. In natura, dicevano gli antichi, c’è proprio tutto. Basterebbe cercarlo.

“l'Unità”, 3 febbraio 1989

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