27.2.19

Quiz televisivi. Le professoresse (Paolo Di Stefano)



Si può discutere, naturalmente, sulla riuscita di un telequiz come L’eredità.
A me piace, e appena posso lo guardo volentieri, cerco di rispondere alle domande, impreco contro i concorrenti che mostrano una cultura meno che elementare (sono parecchi), quelli che collocano il Monte Bianco in Sardegna e il Muro del pianto a Berlino o quelli che ritengono che Hitler sia diventato cancelliere nel 1948 (o nel 1964 o nel 1978, come hanno risposto a raffica tre concorrenti successivi). Liberissimi, in casa propria, di confondere un pronome con un gerundio, ma mi chiedo con che faccia tosta ci si presenti all’Eredità privi di un minimo di cultura generale.
Viceversa, ammiro quei pochi che esibiscono ampie competenze di musica, sport, scienze, grammatica, letteratura, storia e geografia. Tifo per quelli che arrivano al quiz finale dove bisogna individuare la parola che accomuna i cinque vocaboli rimasti in gioco. Non è semplice: ci vuole intuito, cultura, capacità associativa, concentrazione.
Apprezzavo la leggerezza un po’ fanciullesca di Fabrizio Frizzi: mi piace molto meno la chiacchiera invadente e il tono sempre alterato e sopra le righe di Flavio Insinna. Ma quel che mi deprime è il ruolo delle «nostre meravigliose Professoresse!», quattro belle ragazze-vallette chiamate a esibire colpi d’anca, rotazioni di chiome e di braccia, oltre a leggere ogni tanto una decina di righe esplicative (per questo si chiamano Professoresse ma sembrano scolarette) e in chiusura alzare il calice dello sponsor con il vincitore. Mi chiedo come facciano a non deprimersi loro per prime, essendo lì per «proporre la simpatia, i sorrisi e le pillole di curiosità» (dal sito Rai), accompagnate dalla caciara del conduttore.
Sarà una questione di ironia, la presenza delle sexy Professoresse sculettanti e sorridenti? Post o neo ragazze coccodè, parodie di una parodia oppure goffa ripetizione di un’idea nazionalpopolare della donna sciocca e decorativa, mentre sull’altro canale fa dolceamara mostra di sé l’impegno civile dandiniano. Ci si chiede, nell’anno del Me Too, se per una tv pubblica non ci sia una dignitosa via di mezzo tra la retorica patetica e la persistenza sfacciata del cliché. E rimane il dubbio se la trave di Weinstein & Co sia tanto più scandalosa della pagliuzza quotidiana televisiva.

Corriere della Sera, 18 dicembre 2018

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