26.3.19

Ieri, oggi e domani. Carmela Ferro, detta «Marechiaro», che partoriva figli per evitare la galera (Monica Bottino)

Carmela Ferro negli anni 60 del Novecento
Carmela in galera non ci andò. Non subito, almeno. Restò libera per anni. Grazie ai suoi figli, dieci, portati in grembo uno dopo l’altro per amore, sì, ma anche per sfuggire al carcere. Per evitare quella cella che aspettò invano per anni una donna, contrabbandiera magari, ma pur sempre una madre. Che la legge protegge dalla galera. E lei, Carmela, questa cosa la sapeva bene.
Carmela Ferro, 74 anni, si è spenta due giorni fa nei vicoli di Genova proprio accanto a una dei suoi figli, una di quelli che le sono rimasti. Qualcuno portato via dal destino, qualcuno dalla malavita. Quella malavita della quale lei, napoletana trapiantata nei carruggi, era stata regina incontrastata fino alla fine degli anni Sessanta e anche più avanti. Quando si diceva che nei vicoli di Genova la legge la dettava Marechiaro. Quello era il nomignolo di sua madre, ma poi le era scivolato addosso e le era rimasto appiccicato anche quando era diventata la moglie di Francesco Fucci «Mano ’e pece», boss storico della Napoli trapiantata sotto la Lanterna, un uomo sempre con la pistola in mano.
Il rispetto Carmela, lineamenti fini, capelli biondi e occhi verdi, se lo era conquistato. Tanto che addirittura la sua fama aveva scavalcato gli ambiti ristretti dei carruggi ed era arrivata a Roma, fino a uno come Vittorio De Sica, che la storia di Marechiaro e di come fece venire al mondo i suoi dieci figli, l’aveva fatta diventare un film. Ieri, oggi e domani, il titolo. E Marechiaro aveva ispirato un’indimenticabile Sophia Loren nel ruolo di Adelina, mamma contrabbandiera, moglie di Carmine, Marcello Mastroianni, disoccupato. Adelina-Loren vive a Napoli e per sfuggire alla galera fa figli e ancora figli, vivendo in uno stato di gravidanza perenne. Fino a che...
Come Carmela. Chi la conobbe da giovane dice che bastava una sua parola e Genova, quella Genova che vive da piazza De Ferrari in giù, sotto via Garibaldi fino al mare, si fermava. All’epoca nei vicoli c’era la legge dei boss napoletani e tanti immigrati conoscevano Marechiaro che si beccò 19 mesi per contrabbando di sigarette. I genovesi, invece, non ci andavano nei carruggi, a meno di non abitarci. Allora era un’altra cosa. Carmela era una donna «d’onore». Chi l’ha incontrata negli ultimi anni la descrive ormai come una bisnonna, una signora anziana con molti acciacchi, divenuta anche sensibilmente devota. Una sola cosa restava di quell’antica fierezza. Nello sguardo con il quale guardava i suoi figli, e poi i nipoti e i pronipoti, c’era lo stesso profondissimo amore.
Sulla porta del suo palazzo ora c’è appeso un biglietto attaccato con un fiocchetto viola: «Funerali martedì alle 11», recita. La gente passa indifferente. Marechiaro è un nome che non dice niente ai più giovani e anche quelli di mezz’età hanno i ricordi appannati. Non è più come quando, a decine e decine, i napoletani-genovesi si erano radunati alla stazione per vederla portare via. E tentare di fermare quei poliziotti che dovevano condurla - finalmente - in galera. Era il 1968. L’avevano beccata Carmela, tra una gravidanza e l’altra. Quando non era latitante. «Scappavo, se non restavo incinta», disse lei. E, fiera, salutò i suoi parenti salendo sul treno che la portava a Napoli, in carcere. Una napoletana ha scritto un capitolo nella storia dei vicoli di Genova. Strano. Ma vero. Quel pezzo di Napoli che viveva dietro e grazie al porto oggi è offuscata. E la morte di Marechiaro chiude un capitolo.

il Giornale, 25 ottobre 2004

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