17.3.19

Ma io difendo l'Islam (Pietro Citati)

Pietro Citati

Qualche volta, viene il dubbio che l'Europa abbia finito di capire il resto del mondo. Siamo nati per capire: non abbiamo mai fatto altro che questo: fin dai tempi di Erodoto, nei momenti più oscuri della nostra storia o in quelli della guerra e della dominazione, abbiamo compreso le forme mentali, l'anima, la psicologia, l'immaginazione, il passato degli altri popoli, come nessun altro. Ma chi potrebbe sostenere che oggi l'Europa capisca l'Islam? L'ha compreso nel Medioevo, quando le due civiltà si affrontarono e i filosofi dell'Occidente andavano a scuola di quelli arabi e persiani: a Bisanzio, nel XIV secolo, dove i dotti delle due religioni discutevano intorno agli dei; e all'inizio del secolo scorso, quando tutti leggevano le Mille e una notte, i dotti romantici studiavano con passione le civiltà del Medio Oriente e Goethe scrisse il Divano occidentale-orientale. Malgrado gli anni passati, gli studi, le traduzioni, la scienza e il turismo, oggi siamo più lontani dall'Islam che al tempo di Carlo Magno, quando, tra i monti di Roncisvalle, circondato dagli Arabi, sonò sì terribilmente Orlando.
In Italia le traduzioni dei libri arabi e persiani sono pochissime. Ma anche in Francia e in Inghilterra, dove è esistita una grande arabistica ed iranistica e le traduzioni sono molto più numerose (non sufficienti), nessuno potrebbe sostenere che l'Islam questa realtà immensa faccia parte della coscienza dell'uomo di cultura europeo o tanto più di chi frequenta le librerie. Chi conosce la fioritura ecumenica dell' Islam, che attraverso le conquiste, i viaggi, i commerci e le fantasie abbracciava il mondo dalla Spagna all' Oceano Pacifico e al Giappone? Chi sospetta gli splendori della civiltà classica araba e persiana? Chi suppone che là esistessero poeti capaci di avvolgere l'universo in tappeti o corone di metafore, come Dante e Shakespeare? E che il pensiero religioso islamico sia stato, talvolta, più ardito e vertiginoso del nostro? Tranne gli specialisti, nessuno conosce il sufismo: solo pochi frequentatori dei musei di New York e di Istanbul hanno contemplato la luce prodigiosa che si raccoglie nelle miniature persiane; e chi potrebbe immaginare che i principi mongoli islamizzati questi tagliatori di teste leggevano i testi mistici più ardui e, a gara coi loro maestri, muovevano sulla pergamena lo squisito pennello del miniaturista?
Molti sono convinti che l'Islam sia sommario, rozzo e fanatico, e non conoscono l'infinita sottigliezza di Sohrawardi e di Attar, di Rumi e di al-Hallaj, di Ibn Arabi e Al-Ghazali. Ascoltando i discorsi di Khomeini e di Saddam Hussein contro i Grandi Satana, tutti pensano, ad esempio, che un abisso più incolmabile che in qualsiasi fantasia medioevale europea divide nell'Islam il bene dal male, Dio da Satana. Nella tradizione islamica, Satana è invece un'immensa figura patetica. Quando Allah comandò agli angeli di inchinarsi davanti ad Adamo, dove aveva riflesso la sua immagine (e lì cominciò quello che, secondo alcuni fu un culmine, per altri un disastro: un mondo antropocentrico), essi si piegarono alla sua volontà. Soltanto Satana si ribellò. Lo fece perché era il solo vero monoteista. Amava Allah più puramente di ogni altro, e non poteva venerare che la sua essenza incomunicabile. Quando venne segregato nel più buio degli inferi, Satana non chiese se la condanna era un bene o un male: disse soltanto che scendeva dal soglio di Dio, come scende la pioggia dalla sua grazia, e l'accolse con tutto il fervore della propria anima, che finalmente serviva da bersaglio alla freccia di Allah. Mai, in nessun teologo occidentale, e nemmeno in nessuna delle nostre intelligentissime mistiche, i rapporti tra Dio e il suo avversario sono stati intesi con un tale ardire e una tale delicatezza.
Allah, questo Dio che ignoriamo e calunniamo, non è che il nostro Dio, ancora al centro della vita. E se lo contempliamo nei grandi libri o attraverso le preghiere e i gesti dei suoi fedeli o gli spazi delle moschee di Cordoba e di Isfahan, che ci danno mai e sempre il suo volto, proviamo commozione e tremore. E' Lui, chi potrebbe negarlo? Eppure i suoi tratti sono più accusati, come se una riflessione più profonda li avesse portati all'estremo delle possibilità, o una riflessione più ingenua non avesse misurato e moderato i colori. Allah è l'Unico. Sta immensamente lontano da noi, e noi non possiamo conoscerlo: l'unica conoscenza che possiamo avere di lui, è la coscienza di non poterlo conoscere. Nessun Cristo incarnato, nessuna Maria dagli sguardi e dalle mani soavi media e intercede per noi: l'unico rapporto che ci lega è la mancanza di ogni rapporto; e se l'universo è una sua creazione, è anche un fittissimo velo, composto di centinaia di migliaia di veli, che ci nasconde per sempre il suo volto. Allah è tremendo: un fuoco, come il Dio della Bibbia.
Appena crediamo di essere condannati per sempre alla lontananza, ecco che questo Dio remoto, questo Dio inconoscibile, questo Dio assurdo, questo Dio della forza e del terrore, ci diventa vicino, come forse nemmeno Cristo lo è mai stato: più prossimo della vena del nostro collo, del nostro respiro, della nostra immagine riflessa nello specchio. Conosce ciascuno dei nostri pensieri; e se non lo scorgiamo è soltanto perché ci è troppo vicino. Mentre noi crediamo di vedere e di agire, lui solo vede e agisce per noi, anima segreta di tutti coloro che parlano e si muovono sulle scene del mondo. Ci ama con una tenerezza inesauribile. La sua misericordia è simile a un mare senza confini: se in questo mare lavassimo le lordure di tutti i nostri peccati, l' acqua rimarrebbe limpida come l'acqua di fonte. Egli dice: Se voi venite verso di me camminando, io verrò correndo verso di voi. Egli dice: Se io vi preservassi dal peccato, voi sareste privati della mia misericordia. Se tutti gli uomini fossero innocenti, a chi accorderei la mia grazia?.
Da qualche decennio l'Islam o almeno una parte dell'Islam sta cercando di ritornare alle proprie origini religiose. Per quanto io sappia, questo ritorno è sommario, limitato, edulcorato. Non basta tagliare le mani ai ladri o imporre i veli alle donne, per ritrovare il grande fuoco della tradizione islamica. La tradizione è fatta di grandi libri: letti, ripetuti, masticati, assaporati, fino a diventare coscienza quotidiana anche in chi non suppone nemmeno che esistano. L'Europa ha sempre avuto un ruolo paradossale: non solo ha studiato le voci, le immagini e le forme mentali degli altri, ma le ha amate così profondamente da farle riconoscere a chi le aveva trascurate e dimenticate, così che esse tornavano vive nella memoria. Se Alessandro Magno non avesse attraversato l' Oriente come una folgore, adottando l'eredità persiana, forse non ci sarebbe mai stata quella creazione straordinaria che fu l'impero partico e sasanide. E, in un tempo più vicino a noi, i missionari salvarono l'eredità della cosmologia e della vita azteche, minacciate di estinzione.
Non so se si possa immaginare qualcosa di simile ai giorni nostri. Ma so che ogni difesa autentica di una grande tradizione spirituale (difesa che è sempre una metamorfosi e una reincarnazione) ha una risonanza senza confini nello spazio e nel tempo. Ma è poi vero che il mondo islamico sia incapace di insegnare qualcosa al viaggiatore occidentale? Non so cosa vedano i turisti europei, a Mashhad, a Isfahan, al Cairo, a Fez, a Damasco, nel cuore del Sahara algerino, o nelle antiche terre della Regina di Saba. Soltanto moschee, arabeschi, ceramiche di Nishapur, tappeti persiani, patii pieni di verde, palmizi e verdure attorno alle acque; e dappertutto il nome di Allah la ilah illa Allah , scritto da tutte le mani e in tutte le calligrafie? Forse c'è qualcosa d'altro da scorgere. Il dono, per esempio, della fede, della devozione, della tenerezza verso Dio: l'ho conosciuto davanti alla città santa di Mashhad, dove un bambino cieco, con una mano rigida lungo il corpo e l'altra tesa verso l'alto, con gli occhi innaturalmente fissi, cantava le lodi di Alì, il principe degli sciiti sua sola guida, suo solo conforto, mentre un piccolo gruppo di persiani ascoltava in silenzio la voce perfettamente ritmata, e il viaggiatore occidentale credeva di essere giunto nel luogo che gli rivelava il dolore del mondo, e la bellezza consacrata di questo dolore. Il miracolo della povertà: la moschea nel cuore del Sahara, che ricordava la prima moschea di Maometto pochi rami di palme contro un muro di mattoni essiccati al sole. Il miracolo della morte nuda: i cimiteri senza nomi di famiglia e di persona; nient'altro che cocci aguzzi, pietre scheggiate, rinuncia a qualsiasi consolazione e ricordo e trionfo sopra la morte. Il dono dell'amicizia, della medioevale generosità verso il compagno. E persino l'ombra di quella civiltà, l'oppressione della donna stringe il cuore al ricordo di quegli occhi femminili pieni di dolcezza, di tremore, di umiliazione, di lacrime lungamente taciute, che appaiono per un istante dietro il velo.
C' è qualcosa che il viaggiatore occidentale giustamente non sopporta: il fanatismo di alcune tra le masse arabe e persiane. Questo fanatismo appartiene solo in parte alla tradizione islamica: il nostro Medioevo più splendido, il Medioevo delle cattedrali, delle Summe teologiche e di Antelami e Dante, era molto più intollerante del mondo arabo. Risvegliato da innumerevoli frustrazioni, delusioni, sconfitte, speranze mal riposte, ottusità, sfruttamenti politici, forse questo fanatismo potrà un giorno spegnersi improvvisamente come era nato. L'Europa non ha fatto molto per mitigarlo. Ha sempre accettato, sia pure con qualche ripugnanza, i dittatori del mondo medio-orientale: queste orrende imitazioni di Benito Mussolini, generali sovietici, Ciro il grande e demagoghi ispano-americani, mescolate con vecchi principi tribali e turchi da opera buffa. Li ha accettati perché parlavano un linguaggio moderno: socialismo, anticapitalismo, carri armati, petrolio, industria pesante. Che perseguitassero la religione non aveva molta importanza. Ma l'Europa non ha mai accettato qualcosa di molto più delicato e complesso: un'anima che adorava il suo Dio lontano e vicino. In questi giorni di odi verbali, dove la parola più semplice viene fraintesa, debbo aggiungere una informazione che non appartiene affatto a questo discorso: credo che gli Stati Uniti, e con loro l'Europa, siano stati costretti a rispondere all'aggressione di Saddam Hussein. Non c'era altra strada. Ma questa guerra finirà. Allora tutti coloro per i quali il regno di Dio esiste, la bellezza del mondo, il giardino persiano dove le palme si alternano ai filari d'uva e le rose svelano il loro splendore carminio, il giardino che è soltanto un segno dell'eterno Frutteto che abita mai appassito nei nostri cuori, dovranno ripetere ciò che fecero molti secoli fa i monaci occidentali, quando leggevano i libri dove era trascorso lievemente il segno di Allah il misericordioso.

la Repubblica, 6 febbraio 1991

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