17.3.19

Quando gli inglesi spacciavano in Cina (Carlo Maria Cipolla)



La storia ha radici lunghe. Nel 1492 Cristoforo Colombo scopriva l'America. Nel 1840 navi inglesi bombardavano postazioni militari in Cina dando inizio alla breve ma infame guerra dell'oppio. Ad onta di ogni apparenza in contrario, tra i due eventi esiste un collegamento diretto. Vediamo come.
Dopo il primo entusiasmo della scoperta, gli spagnoli attraversarono un periodo di delusione. Le terre scoperte da Colombo non erano le Indie Orientali con le quali la Spagna cercava una via marittima di comunicazione diretta. Di più. Le terre nuovamente scoperte non parevano offrire risorse particolarmente attraenti. C'erano quindi ragioni sufficienti per riflessioni scettiche e amare. Con la metà del Cinquecento, però, le cose cambiarono drasticamente. Prima in Messico nella regione di Zacatecas poi in Perù nella località di Potosì gli spagnoli scoprivano ricchissimi giacimenti argentiferi, tra il 1550 ed il 1630 favolosi convogli di galeoni spagnoli trasportarono in Europa qualcosa come sedicimila tonnellate di argento.
L'argento che affluì in Spagna vi pervenne per circa un ottanta per cento in cambio di beni che intraprendenti mercanti vendevano nelle colonie alle ricche famiglie dei conquistadores. Per il rimanente venti per cento circa l'argento arrivava in Spagna in pagamento delle regalie pretese dalla Corona spagnola per le concessioni di estrazione del minerale argentifero. Nell'un caso come nell'altro l'argento veniva speso: dai mercanti per l'acquisto dei beni destinati alle Americhe, dal sovrano per finanziare le continue guerre in cui la Spagna si trovò coinvolta nel corso del secolo Sedicesimo.
La Spagna però non possedeva né riuscì a sviluppare un apparato manifatturiero tale da soddisfare l'imponente domanda di beni rappresentata dalla spesa della massa di argento americano. Per cui ricorse all'importazione massiccia di prodotti dalle Fiandre, dall'Olanda, dalla Francia, dalla Germania, dall'Italia e dall'Inghilterra. Di conseguenza l'argento originariamente importato in Spagna dalle Americhe si sparse un po' per tutta l'Europa.
A seguito del viaggio di circumnavigazione del mondo da parte di Vasco da Gama (1498), i portoghesi prima, gli inglesi e gli olandesi poi stabilirono diretti rapporti commerciali via mare con la Cina.
Agli inizi i mercanti portoghesi, inglesi e olandesi si interessarono soprattutto all'importazione in Europa dei prodotti che da secoli l'Europa importava dalla Cina tramite l'intermediazione di mercanti arabi e indiani. Tali prodotti erano essenzialmente la seta e certe spezie. Ma stabilito il contatto diretto e approfondita la conoscenza del mercato cinese, soprattutto gli inglesi e gli olandesi si resero conto che potevano acquistare in Cina altri prodotti che trovavano facile esito sul mercato europeo e che dati i prezzi, potevano assicurare grossi profitti. Questi prodotti erano soprattutto le porcellane cinesi e il tè.
Il tè fu introdotto in Europa nel 1664 quando i direttori della Compagnia delle Indie ne fecero dono a re Carlo II di un pacchetto da circa un chilo. Si riteneva allora che il tè avesse miracolose virtù medicinali e, comunque sia, l'erba aromatica ebbe specialmente sul mercato inglese un successo straordinario. Dall'anno 1720 il tè soppiantò decisamente la seta come principale merce di importazione dalla Cina. In effetti le importazioni di tè da Canton da parte della Compagnia delle Indie passarono da circa 1200 tonnellate, per un valore di 831 mila lire sterline nel 1761, a circa 105 mila tonnellate per un valore di 3 milioni e 665 mila lire sterline nel 1800.
C'è un guaio però. Mentre le importazioni in Europa di prodotti cinesi continuavano a crescere, non c'era prodotto europeo che riuscisse a interessare il consumatore cinese. Letteralmente disperati, i direttori della East India Company inglese e della V.O.C, olandese fecero mille e uno tentativi di penetrare il mercato cinese con prodotti europei. Tentarono persino con stampe e dipinti di natura pornografica. Ma sempre invano. L'unico bene di cui gli europei disponessero che interessava i cinesi e che questi ultimi erano disposti ad accettare in cambio delle loro merci era l'argento americano.
Così le navi della East India Company inglese e della V.O.C, olandese partivano dall'Europa cariche quasi esclusivamente di reales de a odio (monete d'argento spagnuole), rixdaalders olandesi, corone d'argento francesi, talleri d'argento tedeschi, ducatoni e piastre d'argento italiani. La bilancia commerciale dell'Europa con la Cina si dimostrò inesorabilmente e incurabilmente sbilanciata e il grande commercio internazionale si andò configurando nella forma di due flussi in direzioni opposte: argento che dalle Americhe affluiva in Europa e di qui proseguiva per la Cina e in direzione opposta prodotti cinesi che affluivano in Europa e prodotti europei che affluivano alle Americhe.
Il persistente sbilancio commerciale europeo con la Cina rappresentava un continuo rompicapo per i direttori della East India Company e della V.O.C. i quali erano frequentemente accusati dai politici e dall'opinione pubblica dei rispettivi Paesi di impoverire la nazione (non si dimentichi che il credo mercantilista imperante per buona parte del periodo considerato identificava l'abbondanza di moneta metallica pregiata con la ricchezza del Paese).
Fu in questo clima di paradossi che nella direzione della East India Company venne formulato e messo in atto un piano diabolico.
L'oppio era stato introdotto in Cina da turchi e da arabi nel corso del Settimo secolo dopo Cristo. Per lungo tempo vi venne usato a scopo puramente terapeutico nella cura di diverse malattie. Agli inizi del secolo diciassettesimo, però, a Formosa, nel Fukien e nel Kwantung si cominciò a far uso di oppio come stupefacente fumandolo misto a tabacco. Le autorità cinesi non mancarono di notare presto gli effetti deleteri della droga sulle condizioni fisiche e psicologiche dei fumatori.
Nel 1729 un editto imperiale proibiva la vendita e il consumo di oppio. Nel 1796 l'imperatore Chiech'ing ribadiva in termini particolarmente severi la proibizione dell'importazione e del consumo della droga. Da quella data tutto l'oppio importato in Cina vi entrò per via di contrabbando.
Con gli inizi dell'anno 1760 la East India Company elaborò e mise in atto il disegno diabolico cui si è accennato prima. Diede inizio alla coltivazione di oppio in India e introdusse l'oppio indiano sul mercato cinese proponendo l'oppio invece dell'argento come mezzo di pagamento per l'acquisto dei prodotti cinesi. L'esperimento ebbe subito un notevole successo. A seguito del bando imperiale del 1796 la Compagnia inglese si ritrasse dal commercio dell'oppio in prima persona ma continuò a praticarlo tramite mercanti privati che erano costretti ad acquistare l'oppio soltanto ed esclusivamente dalla Compagnia. I profitti della East India Company nella produzione e vendita dell'oppio indiano passarono da 2,4 milioni di rupie nel 1800 a circa 10 milioni di rupie nel 1832 e a circa 15 milioni di rupie nel 1837. Contemporaneamente le importazioni di oppio indiano in Cina passarono da circa 63 tonnellate nel 1767 a una media di circa 315 tonnellate all'anno nel decennio 1821-1830.
Dopo il 1830 l'importazione di oppio in Cina crebbe ancor più rapidamente. L'impiego di clippers più capaci e più veloci contribuì all'aumento del volume del commercio. Inoltre si aggiunsero gli Americani, che dalla fine dell'anno 1820 cominciarono a importare in Cina oppio turco.
A questo punto l'oppio veniva a causare alla Cina un triplice danno. Anzitutto il grave danno fisico e psicologico ai sempre più numerosi fumatori che, una volta trascinati nel gorgo della droga, non potevano più uscirne. Secondariamente, dati i grossi interessi economici in gioco, il contrabbando dell'oppio divenne una potente e diffusa fonte di corruzione nella burocrazia cinese sollecitata dai mercanti occidentali con laute tangenti a chiudere un occhio o anche due sulle importazioni illegali della droga. S'aggiunga che verso il 1840 circa il 20 per cento dei funzionari dell'amministrazione centrale cinese e il 50-60 per cento dei funzionari dell'amministrazione periferica fumavano oppio. Infine le imponenti importazioni di oppio in Cina finirono col ribaltare la bilancia commerciale tradizionalmente attiva dell'Impero Celeste. A partire dal 1820 la bilancia commerciale cinese si fece passiva e l'argento cominciò a fuoruscire dall'Impero. Tra il 1828 ed il 1836 i soli mercanti inglesi esportarono dalla Cina argento per oltre 38 milioni di dollari. Il diabolico piano elaborato dalla East India Company nella seconda metà del Settecento era riuscito in pieno superando ogni aspettativa.
Di fronte a tale disastrosa situazione si delinearono in Cina due tendenze. Una minoranza guidata da due influenti funzionari, Chu Tsun e Hsu Chiù, avanzò la proposta di legalizzare il commercio della droga: secondo i sostenitori di questa tesi, la legalizzazione del commercio dell'oppio avrebbe fatto diminuire il prezzo della droga e quindi eliminato i grossi profitti dei trafficanti; inoltre avrebbe tolto la causa della dilagante corruzione nella burocrazia. Un altro gruppo guidato da Huang Chuh-Tzu, direttore della Corte del Cerimoniale, e da Lin Tse-Hsù si poneva in posizione opposta e invocava inasprimenti severi delle pene.
L'imperatore ed i suoi consiglieri furono per la maniera forte. Il 30 ottobre 1839 l'imperatore dava ordine a Lin Tse-Hsù di recarsi a Canton ed estirpare il traffico dell'oppio. Se si doveva scegliere la maniera forte, quella di Lin Tse-Hsù era la scelta adatta. Lin era uomo deciso, incorruttibile, con un alto senso del dovere e per di più era un organizzatore di prima forza. Lin partì da Pechino con le patenti di Commissario imperiale l’8 gennaio 1839 e arrivò a Canton il 10 marzo. Tra il 10 marzo e il 15 maggio successivo furono arrestate 1600 persone che avevano violato i bandi concernenti il consumo ed il traffico dell’oppio; inoltre furono confiscati 28 mila catties di oppio e 42.741 pipe di fumatori. Intanto il 15 giugno 1839 l'imperatore promulgava a Pechino un drammatico statuto composto di 39 articoli in base al quale chiunque fosse trovato a commerciare in oppio doveva essere condannato a morte per decapitazione e chiunque fosse trovato a gestire case da oppio doveva essere condannato a morte per strangolamento.
Nel luglio del 1838 erano arrivate a Tong Koo Bay le navi da guerra inglesi Wellesley e Algerine. Si astennero da azioni ostili ma il significato della loro presenza era quanto mai chiaro. I Cinesi però, come si è visto, non si lasciarono intimorire e Lin Tse-Hsù si mosse in maniera sempre più decisa. Arrivò a mettere agli arresti domiciliari la colonia di mercanti stranieri e tra l'aprile e il maggio 1839 riuscì ad imporre la consegna di circa 20 mila bauli di oppio oltre a circa 1.170 tonnellate di droga che fu distrutta: il tutto per un valore di oltre 20 milioni di dollari del tempo.
Il colpo era troppo torte per i trafficanti anglo-americani. D'altra parte Palmerston, sotto la pressione di interessi costituiti, s'era già deciso per un'azione di forza. Nel giugno del 1840 arrivò a fronte della baia di Canton la nave da guerra inglese Alligator. Seguirono la Wellesley, la Conovay e la Rattlesnake. La baia di Canton venne bloccata. Il 5 luglio truppe inglesi sbarcarono a Chusan e dopo poche cannonate occuparono la città di Tinghai. Il “Times” di Londra scriveva esultante: «La bandiera britannica sventola per la prima volta su una porzione dell'Impero cinese». Senza possibilità di efficace difesa i cinesi batterono in ritirata. Per salvare la faccia l'imperatore gettò tutta la colpa e la responsabilità dell'accaduto su Lin Tse-Hsii che venne esiliato in una provincia periferica. E l'infame commercio dell'oppio riprese.
Oggi l'Occidente si scandalizza di fronte allo spettacolo di paesi dell’America latina che riforniscono di droga il mercato nordamericano con la complice inazione dei loro governi e dei loro diplomatici. Si dimentica facilmente che poco più di un secolo fa l’Occidente praticò lo stesso infame gioco ai danni della Cina.

Corriere della Sera, 30 gennaio 1989

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