2.4.19

Cadere come una pera (Paola Mastrocola)


Ci son cascata come una pera. Mi piace quest’espressione, mi piace l’immagine della pera matura che cade. Lo dico così spesso che non so quante pere ho visto cadere, nel parlare della mia vita.
Però anche le pesche cadono.
E cadono anche le mele, le prugne, le nespole e, ancor più classicamente, le foglie.
Allora perché non diciamo mai: ci sono cascata come una pesca? Perché nel nostro linguaggio, nell’uso comune, nella tradizione dell’espressività popolare, cadono sempre soltanto pere? In questo inizio d’anno politicamente ed economicamente tormentato, dove intellettuali, giornalisti, scienziati, scrittori, attori e studiosi si dedicano a capire perché il Pil non cresce, perché la disoccupazione sale, se usciremo dall’euro e quanto siamo fascisti, io tenterei di dare una risposta al problema delle pere: diciamo così perché un tempo nelle campagne i peri erano gli alberi maggioritari, cioè i contadini piantavano in prevalenza peri? o perché ai contadini piace il formaggio con le pere, dunque in qualche modo è il loro frutto preferito, anche nel linguaggio? o perché le pere, per qualche loro strana fragilità costituzionale, cadono di più rispetto agli altri frutti?
Mi sono rivolta a un mio amico, uno studioso molto serio, il quale dopo averci pensato un po’ ha risposto: perché le pere cadono in piedi. Gli ho chiesto di spiegarsi meglio. Ha detto che la conformazione fisica della pera, il peso maggiore della sua parte posteriore, fa sì che cada in verticale, si appoggi col sedere a terra, per dirla in modo visivamente efficace. Effettivamente la pera cadendo non rotola, o rotola meno. Soprattutto non cade mai a testa in giù (ammesso che la testa sia dove spunta il picciuolo). Quindi è la più adatta ad esprimere l’analogia con l’essere umano che cade, anche lui solitamente di sedere. Poi l’amico scienziato s’è perso in un vortice di similitudini, tra le quali: “Sai, in fondo potremmo dire che la pera è come il gatto, cade sempre giusto”.
E qui mi si è disegnato in mente un gatto che cade da un’altezza considerevole e riesce ad atterrare molleggiando sulle quattro zampe. E riprende a camminare come nulla fosse, con passo elegante, ovviamente felpato.

Il Sole 24 ore, 24 febbraio 2019

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