23.4.19

Feste Nazionali. Mi ricordo... (S.L.L.)

!915 - 1918 "I caduti nei campi della gloria"

Per lungo tempo, nella Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista, specialmente al Sud, si celebrò come principale Festa Nazionale il 4 Novembre. La ricorrenza civile, che concludeva le festività religiose di inizio novembre, era vacanza nelle scuole e nei pubblici uffici e non era ancora diventata, come adesso è, Festa delle Forze Armate. Celebrava invece la Vittoria, benché conseguita in una guerra cui si erano opposti la Chiesa cattolica e i socialisti e cui i ceti popolari si erano piegati loro malgrado.
Ma - nonostante la caduta del Fascismo, che quella ricorrenza aveva esaltato come compimento della Nazione - la celebrazione era ancora in vigore e per l'occasione si visitavano i parchi delle Rimembranze e si deponevano corone di fiori davanti ai monumenti ai Caduti in quella Grande Guerra (tanti in ogni paese) che era stata un'enorme carneficina.
Dalle mie parti la celebrazione, quasi sempre preceduta da cortei militaristi e bande che suonavano la Canzone del Piave del fascistissimo E.A.Mario, era conclusa da discorsi delle autorità civili (e nelle città anche militari) non senza la presenza di un qualche reduce munito di decorazioni. Nei centri maggiori e nei paesi più fortunati poteva annoverarsi la presenza di qualche Cavaliere di Vittorio Veneto. Il prete a volte c'era e a volte no.
Ad organizzare la sfilata erano generalmente i Municipi e la cosa creava qualche problema.
I sindaci rossi in genere non amavano quella ricorrenza, ma non seguivano una comune linea di comportamento. I vecchi socialisti il più delle volte non andavano: mandavano le Guardie municipali e lasciavano che parlassero i rappresentanti delle associazioni combattentistiche. Così rinverdivano l'antico motto "né aderire né sabotare". Per i comunisti era più difficile: dovevano dimostrare d'essere – così voleva Togliatti – un partito nazionale, patriottico perfino. Così finivano per subire la retorica della quarta guerra d'indipendenza, dell'italianità di Trento e Trieste ecc. Al mio paese, Giovanni Riggeri, che fu sindaco dal 1953 al 1960, in verità tagliava corto e rendeva omaggio ai caduti per la patria senza tante chiacchiere. Quando fu eletto sindaco Lillo Gueli, che nella discussione interna del Pci a quel tempo simpatizzava per Ingrao, nei suoi discorsi si ascoltavano tortuose argomentazioni: mentre diceva con franchezza che operai e contadini erano andati malvolentieri a quella guerra, sottolineava che l'avevano vinta soprattutto loro e che era cresciuta nelle trincee la solidarietà di classe a scapito delle differenze regionali (una lettura che ricordava il celebre film di Monicelli).
1940 - 1945 - "Comprendere è impossibile". A  maggior ragione se si mescolano i morti nelle guerre
di aggressione in Africa, in Grecia o in Russia, con i partigiani caduti nel corso della Resistenza
Era comunque questa la festa nazionale più celebrata. Fino al 68, in Sicilia, il 25 aprile della Liberazione e il 1° maggio del Lavoro furono soprattutto le feste dei socialcomunisti: solo nei primi anni Sessanta i sindacati della CISL diedero vita a un loro piccolo Primo Maggio, con il prete benedicente e la statua di San Giuseppe lavoratore. Le altre due feste nazionali, il 2 giugno, della Repubblica, e l'11 febbraio della Conciliazione, poi declassata a solennità civile, erano solo un'occasione di vacanza a scuola e negli uffici pubblici.

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