23.4.19

Fotografia. Quel genio di Irving Penn (Eleonora Attolico)



«Fotografare un dolce può essere una forma d’arte», diceva Irving Penn. Nella foto After Dinner Games (“giochi da dopocena”), il cavallo degli scacchi, i dadi e le carte intorno alla tazzina da caffè diventano una natura morta. Quello scatto non ha nulla da invidiare a una tela di Picasso. E non a caso si parla di lui visto che Irving Penn lo immortalò nel 1957, a Cannes, nella sua villa La Californie. I due erano
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amici. Il ritratto in bianco e nero del pittore spagnolo fa parte della retrospettiva allestita al Metropolitan Museum di New York. Si intitola Irving Penn: Centennial e celebra il centenario della nascita del maestro americano (1917- 2009). Sarà aperta dal 24 aprile al 30 luglio per poi approdare a Parigi al Grand Palais (da settembre di quest’anno a gennaio 2018) e successivamente in Brasile a San Paolo.
Il motivo dell’esposizione non è solo anagrafico. Il curatore, responsabile del dipartimento di fotografia del Met, Jeff L. Rosenheim, ha messo in luce la recente donazione di centocinquanta immagini da parte della Irving Penn Foundation. In mostra ne sono esposte circa duecento. Il Metropolitan, già dal 1959, ha cominciato a raccogliere gli scatti di Irving Penn anche grazie all’impegno di Maria Morris Hambourg che racconta, in un testo del catalogo, diversi aneddoti sul fotografo. L’esposizione ripercorre la carriera di questo poliedrico artista che, con i suoi clic, svela un’epoca e un mondo. Non solo quello patinato della moda e delle campagne pubblicitarie. In mostra anche immagini etnografiche come quelle dei quechua di Cuzco, in Perù: una popolazione che, pur appartenendo a diversi gruppi etnici, ha in comune la stessa lingua, il quechua per l’appunto. Penn, da sempre attratto dall’esotismo, li andò a cercare alla fine degli anni Quaranta. Tempo dopo, negli anni Settanta, si recò anche in Benin, Nuova Guinea e Marocco per raccontare, attraversare le immagini, usi e costumi di varie tribù.
Audrey Hepburn
Colpisce la meticolosità di Penn qualunque fosse il soggetto. E la varietà. Gli occhi del visitatore si accendono di curiosità davanti ai personaggi famosi. In particolare Truman Capote, Peter Ustinov, Spencer Tracy, Jean Cocteau, Colette, Francis Bacon, Audrey Hepburn. Chiuse la bocca a Marlene Dietrich, che pretendeva di dirgli come posizionare le luci: «Tu, per favore, fai la Dietrich, io il fotografo». Impiegava in media tre ore per realizzare un ritratto. Tra gli stilisti immortalò anche Elsa Schiaparelli (1948), un giovanissimo Yves Saint Laurent (a Parigi nel 1957) e Gianni Versace all’apice della carriera (a New York nel 1987). Splendide anche le modelle avvolte negli abiti di Christian Dior, Cristobal Balenciaga, Christian Lacroix e Issey Miyake. 
Spicca la bionda indossatrice svedese, conosciuta nel 1947 su un set fotografico e diventata sua moglie: si chiamava Lisa Fonssagrives (scomparsa nel 1992); la sua foto in un abito lungo di Rochas a sirena è un’icona della fotografia di moda mondiale e fu scattata a Parigi nel 1950. Gli diede un figlio, Tom. Ricordando la famiglia, va ricordato il fratello minore, Arthur, regista e produttore (tra i suoi film più noti, Gangster Story con Warren Beatty e Faye Dunaway e Il piccolo grande uomo con Dustin Hoffman).
Tornando a Irving, va detto che, pur avendo lavorato da Vogue, era capace anche di raccontare il popolo. Ecco allora i pasticceri di Parigi, i macellai di Londra, i trasportatori e i pescivendoli. Poteva passare dal racconto della vita quotidiana all’estetica pura. Prova ne sono gli still life di fiori con i papaveri in movimento, le prove sulle sigarette degli anni Settanta, ma anche gli artistici nudi realizzati nel biennio ’49-’50.
Nato nel 1917 a Plainfield, New Jersey, da una famiglia ebrea russa, studiò a Filadelfia a quella che oggi si chiama University of the Arts. Scelse prima la pittura ma si rese conto, a un certo punto, di non essere così portato. Si specializzò, negli anni universitari, in disegno pubblicitario con Alexey Brodovitch, allora caporedattore di Harper’s Bazaar, che gli pubblicò diversi bozzetti. Per un periodo lavorò nel grande magazzino Saks Fifth Avenue occupandosi di art direction e pubblicità: fu il primo approccio con il mondo della moda. Poi, in pieno conflitto mondiale, partì per un viaggio attraverso gli Stati Uniti e il Messico, stabilendosi per un periodo a Coyoacàn. Il Messico era, a quel tempo, terra di artisti e fotografi come Tina Modotti ed Henri Cartier-Bresson, per non parlare di Diego Rivera e Frida Kahlo. Piacque anche a tutta la cricca dei surrealisti di André Breton.
Al rientro dal Messico, nel 1943, distrusse i dipinti che aveva fatto, ma non le foto: anzi, le fece vedere all’art director di Vogue America, Alexander Liberman, che dopo una rapida occhiata capì subito che il ragazzo aveva occhio e talento; gli propose, quindi, di entrare a far parte del magazine. 
Da allora, Irving Penn ha sempre pubblicato copertine e servizi fotografici per questa rivista, sperimentando quanto più poteva. La moda come gioco, esaltazione, esercizio di stile. Studiava la piega di ogni abito di alta moda, e in particolare amava quelli di Cristobal Balenciaga che considerava sculture di stoffe. Se si vuole parlare d’arte e delle fonti di ispirazione, le donne immortalate con questi abiti ricordano quelle di pittori come Giovanni Boldini, John Singer Sargent e Franz Xaver Winterhalter. Bellezza e dramma.
Penn ha anche conosciuto la guerra da vicino: verso la fine del conflitto scattò le foto e guidò le ambulanze per l’American Field Service in Italia, a Napoli e nei dintorni, e percorse parte dell’ex Jugoslavia.
Il fotografo statunitense ha sempre alternato soggetti forti a situazioni più frivole e ben remunerate. A partire dagli anni Cinquanta si lanciò nelle campagne pubblicitarie: tra i clienti, General Foods, De Beers e le grandi case di cosmetica come Clinique e L’Oréal. In mostra è presente la magnifica bocca piena di rossetti realizzata nel 1986, una foto attualissima.
Truman Capote
Ci sono aspetti di grande modernità nel modo di fotografare di Penn. Ad esempio fu tra i primi a epurare, cioè a scegliere semplici fondali bianchi o grigi per far risaltare il soggetto, che spesso posizionava davanti a due fondali disposti ad angolo: lo fece con Georgia O’Keeffe, Martha Graham, Marcel Duchamp e Igor Stravinskij. Inoltre, è stato uno sperimentatore anche nel modo di stampare utilizzando varie tecniche.
Durante la mostra ci sono in programma anche alcuni incontri pubblici: uno dei più interessanti, per chi capita a New York il 25 aprile, è quello con con Leonard Lauder, l’ex presidente della Estée Lauder. Il magnate dei cosmetici racconterà il rapporto di amicizia e lavoro con il fotografo; per assistere alla conferenza si pagherà un biglietto di 45 dollari, un modo per aiutare il Metropolitan. Il museo fu molto amato da Irving Penn, che morì otto anni fa, ultranovantenne, a pochi isolati da qui.

Pagina 99, 21 aprile 2017

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