16.4.19

Intervista a Joan Baez: «Addio alle scene, non controllo più la voce» (Andrea Laffranchi)



Abituiamoci all’idea di non avere più le star della musica al nostro fianco. Che sia per cause naturali, per morti violente o per scelte consapevoli, i miti che hanno costruito la storia del rock stanno lasciando un vuoto. Solo Jagger e gli Stones sembrano eterni. Il 2016 è stato l’anno delle morti, da Bowie a Prince, da George Michael a Leonard Cohen. Quello appena iniziato si annuncia come l’anno degli addii. Prima che sia troppo tardi. Prima che sia il corpo a dire basta.
In questi mesi hanno annunciato il loro ritiro dalle scene Paul Simon, Elton John, Ozzy Osbourne e Neil Diamond. Basta concerti. Nella lista c’è anche Joan Baez, 77 anni, l’usignolo folk, amante e musa di Dylan, uno dei simboli della canzone di protesta degli anni Sessanta. Che pubblica venerdì il nuovo album Whistle Down the Wind, raccolta di cover e brani inediti, e che ha annunciato un tour di addio di passaggio in Italia la prossima estate (5 agosto Verona, 6 Roma, 8 Udine e 9 Bra)

Ci dobbiamo abituare a perdervi?
«Non possiamo cantare fino alla morte (ride). Per me è una questione di corde vocali: sono diventate più difficili da governare e questo rende il canto faticoso. Ci vuole più allenamento prima e sul palco devo prestare più attenzione. Quando ho iniziato non dovevo fare nulla di tutto questo».

Questo album riflette la scelta?
«In queste canzoni guardo alla mia età, a quello che mi sta attorno, al passato e a quello che faccio ora come donna. Voglio dipingere e smetterla con questi tour che ti portano in giro per 6 settimane su un bus. Non ho più 45 anni, non sono più obbligata a farlo».

Visto che il disco precedente è di 10 anni fa è un addio anche all’attività discografica?
«Credo che sarà il mio ultimo disco ufficiale, anche se magari troverò ispirazione per altro».

Ritiro totale quindi?
«Magari mi vedrete per 25 minuti a un festival folk se mai sentirò l’esigenza di sostenere una causa politica. E mi sembra che in questo momento ce ne sia bisogno, non solo in America».

Nella cover di Last Leaf di Tom Waits si paragona all’ultima foglia...
«Alla mia età sto diventando una delle ultime foglie sull’albero, come Elton John o Neil Diamond… E diamo il mio benvenuto ai nuovi. Ma è da leggere in chiave ironica».

Another World, cover di Anohni, la vede alla ricerca di un mondo diverso…
«Non sono ottimista su come vanno le cose nel mondo. Sono realistica».

Era più ottimista negli anni 60, quando sembrava che si potesse cambiare il mondo con una canzone?
«Grazie a We Shall Overcome (canzone di Pete Seeger, inno del movimento per i diritti civili ndr) qualcosa abbiamo ottenuto. Però non ho mai avuto l’illusione che quella canzone potesse portare la pace nel mondo».

Nella musica di oggi l’impegno è evaporato...
«Il decennio che ha prodotto me, Dylan, Joni Mitchell e Jimi Hendrix e che è proseguito con Beatles e Rolling Stones, ha visto talenti che non si possono paragonare a quelli di oggi. Non si può pensare di replicare. Ci sono molte belle canzoni ma non una come Blowin’ in the Wind di Dylan. Fino a che nessuno la scriverà ci sarà un buco da riempire».

Trump non sveglia le coscienze dei musicisti?
«Non mi sarei mai immaginata uno scenario così folle e ogni giorno ci chiediamo quale sarà la prossima terribile idea che verrà fuori da questo governo. Se anche morisse oggi avremmo gli stessi problemi ma non uno così schifoso come presidente».

Torniamo all’album dei ricordi. Il primo concerto?
«A 15 anni, alla festa del liceo. A un certo punto mi hanno passato una chitarra così grande che mi arrivava alle ginocchia e non avevo idea di come regolarla per poterla suonare più comodamente. Ho ancora la foto. La prima volta in maniera professionale direi invece il Festival di Newport del 1959».

Quello in cui venne soprannominata la Madonna scalza… Si sta preparando all’ultimo concerto, al momento in cui si spegneranno le luci?
«Non la vivo in maniera così drammatica. Sarà certamente un momento importante per me. E anche per i musicisti e per tutto lo staff. Immagino che ci sarà dello champagne per festeggiare. E poi andrò avanti. Credo che in un secondo momento arriverà la nostalgia, ma adesso penso proprio che sia la scelta giusta».

Champagne e lacrime?
«Penso proprio di sì».

Corriere della sera, 26 febbraio 2018

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