6.6.19

La corruzione pulviscolare. Modelli criminali e nuove mafie nel libro di Pignatone e Prestipino (Raffaella Calandra)

Il magistrato Giuseppe Pignatone

Una borsa, sempre aperta sulla scrivania. Così che senza neanche chiedere, gli imprenditori lasciassero le buste con il denaro. Siamo nell'ufficio di una dirigente d' azienda e quest'immagine rende, in modo plastico, la «deprimente quotidianità della corruzione», emersa in molte indagini sparse per l'Italia. Una corruzione che si sviluppa sempre più attraverso «reti estese e articolate, particolarmente pericolose nella fase attuale di debolezza della politica».
È un'analisi puntuale e allo stesso tempo una denuncia rivolta alla collettività, quella mossa da Giuseppe Pignatonee Michele Prestipino - procuratore della Repubblica di Roma il primo, procuratore aggiunto il secondo, per anni insieme a Palermo, Reggio Calabria e ora nella capitale - nell'analisi del “mondo degli affari”, uno dei capitoli del saggio Modelli criminali. Mafie di ieri e oggi (Laterza, 2019), in libreria da giovedì 21 febbraio.
Se a colpire in genere sono soprattutto gli scandali, legati a grandi opere pubbliche – come il Mose, Grandi Eventi, Expo - o a personaggi noti, la corruzione prevalente è invece quella «pulviscolare»: una «miriade di fatti basati sullo scambio di somme anche modeste con condotte o omissioni del pubblico ufficiale, che costituiscono a loro volta quasi una routine». Uno schema, in cui sempre più spesso si ritrovano anche dei magistrati; dove la dazione di denaro non di rado viene sostituita da altre utilità (compresi dei carciofi, com'è emerso in un'inchiesta a Reggio Calabria o dalle minacce di distruzione della carriera) - rendendo ancor più difficile la scoperta del reato, oltre alla circostanza che su un piano strettamente giuridico, una delle principali criticità è rappresentata dall'inquadramento della figura del faccendiere, ricorrente intermediario tra il decisore pubblico e il corruttore.
«La corruzione resta il principale problema di Roma», ha ripetuto anche durante la cerimonia di inaugurazione dell'ultimo anno giudiziario il procuratore Pignatone. E la corruzione da tempo e sempre di più viene utilizzata anche dalle mafie come strumento di infiltrazione, ricordano i due magistrati, che dopo aver dato la caccia ai latitanti di Cosa Nostra, alle trame della ‘ndrangheta e agli affari del Mondo di Mezzo romano, in queste pagine descrivono i diversi volti della mafia, vecchia e nuova, grande e piccola, secondo la definizione della Cassazione. Nella consapevolezza, però, più volte ripetuta anche in queste pagine, che «l'idea di legare indissolubilmente mafia e corruzione organizzata è falsa in punto di fatto ed è estremamente pericolosa».
Anche se spesso collegati, infatti, restano fenomeni diversi, da contrastare con diversi strumenti. Tuttavia, proprio a proposito del Mondo di Mezzo, il processo a Massimo Carminati, Salvatore Buzzi ed altri, condannati in appello anche per associazione mafiosa a Roma, la Cassazione ha riconosciuto come «una sistematica attività corruttiva può determinare l’acquisizione della forza intimidatrice che caratterizza le organizzazioni mafiose, purché vi sia una riserva di violenza». L'analisi del modello criminale di Roma dimostra però come, anche su questo fronte, nella capitale tutto sia più complesso. Ci si trova ad esempio di fronte al «proliferare di strutture criminali, costole di gruppi a matrice camorristica, di ‘ndrine e famiglie mafiose che si sono radicate sul territorio romano e vi esercitano il metodo mafioso, partendo dal controllo non solo di piccole porzioni di territorio, ma in alternativa di settori di affari, ovvero di pezzi di mercato». Ed è questa la vera novità nell'evoluzione del modello criminale tradizionale, al confronto ad esempio delle spartizioni, territorialmente ben definite, tra mandamenti e famiglie di Cosa Nostra o tra cosche di ‘ndrangheta.
Un nuovo modello, che poggia anche sulla convenienza e sullo scambio tra mafie tradizionali e gruppi criminali locali, come avvenuto all'ombra del Cupolone. Ma come insegna innanzitutto la storia della lotta ai boss siciliani, le mafie non sono niente affatto invincibili. E dopo decenni di costante lotta dello Stato la stessa percezione sta cambiando. Le mafie «sono un fenomeno umano, che ha un inizio e avrà una fine», ripeteva infatti Giovanni Falcone. Ma per contrastarle, è fondamentale conoscerle a fondo, usare gli strumenti giusti - per togliere ad esempio il consenso ai boss, insieme alle ricchezze - e tenere alta la guardia. In ogni parte del Paese. E questo libro, “Modelli Criminali”, figlio dalla lunga esperienza in trincea di due magistrati protagonisti della recente storia giudiziaria, aiuta a farlo.

“Il Sole 24 ore”, 20 febbraio 2019

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