19.6.19

L'Abbeccedario di Camilleri. ZABAJONE



Anzitutto io da bambino non lo chiamavo uovo sbattuto, ma lo chiamavo «ovo duci duci», e mi piaceva da matto. Prima di tutto bisogna farselo da sé, non farselo servire. Se te lo fai da solo vedi via via il rosso montare, che cambia colore e diventa sempre più bianco e sempre più fluido – non liquido – e questa è una goduria alla sola idea.
Non mi piaceva mescolarlo nel caffè, sì, è ottimo lo so, ma non è puro. Il cucchiaino dritto era il segno che l’«ovo duci duci» era pronto. Dopodiché riempivi il cucchiaio ma non lo mangiavi in una sola botta, era uno sbaglio, lo mangiavi poco alla volta e poi alla fine la leccata e lo rinfilavi dentro. Questa è una delle delizie dell’infanzia che ricordo.
Naturalmente poi per i siciliani ha tutto un altro senso.
Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia: «Cavaliere mio se mi mangio due uova sbattuti fuoco e fiamme fazzu», ecco, il gallismo siculo con lo zabaione si accorda benissimo.
Su questa memoria dell’«ovo duci duci» ho scritto anche un racconto, perché va a finire che con la vecchiaia si ha la cosiddetta «presbiopia della memoria» e quindi le cose dell’infanzia ti ritornano presenti con un’intensità che è dovuta al passaggio del tempo, alla prospettiva del tempo: più lontane sono e più ti precipitano addosso e riesci anche a percepirne le sensazioni, cosa che credevo impossibile. Perché con l’età hai un certo ottundimento di alcune sensazioni. Invece, i ricordi dell’infanzia davvero ti ritornano con un nitore, una forza, una precisione incredibile.
Non sono ricordi malinconici, mi diventano divertenti quando mi tornano e sono sempre estremamente piacevoli, perché hanno un’intensità tale che la malinconia non s’insinua.
D’altra parte nessuno ti vieta di riprodurre la sensazione – anche se il mio medico se ne risentirebbe come di un’offesa personale, se mi sbattessi due tuorli d’uovo con lo zucchero, forse rischi la morte, anche se non è vero perché rischi l’aumento di qualche analisi, ma poi stai due anni senza e ti passa. Si può riprodurre la sensazione in laboratorio, come ogni bravo esperimento scientifico.
Non c’è malinconia. Malinconia non è «Malinconia, ninfa gentile, la vita mia consacro a te», figuriamoci! La malinconia è una camurrìa che non finisce mai, la malinconia è uno stato d’animo da malattia, infatti la «melancolia» era una malattia.

l'Unità, 30 luglio 2010

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