3.6.19

Mezzobusto sarà lei. Gli intellettuali di fronte alla prima televisione italiana (Alberto Papuzzi)



Nel 1975, a 75 anni, Achille Campanile, il surreale umorista di Centocinquanta, la gallina canta o di Agosto, moglie mia non ti conosco, si ritirò in campagna, presso Velletri, e si fece crescere una lunga barba, candida e ieratica. A chi gliene chiedeva ragione, lui spiegava: «Mi è venuta guardando la televisione». Infatti, era stato per 17 anni critico televisivo, a modo suo. Lo aveva inventato in questa veste Giorgio Fattori, direttore dell’"Europeo", uno cui piaceva sparigliare. Naturalmente Campanile era Campanile, un tipo che da giornalista, di fronte alla notizia di una vedova morta sulla tomba del marito che andava a visitare tutti i giorni, propose questo titolo: «Tanto va la gatta al lardo». Che cosa ci si poteva aspettare dalle sue critiche? Erano una sulfurea sequenza di siparietti. Quando nel 1961 la Rai inaugura il secondo canale, lui scrive: «Da anni il pubblico protestava per i programmi ed ecco che la tv apre un secondo canale. Di cui grandi sono i vantaggi. Primo fra tutti, per la tv, la possibilità di sottrarre il primo all’attenzione e, perciò, alle critiche del pubblico. Finché guardano il secondo, non possono vedere il primo».
Il critico Campanile rivive dall’oblio, insieme a un folto gruppo di colleghi, nelle pagine di un libro originale e divertente: La coscienza di Mike, di Nanni Delbecchi, che è stato a sua volta critico televisivo nel Giornale di Montanelli (Mursia, 2009). Il riferimento del titolo all’autore e conduttore di Lascia o raddoppia? è solo un omaggio alla celeberrima Fenomenologia di Mike Buongiorno di Umberto Eco, considerata un po’ il manifesto di una critica televisiva in cui intellettuali e giornalisti, scrittori e umoristi, da Ugo Buzzolan a Giovanni Guareschi, da Luciano Bianciardi a Sergio Saviane, da Gian Carlo Fusco a Oreste Del Buono, da Alberto Bevilacqua a Beniamino Placido, fanno i conti con il successo della tv, l’elettrodomestico più amato dagli italiani. Tutto questo in una fase ancora ingenua e verginale: sotto i riflettori di quella critica, colta, sofisticata, irriverente, irridente, ma spesso anche complice e partecipe, era la prima tv italiana, quella lastricata di buone intenzioni di Filiberto Guala e di Ettore Bernabei, quella pedagogica del maestro Manzi e della donna che lavora.
Il padre fondatore, per corale riconoscimento, viene considerato Ugo Buzzolan, che ha tenuto sulla "Stampa", a partire dal 1955, per oltre trent’anni, la storica rubrica: «Cronaca televisiva», siglata u. buzz. Ogni sera, dopo il Tg delle 21, si chiudeva in un box vicino alla tipografia - così si risparmiava tempo per la consegna del pezzo ai linotipisti - e seguiva le trasmissioni, facendone una specie di diario quotidiano, «muovendosi in controtendenza con lo spirito dei tempi», scrive Delbecchi. Perché faceva prevalere le esigenze del pubblico popolare rispetto ai gusti e alle riserve degli intellettuali.
In parallelo con la «linea Buzzolan» correva la «linea Bianciardi», che era però di segno opposto. Luciano Bianciardi, l’anarcoide scrittore della Vita agra, titolare della critica televisiva sull’"Avanti!", sull’"Unità", su "Abc", si dedicava soprattutto agli autori irregolari e agli spiritacci geniali, da Dario Fo di Canzonissima 1962 a Paolo Villaggio in Quelli della domenica, per capire come si fa tv. I soliti noti gli fanno venire il latte alle ginocchia. Pippo Baudo (come Mike) «non è neanche antipatico, ma è senz’altro un compendio di mediocrità», e d’altra parte «forse proprio in questo sta la sua fortuna».
Anche Sergio Saviane, critico dell’"Espresso" dal 1965, è un «umorista assoluto», che inventa la definizione di mezzibusti per i giornalisti tv: «Nel solo settore dell’informazione televisiva troviamo oltre 150 giornalisti la cui parola d’ordine è l’esposizione a mezzobusto». Sono anche i «ruminanti della notizia». O una fila di impiegati «seduti ai bidet, che si danno la battuta». E via le scudisciate: «Bastava guardarli al telegiornale i De Luca, i Pasquarelli, i Vespa e a chiunque veniva spontaneo associarli ai mezzibusti del Pincio, lo stesso occhio, immobile per la paura di dire una parola di troppo».
Tutt’altro umore con Del Buono, romanziere, critico, giornalista, editor, che nel 1988 prende la rubrica «Diario Tv» sul "Corriere della Sera". Come Buzzolan, non snobba i gusti popolari: il successo di Dallas, Beautiful, Uccelli di rovo o Quando si ama lo incuriosisce, specie se vi coglie paradossi di verità: «I tratti più caratteristici di questi eroi, seguiti da innumerevoli fan sono costituiti dalle pettinature, i parrucchini, le lacche. Li riconosciamo da quelli. È facile accusare tutta questa roba di mancanza di lealtà. Ma riflettete, vi prego, sulla consistenza della realtà al di qua del piccolo schermo».

Si poteva vedere meglio dentro il blob televisivo?

la Stampa,12 dicembre 2009

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