2.7.19

Dal gioco al carnevale quotidiano (Umberto Eco)

Conigliette

Il dibattito sull'illuminismo ha generato come proprio figlio, più o meno legittimo, il dibattito sul gioco. Confesso che ho avuto un senso di fastidio. Avevo scritto come cosa ovvia, in un articolo precedente, che uno dei bisogni umani fondamentali, oltre al nutrimento, al sonno, all'affetto e alla conoscenza, è il gioco, e mi sono visto rilanciare l'idea come (cito da un titolo di “Repubblica” dell'Epifania) una mia "provocazione". Eh, santa pace, come se nessuno si fosse mai accorto che bambini, gattini e cagnolini si esprimono anzitutto attraverso il gioco e come se, accanto alla definizione di uomo come animal rationale, non circolasse da gran tempo quella di homo ludens.
Talora si ha l'impressione che i mass media scoprano sempre l'acqua calda, ma poi, a rifletterci bene, bisogna ammettere che "riscoprire" l'acqua calda è una delle loro funzioni fondamentali. Un giornale non può uscire così, all'improvviso, dicendo che vale la pena di leggere i Promessi Sposi. Deve aspettare che appaia una nuova edizione dei Promessi Sposi e poi intitolare su molte colonne: "Mode culturali. Il ritorno di Manzoni". Nel fare così fa benissimo, perché tra i suoi lettori ci sono quelli che Manzoni lo avevano dimenticato e molti giovani che ne sanno assai poco. Come dire che, visto che ormai i ragazzi credono che l'acqua calda scenda da sola dal rubinetto, ogni tanto bisogna trovare un pretesto per ricordare che per ottenerla occorre o farla bollire o andarla a cercare sottoterra.
E va bene, riparliamo del gioco. Rileggendo i vari interventi apparsi su questo giornale mi sono reso conto che in modi diversi alludevano tutti a una profonda mutazione antropologica che ci sovrasta. Il gioco, come momento di esercizio disinteressato, che giova al corpo o, come dicevano i teologi, toglie la tristitia dovuta al lavoro, e sicuramente affina le nostre capacità intellettive, per essere tale ha bisogno di essere parentetico. E un momento di sosta in un panorama giornaliero di diversi impegni, non necessariamente il duro lavoro manuale, ma persino l'intensa conversazione filosofica tra Socrate e Cebete.
Uno degli aspetti positivi della felix culpa è che se Adamo non peccava non avrebbe dovuto guadagnarsi il pane col sudore della fronte, e a gingillarsi tutto il giorno nell'Eden sarebbe rimasto uno zuzzurellone. Dal che emerge la provvidenzialità del Serpente.
Tutte le civiltà hanno tuttavia riservato alcuni giorni dell'anno al gioco totale. Era un periodo di licenza, che noi chiamiamo Carnevale e per altre civiltà è o è stato qualcosa d'altro. Durante il Carnevale si gioca senza interruzione, ma perché il Carnevale sia bello e non faticoso, deve durare poco. Anche qui prego “Repubblica” di non aprire un altro dibattito su questa "provocazione", perché la letteratura sul Carnevale è amplissima.
Ora una delle caratteristiche della civiltà in cui viviamo è la carnevalizzazione totale della vita. Questo non significa che si lavora meno, lasciando fare alle macchine, perché la incentivazione e organizzazione del tempo libero è stata una sacrosanta preoccupazione e delle dittature e dei regimi liberal-riformisti, ma perché si è carnevalizzato anche il tempo di lavoro.
È facile e ovvio parlare di carnevalizzazione della vita pensando alle ore spese dal cittadino medio di fronte a uno schermo televisivo che, al di là di tempi brevissimi dedicati all'informazione, provvede eminentemente spettacolo, e tra gli spettacoli predilige ormai quelli che rappresentano la vita come eterno carnevale, dove giullari e fanciulle bellissime non lanciano coriandoli bensì una pioggia di miliardi che chiunque può guadagnare giocando (e poi ci lamentiamo perché gli albanesi, sedotti da questa immagine del nostro paese, fanno carte false per venire in questo Luna Park permanente).
È facile parlare di carnevale pensando al danaro e al tempo dedicato al turismo di massa che propone isole di sogno a prezzi charter, e ti invita a visitare Venezia lasciando al termine della tua carnevalata turistica lattine, carta appallottolata, avanzi di hot dog e mostarda, proprio come alla fine di un Carnevale che si rispetti. Ma non si considera abbastanza la completa carnevalizzazione del lavoro dovuta a quegli oggetti polimorfi di cui parlava Calabrese, robottini servizievoli che tendono (mentre essi fanno quello che una volta dovevi fare tu) a far sentire come tempo di gioco il tempo del loro impiego. Vive il carnevale perenne l'impiegato che al computer, di nascosto dal capufficio, fa giochi di ruolo o visita il sito di “Playboy”. Vive il suo carnevale chi guida una macchina che ormai gli parla, gli insegna la strada da prendere, lo espone al rischio della vita impegnandolo a schiacciare pulsanti per riceve informazioni sulla temperatura, sulla benzina rimasta, sulla velocità media, sul tempo di percorso.
Il telefonino (vera coperta di Linus dei giorni nostri, come suggeriva Bartezzaghi) è strumento di lavoro per coloro che fanno professione di pronto intervento, come medici o idraulici. Per gli altri dovrebbe servire solo in quelle circostanze eccezionali in cui, trovandoci fuori casa, dobbiamo comunicare una urgenza improvvisa, il ritardo a un appuntamento a causa del deragliamento di un treno, di un' alluvione, di un incidente di traffico. Se così fosse, tranne che per esseri scalognatissimi, il telefonino come strumento dovrebbe essere usato una, al massimo due volte al giorno. Pertanto il novantanove per cento del tempo speso da coloro che vediamo serrare il loro "oggetto transizionale" all'orecchio, è tempo di gioco - come per l'imbecille che davanti a noi in treno conduce transazioni finanziarie ad alta voce come se si pavoneggiasse con una corona di piume e un anello multicolore al pene.
È ludico il tempo passato al supermercato o nei motel dell'autostrada, che ti offrono un empireo multicolore di oggetti in gran parte inutili, così che alla fine eri entrato per comperare un pacchetto di caffè, ti sei trattenuto un'ora, ed esci avendo acquistato anche quattro confezioni di biscotti per cani (naturalmente il cane non ce l'hai - se lo avessi, sarebbe un delizioso Labrador, il cane più alla moda, che non sa far la guardia, non sa andare a caccia né trovar tartufi, è pronto a leccare la mano a chi ti sta pugnalando, ma è un meraviglioso giocattolo, specie se lo metti in acqua).
Ricordo negli anni Settanta l'invito rivoluzionario, rivolto da Potere Operaio, del rifiuto del lavoro - perché tanto l'automazione trionfante ne avrebbe ridotto la dura necessità. Si obiettava allora che se la classe operaia rifiutava il lavoro, chi avrebbe sviluppato l'automazione? In un certo senso aveva ragione PotOp, l'automazione si è, come si suol dire, implementata da sola. Salvo che il risultato non è stato una nobilitazione della classe operaia che realizzava la condizione utopica vagheggiata da Marx, in cui ciascuno sarebbe stato al tempo stesso - e liberamente - pescatore, cacciatore eccetera. Al contrario, la classe operaia è stata assunta dall'industria della carnevalizzazione come suo proprio utente medio. Non ha più da perdere soltanto le proprie catene. Oggi (se ci fosse un black out rivoluzionario) avrebbe da perdere la puntata del Grande Fratello, e dunque vota per chi gliela dà, e continua a lavorare per offrire plusvalore a chi la fa divertire.
Se poi si scopre che in molte parti del mondo ci si diverte poco, e si muore di fame, la nostra falsa coscienza sarà acquietata da un grande spettacolo (giocoso) di beneficenza per raccogliere fondi per bambini neri, paraplegici e ischeletriti.
Si è carnevalizzato lo sport. Come? Lo sport non è gioco per eccellenza, come può carnevalizzarsi un gioco? Diventando, da parentetico che doveva essere (una partita alla settimana e le Olimpiadi solo ogni tanto), pervasivo e, da attività fine a se stessa, attività industriale. Si è carnevalizzato perché nello sport non conta più il gioco di chi gioca (trasformatosi tra l'altro in durissimo lavoro che si riesce a sopportare solo drogandosi) ma la gran carnevalata del prima durante e dopo, dove di fatto gioca per tutta la settimana chi guarda, non chi fa il gioco.
Si è carnevalizzata la politica, per la quale si usa ormai comunemente la dizione di politica-spettacolo. Esautorato sempre più il Parlamento, la politica si fa in video, come gioco gladiatorio, e per legittimare un Presidente del consiglio lo si fa incontrare con Miss Italia. La quale tra l'altro, non appare vestita da donna normale (e piuttosto intelligente come è apparsa a molti), ma in costume da Miss Italia (si arriverà al giorno che anche il presidente per legittimarsi dovrà apparire mascherato da presidente).
Si è carnevalizzata la religione. Una volta sorridevamo su quelle cerimonie che si vedevano nei film, in cui uomini di colore vestiti di paramenti variopinti, danzavano il tip tap gridando "Oh yes, oh Jesus!" (e le opere, e le opere, ci chiedevamo noi di educazione cattolica, dove sono finite le opere in questi carnevali post-protestanti della sola fede danzante?).
Oggi, absit iniuria, molte manifestazioni giubilari a suono di rock ci hanno ricordato la discoteca. E d'altra parte alcuni gay hanno creduto di trovar risarcimento alla loro millenaria e sofferta emarginazione nel Carnevale del Gay Pride. Alla fine sono stati accettati, perché nei giorni del Carnevale si accetta tutto, anche una cantante che si muove con l'ombelico scoperto davanti a Giovanni Paolo (non fingete di averlo scordato, è accaduto, e solo pochi hanno provato pietà per quell'infelice e nobile vegliardo).
Essendo creature ludiche per definizione, e avendo perduto il senso delle dimensioni del gioco, siamo nella carnevalizzazione totale. La specie ha tante risorse, forse si sta trasformando, e saprà accettare questa nuova condizione traendone persino vantaggi spirituali. E forse è giusto che il lavoro non sia più maledizione, e che non si debba passare il proprio tempo a fare l'esercizio della buona morte, che anche la classe operaia vada finalmente in paradiso ridendoci su. Allegria!
O forse ci penserà la Storia, una bella guerra mondiale con tanto uranio impoverito, un bel buco dell' ozono più grande che pria, e il Carnevale finirà. Ma occorre riflettere sul fatto che la carnevalizzazione totale non soddisfa, bensì acuisce il desiderio, prova ne sia la sindrome della discoteca, che dopo tanto danzare e tanti decibel si vuole ancora correre, chiuse le porte, la gimcana notturna della morte.
La carnevalizzazione totale rischia di produrre la situazione mirabilmente descritta da quella vecchia barzelletta, del tizio che avvicina insinuante una tizia e chiede: "Signorina, che cosa fa dopo l'orgia?".

“la Repubblica”, 8 gennaio 2001

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