29.7.19

Il Cardinale Mazzarino e i segni del potere (Umberto Eco)


Diciamoci la verità. Quel che sapevamo del Cardinal Mazzarino (al di là di un nome intravisto sui libri di testo verso la fine della guerra dei trent’anni) lo avevamo appreso dal Dumas di Vent'anni dopo. Odiosissimo cardinale, che le traduzioni popolari scrivevano con una sola zeta, squallida figura di lestofante e simulatore a petto del grande suo predecessore, il gran Richelieu che sapeva colpire i nemici e dare un brevetto di capitano ai moschettieri che se lo meritavano. Mazzarino mente, manca di parola, è tardo nel pagare i debiti, fa avvelenare il cane del duca di Beaufort che era stato addestrato a rifiutarsi di saltare in suo onore. È un guitto italiano, e Beaufort lo dipinge come “l’illustrissimo facchino Mazzarino”. È vile, spergiuro, codardo e si infila nottetempo nel letto di Anna d’Austria, che in altri tempi aveva saputo amare uomini della tempra di Buckingham. Possibile che Mazzarino fosse così gaglioffo? D’altra parte sapevamo che Dumas, quando parlava di personaggi storici, non inventava: coloriva, sceneggiava, ma stava attento alle fonti, ai cronisti, ai memorialisti, anche per tratteggiare i personaggi di fantasia, immaginiamoci dunque con un uomo del peso di Mazzarino. Quindi ci fidavamo.
Non so se Dumas conoscesse questo Breviario dei Politici secondo il Cardinale Mazzarino che ora viene ripubblicato da Rizzoli nella collana “Il ramo d’oro”, con una penetrante prefazione di Giovanni Macchia. Avrebbe potuto, perché l’operetta esce in latino nel 1684, da un improbabile editore di Colonia, ma viene ampiamente tradotta e circola per i secoli successivi (questa edizione riproduce la prima traduzione italiana del 1698). C’è da pensare che ne abbia solo sentito parlare. Perché, a parlarne, e a riassumerlo in breve, ne può venire fuori un Mazzarino alla Dumas, machiavellico da strapazzo che si ingegna di combinare il proprio aspetto esteriore e i propri festini, le proprie parole e i propri atti, in modo da ingraziarsi i padroni e mettere nei guai 1 propri nemici gettando il sasso e nascondendo la mano. Ma a leggerlo bene, come ci induce Macchia, il personaggio che ne vien fuori, se è pur sempre quello che Dumas ha azzeccato, per lo meno ci sbigottisce per la complessità, la consapevolezza, l’alto rigore teoretico della sua pianificata e umanissima gagliofferia.
Il libro, si dirà, non è suo, appare come una silloge delle sue massime, dette o praticate che fossero. Perché allora non leggerlo come una satira, intesa così come per molti si è interpretato Machiavelli, come l’opera di uno smaliziato moralista che fingendo di dar consigli al principe gli allor ne sfronda ed alle genti svela? Ma il fatto è che, chiunque abbia scritto il libello, se non era Mazzarino era qualcuno che prendeva sul serio quel che scrive, perché nel Seicento - come ricordava Croce nella Storia dell'età barocca in Italia - “l’arte del simulare e del dissimulare, dell’astuzia e dell’ipocrisia, era, per le condizioni illiberali della società di allora, assai praticata, e forniva materia agli innumerevoli trattati di politica e di prudenza”.
Il libro di Machiavelli era semmai un trattato dell’imprudenza, l'ardire proclamare a gran voce che cosa il Principe dovesse fare per il bene comune. Ma di mezzo c’è la Controriforma e la casistica gesuitica: i trattatelli del Seicento dicono semmai come difendersi in un mondo di principi infidi e ormai troppo coscientemente machiavellici, per salvare o la propria dignità interiore, o la propria integrità fisica, o per fare carriera.
Prima di questo breviario del Mazzarino appaiono sulla scena culturale due altri breviari, ben più noti: L'oracolo manuale o arte di prudenza di Baltasar Graciàn (1647) e il Della dissimulazione onesta di Torquato Accetto (1641). C’era di che ispirarsi, ma il breviario di Mazzarino pare originale nei propri spudorati intenti. Graciàn e Accetto non erano uomini di potere, e la loro dolente meditazione concerne le tecniche con cui, in una età difficile, ci si poteva difendere dai potenti. Per Graciàn il problema era di come armonizzarsi coi propri simili subendo il minor danno possibile (e di danni ne subì in vita sua, né fu tanto prudente quanto predicava) e per Accetto la questione non era di simulare ciò che non è (ché sarebbe stato inganno) ma di dissimulare ciò che si è, per non irritare troppo gli altri con le proprie virtù (il suo problema non era come arrecar danno ma come non patirne). Mazzarino no, stende il programma di un uomo che, imparando i modi di ingraziarsi i potenti, di farsi benvolere dai propri soggetti, di eliminare i propri nemici, tenga saldamente in mano, con tecniche simulatorie, il potere.
Simulazione, non dissimulazione. Mazzarino (o chi ha scritto il libretto) non ha niente da dissimulare: non ha niente perché egli è solo ciò che produce come propria immagine esterna. Si veda il primo capitolo, simulatoriamente intitolato “Conosci te stesso”. Inizia con un aforisma sulla necessità di esaminarsi attentamente per vedere se si ha nell’animo qualche passione (peraltro, anche qui la domanda non è “chi sono?” ma “come mi manifesto a me stesso?”) e immediatamente procede, con le altre massime, a disegnare un se stesso che altro non è che maschera, sapientemente costruita: Mazzarino è ciò che riesce ad apparire agli altri. Egli ha una chiara nozione del soggetto come prodotto semiotico, Goffman dovrebbe leggere questo libro, è un manuale per la totale teatralizzazione del “Sé”. Qui si disegna una idea di profondità psichica fatta tutta di superfici.
Ci troviamo di fronte ad un modello di strategia “democratica” (nell’età dell’assolutismo!) perché pochissime, e calibrate, sono le istruzioni su come aver potere producendo violenza; in ogni caso mai direttamente, sempre per interposta persona. Mazzarino ci dà una splendida immagine di come si ottiene potere attraverso la pura manipolazione del consenso. Come piacere, non solo al proprio padrone (dettame fondamentale) e non solo ai propri amici, ma anche ai propri nemici, da lodare, blandire, convincere della nostra benevolenza e buonafede, in modo che muoiano, ma benedicendoci.
Vorrei ancora insistere sul primo fondamentale capitolo: non v’è alcuna delle sue massime che non contenga un verbo di parvenza: dar segno, dar a divedere, svelare, guardare, osservare, passare per... Anche le massime che riguardano gli altri puntano sui sintomi, sui segni rivelatori, sia per quanto riguarda i paesi, le città, i paesaggi che gli amici e i nemici. Come accorgersi se qualcuno è mentitore, se ama qualcun altro, se lo aborre; e le istruzioni son sottilissime, del tipo: parla male del suo nemico e osserva il suo comportamento e come reagisce. E le tecniche per scoprire se qualcuno sappia tenere un segreto, mandandogli un altro che lo provochi e se ne mostri a conoscenza, per vedere come il primo si lasci andare o opponga una maschera impenetrabile, come quella che Mazzarino si ingegna di costruir per sé, arrivando a suggerire come si deve scrivere una lettera in presenza d’altri in modo che essi non possan leggerla, e come mascherare ciò che si legge, e poi come passare da uomo grave (“non fissar gli occhi in altri, non istorcerti il naso, né aggrinzartelo... i gesti sien rari, il capo stia dritto, profferisci pochissime parole, non ammettere spettatori a tavola”).
E fai sempre che il tuo avversario faccia volentieri ciò a cui tu vuoi condurlo: “se avessi concorrente in qualche carica da te pretesa, inviagli segretamente persona, che sotto color d’amicizia ne’l distolga, e gli esaggeri le difficoltà che dovrà incontrare”. E sii preparato a tutte le insidie, e a controbatterle: “prefiggiti alcune ore del giorno a ruminar teco stesso attentamente, se ti sopraggiungesse, o uno o un altro accidente, come dovresti risolverti”, che è poi la moderna teoria degli “scenari” di guerra e di pace, solo che il Pentagono li fa coi cervelli elettronici. E si insegna persino come fuggir bene di prigione (ché tutto può accadere all’uomo di potere) e come stimolar panegirici in proprio onore che siano brevi e di basso costo, in modo che tutti ne prendan visione. E come dissimular la ricchezza (“sempre brontola per la tua scarsa borsa”, qui Dumas aveva colto il suo uomo) ma non sempre, secondo i casi, ché ecco all’improvviso il nostro autore ci sorprende con una descrizione di un pranzo come si deve da strabiliar gli ospiti, che non si può riassumere, ed è un pezzo di gran teatro barocco.
Ma infine, basta con l’ammirazione, libri del genere si leggono per trarne un utile. E allora, non crediate che vi possa servire per diventare un uomo di potere, e non perché le sue massime non siano buone, perché sono tutte giuste. E che questo libro ci descrive ciò che l’uomo di potere sa già, magari per istinto. In questo senso non è solo un ritratto di Mazzarino, usatelo come identikit per la vostra vita quotidiana. Vi troverete dentro molti che conoscete, o per averli visti in televisione o per averli incontrati in azienda. Ad ogni pagina vi direte “ma questo io lo conosco!” Naturalmente. I Mazzarino diventano famosi e non tramontano mai. Il potere logora solo chi non sa già queste cose.

“la Repubblica”, 6 gennaio 1982

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