25.7.19

Il meridionalismo di Scotellaro (Pietro Nenni e Raniero Panzieri - “mondo operaio” n. 4 febbraio 1955)

La redazione del periodico “mondo operaio”, fondato nel 1948 da Pietro Nenni, a quel tempo quindicinale, diede al n. 4 del 1955, datato 19 febbraio, un carattere monografico, dedicandolo quasi interamente a un convegno svoltosi a Matera il 6 febbraio e incentrato alla figura di Rocco Scotellaro, poeta e cantore appassionato del mondo contadino, scrittore meridionalista, militante del Psi, sindaco di Tricarico, scomparso poco più di un anno prima, nel dicembre del 1953.
Il convegno era stato ideato e organizzato da Raniero Panzieri, che senza lasciare l'incarico di Segretario regionale del Psi in Sicilia, aveva assunto nella direzione del partito di Nenni e Pertini il ruolo di responsabile culturale. L'iniziativa, come altre di Panzieri nell'intensissimo 1955 che lo vide protagonista anche delle elezioni regionali siciliane in cui il PSI ottenne un forte successo (ricordiamo un convegno socialista contro la censura ed un altro, a Venezia, sul cinema italiano) rompeva il monopolio di fatto che fino ad allora i comunisti avevano esercitato nella politica culturale della sinistra. Essa realizzava peraltro una doppia apertura: verso il meridionalismo democratico e verso quel complesso mondo liberal-socialista, in gran parte proveniente dal Partito d'Azione, che, organizzato per piccoli gruppi autonomi ma fra loro in rete, già da qualche anno aveva ripreso il dibattito nelle sue riviste e nei suoi giornali sulla questione meridionale, sulle campagne e sul ruolo degli intellettuali. Nenni, che aveva un eccellente fiuto politico, sostenne con entusiasmo l'iniziativa ed al convegno di Matera dedicò sull'“Avanti!” un editoriale in prima pagina, salutandolo come una svolta.
La cura del numero speciale di “Mondo operaio” dedicato a Scotellaro e al convegno di Matera fu affidata da Nenni, che ne era il direttore, a Panzieri, ma l'apertura che qui “posto” e ne rappresenta la sintesi politica, pubblicata con la firma redazionale “m.o.”, fu frutto di un'intensa collaborazione tra i due: gli specialisti potranno probabilmente distinguere con buona approssimazione le parti da attribuire a ciascuno di loro attraverso un'analisi stilistico-tematica, ma anche un non specialista può ragionevolmente pensare che vadano riferiti soprattutto a Panzieri alcuni passaggi propriamente storico-teorici e a Nenni alcune frasi di sintesi politica e di grande efficacia giornalistica.
Leggete perché c'è da leggere. (S.L.L.)

Rocco Scotellaro

Il meridionalismo di Scotellaro
Il Convegno su Rocco Scotellaro, promosso dal PSI e tenutosi a Matera il 6 febbraio con una larga e fervida partecipazione di intellettuali e di contadini e con numerosissime e significative adesioni, è stato, per l’ampiezza e il rigore critico del dibattito, per l’importanza e la precisione delle conclusioni e indicazioni che se ne possono ricavare, la più degna commemorazione di Scotellaro, una commemorazione che non è stata una rievocazione sentimentale, non ha voluto creare o perfezionare un «mito», ma è stata, come ha detto Fortini, la continuazione del discorso stesso di Rocco poeta, uomo di cultura e militante, la cui opera si perpetua e si approfondisce nella ricerca e nell’azione meridionalista.
Nel coerente meridionalismo di Scotellaro il Convegno di Matera ha riconosciuto e dimostrato il significato e l’insegnamento della sua vita e della sua opera letteraria. L’unità della sua azione politica e della sua poesia e delle sue ricerche sul mondo contadino sono il risultato e insieme lo esempio di una posizione meridionalistica viva, attuale, che ha le sue radici nella realtà di oggi del Mezzogiorno, nel risveglio delle masse contadine, nella loro coscienza politica precisa, nelle loro aspirazioni di emancipazione che hanno la forza di tradursi in ideali e scopi di valore nazionale. Questo è l’elemento reale da cui emerge la figura di Scotellaro, ne determina la caratteristica essenziale, opera in modo tale che le incertezze, le contraddizioni, i limiti che pure sono in lui — e sono inevitabilmente nella stessa ancora iniziale affermazione di autonomia delle masse contadine — siano, non certo trascurabili né marginali, ma da valutare tuttavia in rapporto a una coerente fedeltà a un mondo che ha rotto definitivamente con lo oscuro, immobile passato e non abbandonerà la via della liberazione.
Certo, il Mezzogiorno non è mai stato fuori della storia. Ma esso è stato il lato negativo della storia d’Italia, la sua contraddizione permanente. Il divario che lo ha tenuto diviso, sempre più profondamente diviso dal resto del Paese, è la spaccatura, la crisi, il dramma non risolto della storia italiana. Il suo isolamento, certo, non è, se non metaforicamente, un essere fuori della storia; ma esso è l’elemento decisivo della nostra storia nel senso del suo sviluppo faticoso, interrotto. Con l’Unità, la depressione del Mezzogiorno diviene più direttamente la depressione politica di tutto il Paese. E in questa situazione, il mondo contadino non è inerte. Tenta di esprimere la sua estrema sofferenza, e con essa di portare alla luce il nodo capitale della storia italiana. I suoi moti improvvisi, i suoi tentativi di organizzarsi, la sua disperata tendenza all’affermazione di una autonomia esprimono pure il diritto alla liberazione. Nel «perire dei tempi» di cui parla Rocco, la stessa ripetizione di forme di esistenza barbare e pagane, la ripetizione del rifiuto alla civiltà e alla presenza cristiana, producono, poiché esse non avvengono nel vuoto ma nella storia, l’accrescersi della protesta, della energia liberatrice.
Il fallimento della corrente democratica nel Risorgimento trova la sua spiegazione — osservava Gramsci — nella sua estraneità alla questione decisiva che era quella di legare alla rivoluzione nazionale le masse rurali attraverso l’accoglimento delle loro rivendicazioni. Anzi, già prima dell’Unità si delinea il contrasto tra il pensiero e il movimento democratico di ispirazione illuministica, volti troppo spesso alla ricerca di trasformazioni prevalentemente giuridiche e politiche, e il mondo contadino che stenta ad esprimere in forme autonome e organiche le esigenze di trasformazione reale di cui è portatore. Questa scissione, anziché comporsi, si accentua e si aggrava con l’Unità. Ed è proprio sulla base del suo graduale riconoscimento — e del riconoscimento del suo porsi come massimo problema nazionale — che si forma la questione meridionale.
La formazione di una coscienza politica contadina, che è dei nostri anni, si presenta dunque come possibilità di ripresa e di superamento della grande tradizione della cultura democratica meridionale, come già è stato fortemente sottolineato al recente secondo Congresso del popolo meridionale. Ed è certo positivo che su questa linea muovano oggi correnti e gruppi sotto l’insegna di un liberalismo meridionalista. Ma come conciliare allora la sostanza di questo programma con la pretesa di deridere la ricerca di Dorso sugli elementi positivi autonomi di storia meridionale e di dare a intendere che tale ricerca sarebbe mitologica? Uno scrittore di “Nord e Sud” ha persino citato la frase di Dorso su Salvemini come esempio di 'terminologia misterica': « Sotto la crosta del blocco agrario, sotto la cristallizzazione della vecchia società meridionale, sotto l’immobilità istituzionale e politica, bolle il fuoco eterno, e tocca a Gaetano Salvemini iniziare la forzatura del mistero». Ma occorre completare la citazione: «È il problema del socialismo italiano ad attrarlo, la sua insufficienza rivoluzionaria e le sue deviazioni particolaristiche. Si può aprire su questo terreno la prima breccia nel fronte antimeridionalista? Se si riesce a richiamare il socialismo alla sua missione storica, forse — pensa Salvemini — è già nato lo strumento politico per la rigenerazione del Mezzogiorno. I Fasci siciliani, il socialismo pugliese, le prime affermazioni del proletariato napoletano sono ancora nella memoria di tutti. Bisogna ritrovare quel filone nascosto e svolgerlo, bisogna far sboccare il Mezzogiorno nella lotta politica moderna ».
Il contrasto tra meridionalismo e antimeridionalismo raggiunge naturalmente con il fascismo il suo momento più drammatico. Contro il tentativo mostruoso di cristallizzare e di rendere definitiva la immobilità del Mezzogiorno — contro questo tentativo nel quale si rappresenta per intero il carattere barbarico del fascismo — urge il processo di radicale maturazione della democrazia italiana.
Le forze popolari acquistano gradualmente e faticosamente coscienza della loro posizione e dei loro compiti nazionali e tale processo si esprime nella formazione dì una nuova classe politica che, mentre si riconosce erede delle tradizioni liberali democratiche e socialiste, ne brucia le debolezze e le contraddizioni, il pessimismo aristocratico e i residui dottrinari, attraverso lo sforzo di rispecchiare le esigenze di unificazione reale del Paese in concreti programmi dì rinnovamento democratico.
È qui il valore profondo della Resistenza e della Liberazione: la presenza, nell’eroismo, di una precisa coscienza politica che unifica le masse con le élites. Già portato da Gramsci e da Dorso, agli inizi della battaglia antifascista, al grado più alto di elaborazione concettuale storicamente possibile, il meridionalismo diviene motivo centrale della lotta del popolo italiano per l’indipendenza e il rinnovamento democratico. Il meridionalismo diviene, alla Liberazione, il banco di prova della coerenza democratica di ogni corrente politica.
Come la gobettiana intransigenza contro il fascismo e l'unità di questa intransigenza erano (e sono ancora oggi) il fondamento di ogni possibile e concreta differenziazione delle forze per lo sviluppo del libero contrasto democratico, così la fedeltà ai meridionalismo è il più saldo criterio di valutazione circa la effettiva capacità democratica della classe politica che sorge dalla lotta contro il fascismo e dalla Liberazione. Comune fedeltà al meridionalismo non è dunque unità indifferenziata, cioè compromesso tra forze politiche diverse; al contrario, è condizione di sviluppo per ciascuna di esse. Nella concreta esperienza politica degli ultimi decenni, che accomuna popolo e classe politica, si effettua il superamento di quelle astratte opposizioni tra le correnti meridionalistiche che traevano il loro primo motivo di essere della mancata o insufficiente coscienza nazionale delle classi popolari, in primo luogo dal residuo corporativismo della classe operaia e dal contrapposto massimalismo.
Si realizza così il superamento, nell’odierno meridionalismo, della opposizione tra unitari e autonomisti, anche se è doveroso riconoscere, da Colajanni a Salvemini a Dorso, nelle correnti autonomistiche il fermento più vivo, il preannuncio e insieme lo strumento iniziale di realizzazione della concezione più matura.
La esigenza unitaria (Giustino Fortunato) perde il suo carattere «feticistico», conservatore, nel momento in cui diviene esigenza consapevole di unificazione reale presso le forze popolari. L’autonomismo perde il suo carattere astrattamente giuridico, il suo residuo utopismo al quale vittoriosamente gli unitari potevano contrapporre la miserabile realtà della vita politica meridionale in balìa del trasformismo e delle clientele locali, nel momento in cui esso diviene espressione della conquistata fiducia delle masse meridionali in sé stesse.
Si saldano così nel meridionalismo attuale, con accentuazioni e prospettive politiche necessariamente differenziate, le esigenze del riscatto economico, della distruzione dei residui feudali, cioè della riforma agraria e della industrializzazione, con le esigenze della liquidazione del vecchio Stato accentratore-burocratico, della trasformazione della struttura amministrativa, del rovesciamento del rapporto tra Stato e masse rurali, onde l’ordinamento statale, anziché soffocare, favorisca la formazione della coscienza politica e della capacità di autogoverno dei contadini del Sud, condizione essenziale per assicurare la spinta rinnovatrice contro le potenze economiche arroccate nella difesa del privilegio. È questo, oggi ancora, più che mai oggi, il tratto distintivo, il carattere essenziale del meridionalismo, ciò che segna il confine che lo separa e lo oppone irriducibilmente all’antimeridionalismo: la opposizione ad ogni forma di paternalismo che, per quanto si mascheri, in buona o in mala fede, di riformismo sociale, tende inevitabilmente a ripetere le antiche contraddizioni, a ribadire le vecchie catene e, in ultima analisi, a rinsaldare interne con la struttura del vecchio Stato soffocatore, il peso e la oppressione delle forze economiche pirivilegiate.
Siamo oggi ancora dinanzi al problema di fondo su cui Levi richiamava la responsabilità della classe politica antifascista: riuscire a creare uno Stato del quale anche i contadini si sentano parte. Le strutture e la pratica del vecchio Stato — «l'eterno fascismo italiano», diceva Levi - si ripetono oggi, strumento massimo dell’antimeridionalismo. Ma il risveglio contadino c’è stato, e c’è stato come elemento fondamentale del risveglio democratico delle classi popolari in tutto il paese. Il programma meridionalistico nei suoi lati inscindibili di risollevamento economico, di trasformazione statale e di emancipazione sociale, non si è realizzato nella realtà istituzionale del Paese, ma non si è neppure trasformato in una utopia poiché esso e presente in termini sempre più precisi nella coscienza e nell'azione liberatrice delle forze popolari e delle correnti democratiche, in una alleanza nella quale il riconoscimento del valore nazionale delle lotte esclude il compromesso, è garanzia di democraticità, un'alleanza, dunque — come osservava al Convegno di Matera Mario Alleata — che postula finalmente non la soffocazione di una delle forze che la compongono ma il loro reciproco espandersi e rafforzarsi, che diviene in se medesima tanto più salda ed efficace contro il nemico comune quanto piu si sviluppano le autonome energie liberatrici di ciascuna di esse. Non si tratta di mettere in discussione, a proposito dell’alleanza delle forze popolari del Nord e del Sud, la funzione decisiva che spetta alla classe operaia, in quanto ad essa è affidato obiettivamente il compito di affermare nel modo più conseguente i motivi della lotta democratica contro le vecchie potenze egemoniche: è proprio nell’affermarsi di tale funzione, che si creano le condizioni per l’affermazione autonoma delle forze contadine.
Si manifesta così, nella tensione e nella espansione delle forze operaie e contadine, la spinta a superare l’opposizione città-campagna, e in questo stesso sforzo tendono a svilupparsi insieme, in un processo di elementi distinti ma non opposti, le diverse correnti di cultura. Si affermano in esse necessariamente momenti e livelli differenziati dello sviluppo dei diversi strati e aspetti della realtà e del movimento sociale del Paese, del Nord e del Mezzogiorno: proprio nello sforzo di avvicinare ed esprimere il momento drammatico della rottura con il passato ed il risveglio alla storia nazionale e alla lotta del mondo contadino, gli intellettuali recano un contributo decisivo alla formazione della cultura nazionale. In questa consapevole tendenza, attraverso e al di là delle inevitabili incertezze, è la lezione esemplare dell’opera di Rocco Scotellaro.
Nel moto di rinascita mutano dunque profondamente i rapporti tradizionali tra contadini e intellettuali.
Dietro la «rabbia appassionata» dei contadini oppressi del Sud nei confronti degli intellettuali di cui parlava Gramsci, in particolare nei confronti iella piccola borghesia intellettuale del Mezzogiorno c’era il «mistero» della cultura come strumento indispensabile ed inaccettabile di vita e di oppressione insieme. Ma sempre in. questa «rabbia appassionata » c’è stata l’aspirazione alla conquista della cultura, della autonomia. Questa conquista diviene possibile nel momento in cui presso le masse contadine si forma la coscienza precisa dei loro problemi e delle loro rivendicazioni, in cui cioè questi problemi vengono da esse riconosciuti nel loro valore obiettivo e collettivo e nel nesso con le altre questioni del Paese.
Questo riconoscimento positivo, questo inserimento della vita e delle esigenze del mondo contadino nella società nazionale, è per le masse rurali conquista, certo faticosa, di una propria nuoca autonomia e con essa trasformazione della «rabbia appassionata» verso la cultura in rivendicazione e amore positivo di cultura.
È pur doveroso riconoscere — ed è stato sottolineato al Convegno di Matera — che in senso specifico tale processo, di cui l’opera di Scotellaro e momento fondamentale, è ancora ai suoi inizi.
Il Convegno ha perciò auspicato e sollecitato,attraverso lo sviluppo di un ceto politico e intellettuale legato alla nuova realtà contadina, l'affermazione sempre più ricca di una cultura impegnata nella diretta conoscenza della società meridionale, della sua storia, dei suoi problemi e del suo svolgimento attuale. Il libero gioco e contrasto di gruppi e correnti potrà svilupparsi in tutta la sua ampiezza proprio sulla base del comune denominatore del meridionalismo attuale, quale è definito dal legame degli intellettuali con le masse in movimento e dalla prospettiva di una continua espansione di tutte le energie meridionali. Ed è pure su questa linea da promuovere più vigorosamente l’azione verso la rinascita culturale del Mezzogiorno affrontando sistematicamente i problemi della organizzazione della cultura negli aspetti specifici che essi presentano nelle regioni meridionali.
I contadini del Sud — è stato detto a Matera ed è stato dimostrato dalla profonda serietà dell’incontro tra contadini e intellettuali — sono forza matura e capace ormai di far propria e di sostenere questa lotta, con lo slancio e il disinteresse insieme che essa richiede. Le masse meridionali sanno ormai che l’affermazione della loro autonomia può e deve anche realizzarsi in forme precise e sempre più mature nella difesa e nello sviluppo della cultura, sostanza ed arma della loro richiesta di libertà.

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