1.7.19

Millenarismi. Quando il mondo non finì con la temuta catastrofe (Valerio Castronovo)

Miniature. Papa Urbano II  benedice l'altare dell'Abbazia di Cluny

Mille e non più Mille. L'anno Mille come la fine dei tempi. In prossimità di questa fatidica data, la paura si sarebbe perciò impadronita dell'umanità, atterrita dalla predizione di un'imminente fine dei mondo. Senonché l’assunto secondo cui gli uomini di allora fossero caduti in preda a una sindrome del genere non erastato altro, per dirla con Lucien Febvre, che una «gigantesca falsa credenza», una leggenda storiografica divulgata molti secoli dopo.
È vero invece che nel corso dell'undicesimo secolo cominciarono a prendere forma e consistenza alcuni orientamenti tali da determinare un progressivo cambiamento di scenario rispetto al passato. E che da allora gli uomini iniziarono pertanto a misurarsi con le implicazioni di segno diverso che di volta in volta ne scaturivano.
Che il Mille abbia rappresentato una sorta di spartiacque per l’Europa, è quanto avvenne grazie al fatto che non fu più scossa incessantemente da guerre, invasioni, saccheggi e carestie. E che fu quindi possibile, in condizioni di maggiore tranquillità, procedere all’estensione delle terre coltivate, all’introduzione di nuove tecniche agricole e fonti di energia, nonché a una vivace ripresa dei commerci e delle manifatture, con un conseguente aumento della popolazione. Ma se questi furono i risultati più tangibili della rinascita delineatasi all'indomani del Mille, altrettanto importanti furono quelli che andarono via via maturando sul versante politico e istituzionale. E che Glauco Maria Cantarella (Manuale della fine del mondo. Il travaglio dell’Europa medievale, Einaudi, 2015) pone debitamente in luce nelle pagine di un saggio che si raccomanda per la finezza dell’analisi congiunta a un brillante stile narrativo.
Al centro della sua trattazione spicca la trama complessa e mutevole dei rapporti fra Impero e Papato durante quella lunga e serrata disputa, per l’affermazione di una potestà universale, del «dominium mundi», che sfociò nella lotta per le investiture e che sembrò doversi concludere con il concordato di Wormsdel 1122 per poi riaccendersi, con ancor maggior violenza, dopo l’ascesa al seggio imperiale e a quello pontificio di figure dalla fortissima personalità come Federico Barbarossa e Alessandro III.
Ma pagine interessanti sono anche quelle dedicate dall’Autore al sorgere delle monarchie, in particolare agli esordi dei regni di Inghilterra e di Spagna, dopo il consolidamento di quello francese; agli sviluppi delle autonomie comunali in Italia in connessione con le aspirazioni di libertà e i nuovi statuti di vari centri urbani del nord Europa; ad alcuni aspetti significativi della dottrina religiosa e della cultura di corte; ai movimenti riformatori e a quelli ereticali. Nella temperie di quell’epoca assunsero un ruolo di rilievo nuove comunità monastiche, derivanti dalla famiglia benedettina: i cluniacensi e i cistercensi. Soprattutto il primo di questi due Ordini svolse una funzione preminente nella costruzione di un modello di riferimento ideale nella vita religiosa ed ebbe una larga influenza nell’evoluzione intellettuale e artistica dell’Occidente. C'era nell’Ordine fondato nel 910 dal monaco Bemone nel convento di Cluny in Aquitania, le cui propaggini si estesero poi in ogni angolo d’Europa, uno spirito cosmopolita e insieme fortemente centralizzato, consistente in un sistema concettuale sempre più organico, che, secondo Cantarella, rese Cluny una sorta di «ombelico del mondo» e di «garante degli equilibri e della pace fra il secolo e l’eternità». Del resto, dalle fila dei cluniacensi provennero due papi del livello di Gregorio VII, assertore di una concezione teocratica del potere e perciò risoluto antagonista dell’imperatore Enrico IV, e Urbano II, il promotore nel 1095 della prima crociata. Inoltre, ai monaci di quest’ordine si deve la prima traduzione, nel corso del XII secolo, del Corano in latino. La regola cluniacense aveva ridotto le ore del lavoro manuale a vantaggio della preghiera e delle cerimonie liturgiche e processionali durante le quali la musica, in quanto elemento incorporeo e spirituale per eccellenza, costituiva un fattore di sublimazione nelle celebrazioni corali di fede e consacrazione a Dio dei cluniacensi.
Nel cangiante mosaico di quei due secoli fra l’undicesimo e il tredicesimo che videro il passaggio dal mondo primo-medievale a quello tardo-medievale, un altro tassello emblematico nella gestazione di un nuovo universo più aperto e articolato, fu l'avvento di una nuova cultura politica. Si trattava di una cultura elaborata dagli ambienti di corte (come mai era avvenuto precedentemente in modo così ampio) in cui convivevano motivi della classicità, indagini teologiche e filosofiche, dissertazioni giuridiche, riflessioni sul passato e sul presente ma anche sul futuro, a cui era complementare una cultura letteraria in forme di intrattenimento e di esibizione. In questo stesso tornante il francese d’oil, quale lingua delle corti, divenne la nuova lingua internazionale.

"Il Sole 24 ore - Domenica", 1 marzo 2015

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