18.8.19

5 anni fa. Rissa nel branco dei leghisti (Alberto Custodero)

Bossi e Salvini in una foto recente, dopo aver fatto pace.
Nel febbraio scorso Bossi ha dichiarato alla stampa:
"Ho lasciato a Salvini una efficiente macchina da guerra".
Salvini ha risolto tutto appropriandosi di rimborsi non dovuti
e poi ottenendo il privilegio di spalmare su alcuni decenni
le decine di milioni di euro che la Lega deve allo Stato italiano


Salvini nega il vitalizio a Bossi, che lo denuncia
Accordi non mantenuti e accuse di tradimento e truffa. Finisce in tribunale una lite tra il fondatore della Lega Nord, Umberto Bossi, e l’attuale segretario del Carroccio, Matteo Salvini. Ecco l’antefatto di questa querelle giudiziaria “Lega contro Lega”. Bossi da tempo percepisce dalla Lega un “vitalizio” di 900 mila euro – così si legge nella citazione di Bossi contro Salvini – per sostenere le sue spese mediche, e finanziare quelle del suo staff politico, il famoso “cerchio magico”. Il legale del Senatur, inoltre, l’avvocato Matteo Brigandì, aveva presentato alla Lega una parcella milionaria per la sua attività professionale dal 2000 al 2013. E, per farsi liquidare l’esosa parcella, aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale il sequestro cautelativo di sei milioni di euro sui conti leghisti.
Dall’altra parte, il segretario del Carroccio, Salvini, al momento del suo insediamento, aveva manifestato l’intenzione di non versare più alcuna somma al fondatore leghista, non voleva pagare la parcella a Brigandì, e aveva annunciato la volontà di costituirsi parte lesa, come Lega, nei processi contro lo stesso Bossi e i suoi figli, Renzo e Riccardo. Una faida fratricida tra i massimi vertici delle camicie verdi. Grazie alla mediazione di Stefano Stefani, tesoriere del partito, tra i due è stato raggiunto un accordo che avrebbe dovuto porre fine a questa faida tra padani. E così il 26 febbraio di quest’anno Bossi, Stefani, Brigandì e Salvini firmano una scrittura privata che avrebbe dovuto sancire la fine della guerra in via Bellerio. Ecco gli accordi tra i quattro. Bossi avrebbe imposto al suo legale di rinunciare alla parcella e di svincolare i sei milioni di euro. In cambio Salvini avrebbe garantito al Senatur un “vitalizio” di 400 mila euro annui, e si sarebbe impegnato a non costituirsi parte lesa nei processi contro la famiglia Bossi.
Ma da febbraio ad oggi le cose non sono andate come previsto dalla scrittura privata. Anzi. Bossi ha effettivamente provveduto a liberare i soldi leghisti
fatti sequestrare dal suo legale che ha rinunciato alla parcella. Ma la Lega ha usato quei sei milioni di euro per la campagna elettorale delle europee, li ha spesi tutti. E il bilancio del partito è andato in rosso. Rimanendo senza soldi, il segretario Salvini ha fatto sapere a Bossi di non potergli più garantire i 400mila euro promessi. A stento avrebbe potuto offrirgliene la metà. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, infine, è stato l’annuncio che la Lega alla prima udienza del 10 ottobre contro i familiari di Bossi, si sarebbe costituita parte lesa. Il decreto che fissa l’udienza, del resto, non consente smentite. Questo vuol dire che Salvini chiederà i danni all’uomo che ha creato il movimento. Insomma, il Senatur s’è sentito tradito e truffato: il suo legale ha perso 6 milioni di euro, lui ha perso 200 mila euro annui, e ora rischia di dover risarcire il movimento che ha fondato. Montato su tutte le furie, Bossi ha deciso di reagire con una denuncia, incaricando il suo avocato (Brigandì) di citare in giudizio Salvini in tribunale per danni. E riservandosi di procedere sul fronte penale per truffa. Bossi chiede ai giudici due cose: o il rispetto della scrittura privata. Oppure il suo annullamento, ripristinando così il credito del suo legale vantato nei confronti di via Bellerio di sei milioni di euro. E nella citazione scrive: «La Lega Nord si è resa inadempiente alla scrittura privata del 26 febbraio 2014. Si tenga conto che è notoria la malattia dell’onorevole Bossi e, per usare una parola di moda, l’agibilità politica gli era stata assicurata con il pagamento di 400 mila euro».

“la Repubblica”, 18 agosto 2014

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