26.8.19

Raffaele La Capria sul sentimento dell’amicizia

Raffaele La Capria

La parola amicizia e il sentimento dell’amicizia sono due cose differenti. Io credo che il sentimento sia importante quanto l’amore ma dell’amore si parla fin troppo, dell’amicizia si parla molto meno. Anche perché è difficile parlarne, perché l’amicizia è un sentimento delicato ed esigente, che richiede affinità elettiva ed affetto, ed un’intesa di fondo forte come quella di due alpinisti legati ad una stessa corda.
Poi è difficile parlare di amicizia nei Paesi mediterranei perché nei Paesi mediterranei la parola e il sentimento disinteressato che dovrebbe accompagnarla si presentano in forme ambigue, direi «storicamente» distorte, e quando si dice di qualcuno che è un amico spesso si allude a una complicità che nulla ha a che fare con l’amicizia, quella vera. L’Italia, si sa, è il Paese della raccomandazione, la raccomandazione è la chiave che apre tante porte, e la raccomandazione si serve appunto dell’amicizia. Come si farebbe a raccomandare qualcuno se non si potesse contare sull’amicizia di qualcuno? Tutto il sistema clientelare non è fondato sull’amico, sull’amico dell’amico, e così via, come la catena di sant’Antonio? E la burocrazia non è la figlia legittima di questo sistema, l’apparato di cui si serve? Parlare della parola amicizia ci porta lontano, fin nel territorio della criminalità e della mafia.
Altra cosa, come dicevo, è parlare del sentimento dell’amicizia, che è molto raro, e chi lo ha provato sa che può essere determinante e orientare il corso di una vita. È difficile parlarne, e ora io ne parlo, parlo dei miei amici, dei primi incontri con loro, dei libri letti insieme, nella stessa stanza, per poi scambiarci a caldo i commenti: di Billy Budd, gabbiere di parrocchetto, e il capitano Vere, di Benito Cereno e il capitano Delano, del negro Babo capo dei rivoltosi – furono l’avventura e la fantasia nelle pagine di Herman Melville i luoghi più frequentati, quelli incantati dove nacque la nostra amicizia. E poi il Bildungsroman, un romanzo di formazione, fu lo stare insieme per gli anni che seguirono, tanti, fino ai novanta e più: Franco, Peppino, e Antonio, inseparabili e diversi, ognuno con la sua autonomia, ognuno seguendo la sua strada, Franco il cinema, Peppino il teatro, Antonio la storia e l’epica dello sport.
Ma che cosa fu che ci mantenne vicini per tanti anni, uno sempre in vista dell’altro, a volte insieme per scrivere un film, cosa fu se non quel sentimento raro di cui appunto è difficile parlare, quel piacere intellettuale di scambiare idee pensieri e fantasie, quella «cosa» che chiamiamo amicizia? Non ferma, ma sempre in moto per seguire la nostra naturale mutevolezza, le scoperte, gli amori, i contrasti, i successi, i nuovi libri e le nuove idee.
Sono tutti morti i miei amici, Antonio Ghirelli, Peppino Patroni Griffi, Franco Rosi. Senza di loro non sarei quello che sono.
Mi piacerebbe ricordarli in un libro con un titolo tratto da una terzina dantesca, quella famosa che fa: «Era già l’ora che volge il disio/ ai naviganti e intenerisce il core/ lo dì c’han detto ai dolci amici addio».
Lo intitolerò Ai dolci amici addio, e sarà quello il mio addio. «Dolci», un aggettivo sorprendente che il duro Dante dedica loro. E anche per me più che «cari», essi furono «dolci». Che vuol dire il punto più sensibile del sentimento dell’amicizia.

Corriere della Sera, 25 gennaio 2016

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