Quando Angelo Capodicasa (Baffo), di Joppolo Giancaxio, da segretario regionale siciliano del Pds partecipava alle riunioni che il segretario nazionale Massimo D’Alema (Baffino) convocava con periodicità settimanale, pochi degli altri segretari regionali ebbero modo di ascoltare la sua voce.
Tutti peraltro ne ricordavano il nome e la faccia. Il poveretto, infatti, non riusciva mai ad essere puntuale, anche per la distanza di Agrigento dagli aeroporti. Alle riunioni convocate per le dieci arrivava sistematicamente oltre le 11 e 30 e D’Alema lo prendeva benevolmente in giro. Vedendolo entrare nella sala, annunciava: “Capodicasa è arrivato”.
Risparmiatasi quasi per intero la relazione introduttiva, il Baffo siculo si allontanava alla chetichella subito dopo l'arrivo e andava a visitare la sottostante libreria, assai meglio fornita di quelle di Agrigento o della stessa Palermo. Era tra i più puntuali alla ripresa pomeridiana, ma già prima delle 17 si avviava a prendere l’aereo di ritorno, senza attendere che il Baffino nazionale iniziasse la replica. D’Alema, chiunque stesse parlando, lo interrompeva per annunciare: “Capodicasa se ne è andato”. Insomma gli voleva bene: dicono che si fossero conosciuti in Fgci e che fin da allora l’angelico siciliano accettasse senza far motto gli scherzi da prete rosso del giovane capo.
Sarà anche per questo aneddoto, probabilmente esagerato, che sono stati in pochi a meravigliarsi qualche giorno fa, quando scoprirono il nome di Angelo Capodicasa tra i deputati del Pd assenti al momento del voto sulla costituzionalità dello scudo fiscale. Qualche buontempone si divertì ad inserirne la faccia nel video dedicato agli assenteisti: su youtube, facebook e altre piattaforme il suo bel volto rotondo, paffuto e baffuto di Capodicasa non sfigurava vicino a quelli di Bersani, Franceschini, Fassino, Livia Turco e, naturalmente, D’Alema.
Il suo nome si ritrovava sui giornali anche sabato, tra quelli degli assenti nella votazione finale, e qualcuno già invocava processi sommari per i disertori. Ma Bersani su “l’Unità” di oggi ha ridimensionato l’accaduto: “Grave, ma molti erano all’ospedale”.
Capodicasa in verità non era all'ospedale, ma vi aveva soggiornato per due giorni interi nel wick-end precedente. Sabato 26, dopo avere mangiato tonno fresco, il meschinello si era accasciato a terra. In un primo momento lo avevano portato alla rianimazione dell’Ospedale San Giovanni di Dio ad Agrigento per via della pressione altissima, poi era stato trasferito al reparto malattie infettive.
Dopo due giorni di ricovero e di accertamenti i medici formulavano una diagnosi rassicurante: il tonno poteva essere alterato, forse contaminato da batteri, ma difficilmente c’entrava la nave famigerata che avvelena il “mare nostrum”. Lo rimandarono a casa il giorno stesso, lunedì 28, per curarsi l'intossicazione. Assenza giustificata dunque. Quanto all’eziologia del malessere, alla bassa qualità del pesce (il collinare Capodicasa non sa riconoscerne la freschezza), deve entrarci anche una debolezza di stomaco della vittima. Azzardiamo l'ipotesi che a Capodicasa si è guastato quando capeggiava il governo regionale, tra il 1998 e il 2000, gli stessi anni in cui D’Alema furoreggiava a Palazzo Chigi.
Baffo Capodicasa aveva dovuto scegliere come assessori due figuri che provenivano da paesi non lontani dal suo, due tipi che, pur trafficando sempre nella stessa area politica, cambiavano spesso casacca (Ccd, Cdu, Udeur eccetera), piuttosto litigiosi tra loro.
L’uno era Cuffaro, destinato a prenderne il posto come governatore della Sicilia (ma con il centrodestra), il Totò Vasavasa di Raffadali, campione di mafiosità e, secondo i giudici di primo grado, favoreggiatore delle mafie sanitarie. Nella giunta Capodicasa si occupava di agricoltura e forestazione.
Assessore al territorio e all’ambiente era invece Vincenzo Lo Giudice di Canicattì, il celeberrimo Mangialasagne, amico di tutti gli amici. Diversi anni dopo un giudice di primo grado lo avrebbe condannato a 16 anni per concorso esterno nell’ambito dell’inchiesta Alta Mafia.
Due tipi tosti giacchè, se Cuffaro in segno di sfida per gli accusatori (giornalisti di vaglia come Ruotolo e Gaetano Alessi) ha osato indossare in Tv una coppola, storta, Mangialasagne per significare la sua scelta di vita ha fatto di tutto e di più. E’ notissimo uno spot elettorale in cui il suo volto avanzava in primo piano alle note della colonna sonora de Il Padrino. Di lui è stata pubblicata una comicissima comunicazione telefonica con un amico banchiere avvenuta al tempo del cambio della lira in euro. Voleva cambiati i 500 milioni in contanti che teneva nascosti in soffitta sotto un mattone per le emergenze. Alla preoccupata interrogazione del banchiere “sono sporchi?” aveva risposto “no, solo umidi”.
Più di una volta Capodicasa dovette mediare tra i due, le cui competenze si sfioravano, e anche dopo la fine del suo governo fu coinvolto in scaramucce tra loro a proposito delle immondizie e della loro raccolta. Insomma a combattere con gente così lo stomaco non gli funziona più bene ed anche il sangue deve essersi un po’ guastato.
Per fortuna non gli manca il fegato.
In agosto l’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento era stato oggetto di un sequestro da parte della magistratura: a quanto pare è stato costruito con troppa sabbia senza rispettare principi di statica e norme antisismiche. Per una di quelle curiose vicende di cui è piena l’Italia il sequestro è stato rinviato al 5 ottobre per consentire alla Protezione civile, cui è stato affidato l’onere della verifica, di fare le prove nei diversi reparti, per vedere se è possibile mantenerne in funzione qualcuno. Bertolaso peraltro chiede più tempo, dice che gli accertamenti sono complicati.
Lo strano è che, intanto, il nosocomio continua a funzionare. Ma c’è chi non si fida, e anche per le urgenze preferisce altri ospedali: Licata, Sciacca, Caltanissetta, Palermo addirittura. Capodicasa no. Forse al San Giovanni di Dio ce lo hanno portato quand’era ancora in stato confusionale, ma di certo è stato lui a volerci restare, incurante del pericolo. Che fegato, onorevole Coraggio!
Non ho ancora finito di leggere l'intero articolo, ma voglio fare subito una correzione. Baffino e baffo NON si sono cnosciuti in FGCI. Quando Baffino divenne segretario della FGCI (23 dicembre 1975) Baffo era già nella segreteria della federazione del PCI, resp. organizzazione, e la FGI l'aveva già lasciata da molto tempo. Quindi tra loro NEssun contatto in FGCI.
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