27.1.10

La produzione dell'emergenza.

Le guerre, in primo luogo, ma anche le sciagure di ogni altro tipo, attuali o presentate come imminenti ( terrorismi, banditismi, cataclismi, terremoti, crolli catastrofici e quant’altro), tutto fa brodo per giustificare la sospensione, o almeno l’attenuazione, delle procedure democratiche e delle libertà civili. E’ una regola che vale sempre, perfino quando al governo vi siano gruppi il cui orientamento liberale non lasci dubbi. Figurarsi quando i governi siano come quello dell’Italia d’oggi, d’ispirazione populista e con tentazioni autoritarie!
Un potere siffatto non si accontenta di usare le “emergenze” che si trova a fronteggiare per consolidarsi, togliersi dai piedi gl’intralci, neutralizzare gli oppositori, ma, ad arte, ne crea di nuove, da cui trarre ogni possibile vantaggio. Gli esempi potrebbero essere tanti. Ne farò un paio che giustificano un’ulteriore osservazione.



La maialata
Pompato dalle dichiarazioni di ministri e viceministri, gonfiato dalle Tv (di regime), l’allarme per l’influenza da virus H1N1, la cosiddetta “suina”, definita “pandemia”, è stata già dall’estate l’occasione per un acquisto-capestro dalla società Novartis (“davvero bizzarro” lo ha definito il senatore Ignazio Marino), in virtù di una trattativa privata condotta nel 2004 dall’allora ministro Sirchia (poi condannato in primo grado e indultato per aver intascato farmaceutiche tangenti). Il contratto, stipulato in agosto, garantiva la Novartis da ogni possibile rischio d’impresa, caricando per di più lo Stato delle possibili conseguenze negative per la salute dei cittadini, perfino quando la responsabilità per la mancata conclusione dei test fosse della casa farmaceutica.
Quando in autunno, presi dall’ansia, i cittadini sono andati all’ospedale per vaccinarsi si sono sentiti richiedere il consenso informato perché i vaccini non avevano ancora superato tutti testi previsti per la commercializzazione. I più, alla fine, saggiamente informati anche dai medici di base, hanno scelto di non vaccinarsi.
Conclusione: dei 24 milioni di dosi acquistate dallo Stato ne sono state usate meno di un milione. Lo Stato ha speso ben 184 milioni di euro, contro i 10 che sarebbero bastati per le dosi effettivamente usate.
Su tutto l’affare non manca l’ombra del conflitto d’interessi, solo apparentemente risolto dalla recente nomina a ministro della salute di Ferruccio Fazio. Enrica Giorgetti, moglie del ministro del welfare Sacconi, cui al tempo del contratto era in capo la delega per la salute, è direttrice generale di Farmindustria e, in quanto tale, interessata a promuovere gli interessi delle aziende farmaceutiche.

In prigione
La cosiddetta emergenza carceri dovuta al sovraffollamento (nelle prigioni italiane ci sono anche altre emergenze, che i governativi facilmente dimenticano) non è una novità. Alla fine del 2005 già i penitenziari scoppiavano e i radicali organizzarono a Natale una iniziativa di lotta sul tema cui partecipò anche Napolitano. Poi arrivò l’indulto, che il Parlamento approvò al tempo del governo Prodi, ed ebbe nella congiuntura un effetto positivo di parziale sfollamento.
Il governo Berlusconi avrebbe dovuto da subito scegliere le strategie e produrre gli interventi per evitare un nuovo sovraffollamento: depenalizzazioni, pene alternative, ampliamento delle carceri esistenti, costruzione di nuovi penitenziari. E invece no. Ha fatto il contrario. Ha introdotto una legge che trasforma una condizione (quella di immigrato irregolare) in reato e contribuisce a riempire le prigioni di innocenti. Oggi Alfano proclama in Parlamento lo stato d’emergenza. La proclamazione consente di fare le operazioni che si fanno in guerra o nelle catastrofi. Si centralizzano le decisioni e si eliminano interventi e controlli. Il ministro promette che, senza vincoli, riuscirà a costruire i nuovi reparti e le nuove carceri che servono.

Il comitato d’affari
Anche per le carceri si può ragionevolmente prevedere che le daranno da fare ad amici e ad amici degli amici. La sistematica produzione di emergenze in un contesto di crisi economica accentua uno dei caratteri storici dei governi borghesi, quello di “comitato d’affari” della borghesia. Qui, meglio si direbbe, dei settori più parassitari della borghesia.

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