7.1.10

Luchino Visconti scrive a Charlie Chaplin (l'Unità - 18 dicembre 1952)

Nel 1952 Charlie Chaplin fu condannato per filocomunismo e "attività antiamericane" nel quadro del maccartismo e della "caccia alle streghe" che lo caratterizzava. Non c'erano condanne a morte, ma il clima a Hollywood ricordava quello dei processi staliniani degli stessi anni (il processo a Slanskij, per esempio, in Cecoslovacchia): confessioni, autocritiche, delazioni. Chaplin lasciò gli Usa e si traferì in Svizzera, con la numerosa famiglia. Sul finire dell'anno si ebbe notizia di una sua imminente visita in Italia. Su "l'Unità" il 18 dicembre apparve la lettera aperta di Luchino Visconti, che qui metto a disposizione. (S.L.L.)
Signor Chaplin,
mi permetta di porgerle qui il benvenuto. A nome mio e dei lettori di questo giornale, a nome mio e dei milioni di operai, contadini, intellettuali democratici italiani che mi hanno pregato di dirle tutto il loro affetto, tutta la loro gratitudine per la poesia che lei ha donato agli uomini semplici del mondo, a qualunque latitudine essi vivano, a qualunque razza essi appartengano, purchè amanti, come lei, della libertà e della dignità umana.
I lettori di questo giornale, signor Chaplin, la conoscono da molti anni, da prima ancora che una guerra sanguinosa, provocata dalla follia dei nuovi barbari, li costringesse a scendere nella lotta che i popoli d’ogni paese – e anche di quello ove lei vive, signor Chaplin, non vofliano dimenticarlo – hanno condotto contro i nemici dell’umanità. Allora i lavoratori italiani, gli antifascisti italiani, di qualunque fede politica o religiosa, seppero di averlo alleato, di averlo schierato dalla loro parte. E certo fu quello un aiuto, signor Claplin, che essi ebbero caro.
Da allora, quando, ricacciato il nemico al di là delle frontiere, riconquistata quella libertà per la quali molti dettero la vita, nelle carceri fasciste, sulle montagne, nei villaggi, nelle città, dovunque si poteva colpire l’assassino, da allora, signor Chaplin, gli operai, i contadini e tutti i democratici italiani hanno seguito con rinnovata ammirazione e commozione la sua opera; ed oggi lei è popolare come pochi artisti lo sono, è atteso come pochissimi altri artisti lo sarebbero. Forse, nelle nostre campagne, nel nostro sud – un sud, signor Chaplin, in tanto simile a quello del paese nel quale lei è vissuto per tanti anni – tra coloro che vivono ancora nelle grotte dell’appennino, i famosi «sassi» di Matera dei quali anche lei avrà sentito parlare, tra coloro che ignorano tutto della vita moderna, della vita civile, che non hanno neppure la possibilità di leggere un giornale c’è qualcuno che non lo ha mai visto, che non conosce la figura derelitta e commovente di Charlot, l’omino dalla bombetta e dal bastoncino flessibile.
Anche per questi uomini dimenticati, anche per tutti coloro che un ingiusto ordine sociale non consente entrino nella vita, godano dei diritti che con la nascita la creatura umana s’acquista; per tutti costoro mi permetta, signor Chaplin, di porgerle il benvenuto, di dirle la speranza e la fiducia che tutti gli umili, gli oppressi, gli uomini semplici hanno in lei e nella sua arte, nel significato della sua arte.
Essi vorrebbero certamente che lei sapesse con quanto sacrificio e con quanto dolore trascorrono i giorni non lieti della loro vita, ma anche con quanta decisione e con quanta fermezza essi combattono, istante per istante, per un avvenire migliore, più giusto e più dignitoso. Essi, che sanno come lei, signor Chaplin, sia sempre stato dalla loro parte, ogni volta che c’era da scegliere tra la giustizia e il quieto vivere, tra la libertà e l’oppressione, vorrebbero che io le esprimessi con le parole più appropriate il loro proposito di esserle ancora a fianco, tutte le volte che se ne porrà la necessità, in questa onesta battaglia; e come lei possa contare, concretamente contare, sulla più completa solidarietà, ove essa le occorresse.
Questo i lettori dell’Unità volevano, signor Chaplin, che io le dicessi. Ed io mi auguro di non essermi lasciato trascinare a dire nulla di meno o di diverso da quanto essi mi hanno chiesto. Per questo, a loro nome, mi permetto ancora di rivolgerle un fraterno saluto, nella speranza e con l’augurio che lei porti con sè un buon ricordo dell’Italia e degli italiani.

Luchino Visconti

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