1.1.10

Parole e musica. I libretti d'opera (e le canzonette).


Ho notato che nell'indice degli autori del Dizionario dell'opera curato da Pietro Gelli ed edito da Baldini e Castoldi sono indicati soltanto i musicisti. Ho constatato che in più di un caso nelle locandine degli spettacoli melodrammatici non si fa menzione dell'autore del testo letterario. In un ritaglio da "il manifesto" del 10 gennaio 1982 trovo ora la recensione di Attilio Lolini a un corposo volume dello studioso inglese PatriK J. Smith dal titolo La decima musa, dedicato ai libretti d'opera e tradotto da Lorenzo Maggini.
Il libro, pubblicato in quell'anno ormai lontano da Sansoni,  offre tuttora qualche spunto di riflessione sulla materia. Da quel che ne dice Lolini il libro dovrebbe avere molti meriti, tra cui quello di permettere, senza nocumento per la scientificità, una lettura facile e perfino "appassionante". Poi ci sarebbero alcune azzeccate scelte critiche controcorrente: la "scoperta" di Busenello, l'autore de L'incoronazione di Poppea attribuita a Monteverdi, considerato da Smith il primo vero librettista; il ridimensionamento di un Lorenzo Da Ponte non sempre originale; la rivalutazione di Zola librettista. Infine va ascritta a merito la generale riconsiderazione del ruolo del librettista, che non è per Smith "un semplice poeta", giacchè in una grande parte dei casi era lui a fornire "l'impulso originale della composizione", a creare "quel nodo drammatico intorno al quale veniva costruito tutto il lavoro".
Se ho ben inteso credo che lo studioso inglese e il suo recensore italiano siano d'accordo e abbiano ragione su un punto chiave: il peso dell'autore del testo nella costruzione del melodramma varia nel tempo e andrebbe determinato caso per caso. E credo che Lolini abbia ragione anche contro Smith, quando lascia intendere che c'è anche una questione di equilibri e di feeling.
L'esempio che propone, quello di Piave e Boito librettisti di Verdi, mi pare probante. Boito è geniale e raffinatissimo, ma, ciò nonostante (o forse proprio per questo), non intende che minimamente i segreti del genio drammaturgico (oltre che musicale) verdiano. Per la sua maggiore corrispondenza con l'intenzione artistica complessiva del musicista il libretto del Rigoletto è "superiore" a quello del Falstaff (e il Macbeth ridotto da Piave all'Otello boitiano); o, aggiungeremmo noi, La Traviata è migliore di tutti i boiti melodrammatici possibili e immaginabili.
E' una storia che, cambiando epoca e genere musicale, ricorda, mutatis mutandis, il rapporto di Battisti con i suoi parolieri, con Mogol, l'artigianale e "servile" ragionier Rapetti che si fa strumento del musicista cantante, o con Panella, più autonomo e più "poeta", ma meno capace di assecondarne la vena romantico-decadente.

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