6.1.10

Quando Craxi si beveva Milano (Un articolo da "La stampa" di Michele Brambilla)

Una bella rievocazione della Milano craxizzata degli anni Ottanta da "La Stampa" dello scorso 3 gennaio. Forse anche una spiegazione del "craxismo di complemento" degli ex comunisti alla Fassino. Chiunque abbia avuto in questi anni gli occhi per vedere se ne è accorto. La "mutazione antropologica" che l'articolo racconta e che fu denunciata per la prima volta da Enrico Berlinguer ha riguardato ampiamente quegli ex comunisti che amano chiamarsi la "classe dirigente" del centrosinistra.


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La svolta del Psi: dalla sobrietà antica di Nenni all’ostentazione del potere

Michele Brambilla


Basilio Rizzo, della Lista Fo, è ormai rimasto uno dei pochi politici a dire, senza timore di apparire spietato, che Milano a Craxi non deve dedicare alcunché. E non tanto per la corruzione che - Craxi regnante - prosperò, e che Rizzo - consigliere comunale dal 1983 - già da allora denunciò. Quanto perché «dopo di lui la parola socialismo non è più identificata con le lotte dei lavoratori ma con una stagione di pacchiana grandeur». Con lui il socialismo si identifica con quella “Milano da bere” che era sinonimo di soldi da spendere - spiega Rizzo - Craxi ha tradito non solo la storia del Psi ma anche i comportamenti dei suoi militanti, il loro stile di vita. Con lui i socialisti hanno subìto una mutazione antropologica: dalla sobrietà di un Nenni all’ostentazione del lusso e del potere».

«Milano da bere» era un fortunato spot pubblicitario della Ramazzotti, datato 1987. Voleva indicare una città gioiosa, ottimista, desiderosa di uscire dalle nebbie, le luci gialle, i cortei e le violenze dei cupi anni Settanta. Finalmente tornava la vita, la voglia di divertirsi, di produrre, di consumare e di crescere. Fecero anche dei film, su quel tempo da Bengodi, come Sotto il vestito niente e Via Montenapoleone di Carlo Vanzina. Soldi, champagne, moda, modelle, sesso. Ma fu vera gloria? L’ideatore di quello spot, Marco Mignani, mai avrebbe immaginato che cinque anni dopo la «Milano da bere» sarebbe stata chiamata «Tangentopoli», un neologismo inventato all’epoca dell’inchiesta Mani Pulite. «A bere Milano - ha scritto Massimo Fini - erano solo i socialisti».

Il Psi governava la città dal primo dopoguerra. Ma fu negli anni Ottanta che si verificò, sotto la guida di Craxi, la fortunata congiunzione astrale che consentì al Psi di trovarsi sempre dalla parte di chi governa: a Roma con la Dc e a Milano con il Pci. Senza più intralci, il partito abbandonò la falce e martello per il garofano, la vocazione operaista per quella modernizzatrice e borghese. Enzo Biagi capì che la «mutazione antropologica» era in corso già nel 1983, quando Craxi diventò presidente del Consiglio: «È l’ora di Craxi: di sicuro, di strada ne è stata fatta dagli scamiciati di Pelizza da Volpedo alle cravatte Regimental della giovane guardia Psi». A Milano ricordano una battuta che testimonia quel cambiamento. Viene attribuita a Matteo Carriera, un ex autista del sindaco Carlo Tognoli che diventò presidente dell’Eca Ipab, uno degli storici istituti di assistenza milanesi: «Ora non mangio più alla mensa ma al ristorante».

E la «Milano da bere» socialista aveva i suoi, di ristoranti, quasi tutti concentrati fra Brera e la confinante zona-Corriere. Il Matarel di via Mantegazza Solera, la Trattoria dell’Angolo in via Fiori Chiari, il Garibaldi di via Monte Grappa. Era la zona dove già negli anni Sessanta si radunavano i socialisti di «fascia alta», intellettuali e imprenditori: al bar Jamaica di via Brera, storico locale degli artisti, e al club Turati del giovane Carlo Ripa di Meana. Ma negli Anni Ottanta l’egemonia sulla città diventò totale. Con Craxi regnante, al tempo dei grandi congressi con le scenografie dell’architetto Filippo Panseca, il Psi godeva dell’appoggio di tutti quelli che a Milano contavano. Del mondo della moda: Nicola Trussardi («Facevo l’imprenditore a Milano e a Milano governavano i socialisti, gli interlocutori erano loro», dirà in un’intervista del 1993, in piena Mani Pulite), Santo Versace, Krizia. Del mondo della cultura e della scienza: per intenderci, da Giorgio Strehler a Umberto Veronesi; dal Paolo Grassi del Piccolo alla Scala e alla Rai. Del mondo dello spettacolo: da Milva a Caterina Caselli a Ornella Vanoni. «Ridateci il ciccione - ha detto la Vanoni in un’intervista a “La Stampa” nel 2007 - che ci ha fatto vivere gli anni Ottanta come se fossimo ricchi e felici».

La dolce vita si rifletteva nei comportamenti privati di politici e professionisti non proprio conformi allo stile di un tradizionale «compagno». Come l’assessore Walter Armanini, che condannato in via definitiva riparò all’estero con la modella Demetra Hampton (dalle canoniche misure: 90-60-90), l’attrice che interpretò sugli schermi la Valentina di Crepax e che lui, Armanini, chiamava «scimmietta». O come l’architetto Silvano Larini, raffinato bon vivant che per i magistrati era il grande raccoglitore di tangenti. Quando, al processo Cusani, Di Pietro gli chiese in quale orario si svolse una certa cena-con-mazzetta, Larini rispose: «Per me ora di cena è all’uscita dalla Scala». Dall’abitazione di via Foppa 5 al superattico di viale Coni Zugna (dove custodiva i cimeli garibaldini) all’ufficio di piazza Duomo 19, Craxi tutto dominava.

Fu solo un’orgia di potere, come dicono i detrattori? È probabile che no, non fu solo quello. Ma è ancora forte il ricordo di quando la «Milano da bere» si svegliò con le manette ai polsi di uno dei potenti socialisti del tempo, Mario Chiesa, beccato con le mani nelle banconote. «È solo un mariuolo», cercò di tagliere corto Craxi. Ma i tempi erano cambiati. Per una magistratura e una stampa che prima non sempre avevano voluto vedere; per quegli imprenditori che, stanchi di pagare, andarono in pellegrinaggio da Di Pietro; per un clima politico generale che stava cambiando, e forse ancor di più per un destino che è sempre lì a ricordarci che, per tutti, passa la scena di questo mondo.

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