6.2.10

Fu un amore amici. Un frammento lirico di Mario Tobino sulla Resistenza


«I partigiani possono essere ricchi?»«Quelli del paese
no, sono comunisti. Quelli forestieri non lo so.»
(Mario Tobino, Il clandestino)

Si sono svolte in gennaio a Viareggio, sua città natale, le celebrazioni del centenario della nascita di Mario Tobino (16 gennaio 1910). Morì ultraottantenne l’11 dicembre del 1991 ad Agrigento, dove era andato a ritirare il premio Pirandello.
Di Mario Tobino ho letto poco, Il clandestino, la biografia di Dante e qualche pagina sparsa. Più per caso che per scelta.
Il romanzo sulla Resistenza mi piacque davvero. La corale epicità che lo contraddistingue, la varia tipologia umana e sociale che congiunge, il sentimento della giovinezza vitale e insidiata che trasmette mi lasciarono un’emozione forte, benché mi siano rimasti impressi solo pochissimi personaggi e il nome (fittizio) della loro città, Medusa. In realtà Viareggio. 
Ricordo da allora, a memoria, la poesia che come epigrafe apre il libro. A me sembra una delle liriche più sincere e forti che siano state composte sulla Resistenza, o meglio sul sentimento della Resistenza; e l’ho usata a volte per rammentare a me stesso e ad alcune delle persone care il sentimento del Sessantotto.
Non ho letto quelle che per i più sono le opere più importanti di Tobino. Credo che lo farò.
Cercando qua e là nella rete ho notato il tentativo di annettersi Tobino da parte dei nemici della legge Basaglia. Non c’è dubbio che lo psichiatra Tobino, che con i matti trascorse quarant’anni, lavorando all’interno di un ospedale psichiatrico, si era sempre posto in una prospettiva di umanizzazione del manicomio e non di chiusura. Pur essendo di formazione neurologica aveva sempre tenuto con i suoi cari “malati” un rapporto dialogico (chi gli fu vicino professionalmente dice “quasi psicanalitico”) e aveva contrastato più che poteva i violenti strumenti di controllo che molti usavano contro i “matti”, inclusi gli psicofarmaci che gli sembravano a volte peggio di una camicia di forza. Era però dell’idea che la malattia psichica esistesse. Della legge 180, tuttavia, scrisse che “ha buoni principi” e i suoi dubbi riguardavano semmai l’applicazione in un contesto come quello italiano.
Il brano che segue sono l’epigrafe de Il clandestino di cui ho già detto.

Fu un amore amici 
Fu un amore amici
che doveva finire;
credemmo che gli uomini fossero santi,
i cattivi uccisi da noi,
credemmo diventasse tutta festa e perdono,
le piante stormissero fanfare di verde,
la morte premio che brilla
come sul petto del bambino
la medaglia alle scuole elementari.
Con pena, con lunga ritrosia,
ci ricredemmo.
Rimane in noi il giglio di quell'amore.

Il clandestino, Oscar Mondadori, 2001

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