Nel trentennale della “rivoluzione dei garofani”, il 25 aprile 2004, lo scrittore italiano Antonio Tabucchi, che nel fatidico giorno del 1974 era nell’amatissima Lisbona, rilasciò l’intervista che qui propongo ad Anna Maria Giordano, dell’agenzia indipendente Lettera 22.
Da una radio le note di Grandola, canzone bandita dal regime salazarista, fanno scoccare a Lisbona nella notte tra il 24 e il 25 aprile del 1974 la Rivoluzione dei Garofani. E’ il segnale scelto dal Movimento delle Forze Armate per l’avvio delle operazioni che libereranno il paese dalla dittatura più antica d’Europa. A vivere con trepidazione quelle ore c’è anche un amico di sempre del Portogallo, un suo osservatore e interprete d’eccezione, lo scrittore Antonio Tabucchi.
“Il 25 aprile del ‘74 é stato il giorno in cui il fascismo é caduto e in cui i capitani d’aprile hanno espugnato la caserma in cui si era rifugiato Marcelo Caetano, l’erede di Antonio Salazar. Io ero a casa mia e ho seguito al telefono gli avvenimenti con gli amici che stavano a Lisbona. Il giorno dopo è arrivato il poeta Alessandro Nilo, mio grande amico, che era in Svizzera e non poteva rientrare in Portogallo perché l’aeroporto era chiuso. Mi ricordo un giorno di grande emozione perchè alla tv hanno fatto vedere i prigionieri che uscivano dal carcere con Alessandro che piangeva e quasi abbracciava il televisore”.
Il movimento dei capitani occupa Lisbona e altre città. L’assedio di Caetano continua fino al pomeriggio del 25 quando il dittatore consegna le dimissioni nelle mani del generale Spinola. E la folla può finalmente esultare e fissare per sempre nella memoria collettiva quel momento infilando garofani rossi nei fucili dei militari. Il giorno dopo tornano gli esiliati, socialisti e comunisti, che ricostruiranno il paese. Pensa Tabucchi, che quello fu un trionfo per la sinistra?
“Più che di sinistra io parlerei di democrazia perché è saltato il tappo di un totalitarismo durato 47 anni. C’è stato uno scoppio di libertà in tutti i sensi. Quella é stata una vittoria della democrazia che a un certo punto è diventata quasi ebbra. C’è stata un’ubriacatura collettiva, una felicità enorme, con manifestazioni che riguardavano non solo l’aspetto politico ma anche quello sociale, antropologico, artistico. Era un tappo che aveva coperto l’essere umano per 47 anni e quindi c’era anche una grande allegria, una gran gioia e una gran vitalità”.
Ma divenne un punto di riferimento almeno per una parte della sinistra. Non si guardò con attenzione a quella rivoluzione?
“Credo che poi a un certo punto la sinistra europea sia caduta in una sorta di equivoco perché ha pensato che quella potesse diventare una sorta di isola del socialismo. Un socialismo diverso con tinte terzomondiste, in un luogo dell’Europa in cui era impossibile che accadesse. Per fortuna questo poi non è successo. La giunta militare ha nominato un governo provvisorio che ha finalmente indetto le prime elezioni libere”.
Qual è secondo lei l’eredità lasciata dalla rivoluzione e che memoria se ne conserva?
“Un’eredità sopravvive sicuramente. Oggi il Portogallo ha una democrazia parlamentare, un’eredità politico-giuridica evidente. Ed è un paese che vive in Europa. Però la storia si dimentica in fretta. Basta la mancanza di trasmissione da parte di una sola generazione. Io vedo che quelli che cercano di mantenere viva la memoria di quegli anni hanno difficoltà nei confronti di una perdita di memoria molto rapida nella situazione politica attuale in cui si cerca di far dimenticare quel 25 aprile. I 25 aprile si dimenticano o si travisano anche a casa nostra”.
Includerebbe il 25 aprile 1974 tra le giornate che hanno cambiato la storia del continente, un luogo della memoria politica e culturale a cui tornare?
“Certamente. Ha cambiato radicalmente il volto di un paese. Il Portogallo era uno spazio che l’Europa aveva dimenticato e che a sua volta aveva dimenticato l’Europa. Gli aveva girato le spalle per secoli. Dal periodo delle scoperte geografiche guardava verso l’Oceano e la sua storia era segnata dall’Africa, dal Brasile, dalle Indie. Poi si consuma la decadenza di questa grande potenza coloniale e la situazione politica fa sì che questo girar le spalle abbia anche un connotato fortemente politico. La rivoluzione dei garofani ha come girato il perno su cui si appoggia il paese e il paese ha fatto un giro a 360 gradi e si è messo di nuovo a guardare l’Europa. E noi adesso lo stiamo guardando. Siamo faccia a faccia”.
La Rivoluzione dei Garofani è anche la fine di una politica coloniale cieca e sanguinosa...
“E’ stata l’ultima decolonizzazione e può costituire una chiave di interpretazione per ridiscutere la storia coloniale dell’Europa, le nostre colpe, non solo portoghesi ma collettive. Una riflessione che l’Europa deve necessariamente fare e forse sta già facendo”.
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