5.4.10

Le mani sulla cultura. Postiglione sulla gestione privatistica dei musei (da "Terra!").

Sul quotidiano “Terra!” un articolo di Alessio Postiglione traccia un bilancio della situazione dei musei italiani dopo l’ingresso nella gestione dei privati. Eccone un estratto.

Certosa di San Martino - Napoli

Napoli, siamo nel bookshop del museo della Certosa di San Martino, gestito in concessione da Electa-Mondadori. La legge prevede che la libreria (concessionaria) debba vendere almeno il 50% di titoli di altri editori; ma qui non è così. I libri riconducibili alla Mondadori saranno, a occhio, oltre l’80% del materiale in mostra. Alla ricerca di spiegazioni, le sorridenti impiegate del bookshop oppongono un mutismo quasi omertoso.

Ma come vengono gestiti i beni culturali, oggi, in Italia, e chi controlla i concessionari?

Dalla legge Ronchey del ’93 si è fatto largo un approccio manageriale alla gestione della cultura che ha previsto l’ingresso dei privati e l’istituzione di “società pubbliche” che organizzassero il settore con l’efficienza dei privati. L’ultimo step di questa rivoluzione è il “federalismo del patrimonio”, grazie al quale gli ex beni pubblici dello Stato vengono gestiti con gli strumenti privatistici della “programmazione negoziata” da privati e Regioni.

Secondo l’ultima relazione dell’Antitrust del presidente Antonio Catricalà, il nuovo mercato istituito dal legislatore ha fallito miseramente: c’è una collusione fra privati e società pubbliche che non ha apportato benefici in termini di efficienza, e si delineano le distorsioni tipiche degli oligopoli.

«Otto società concessionarie gestiscono in Italia il 90% dei servizi - sostiene la relazione di Catricalà - una è addirittura presente in 24 musei con ricavi che si avvicinano al 24% del totale. Il 30% delle concessioni è riferibile a un unico gruppo imprenditoriale». Il primo gruppo è proprio l’Electa Mondadori, di Marina Berlusconi; l’altro soggetto dominante è la Pierreci, del gruppo Legacoop. Il mercato sarebbe spartito con logiche bipartisan. Terzo incomodo è Civita, un’associazione partecipata da privati ed enti pubblici che nel suo stesso organigramma sembra rispondere a logiche di spartizione consensuale. Di Civita fanno parte Province, Casse di risparmio, gruppi come Impregilo, Cremonini, Acea di Caltagirone, Berlusconi (tramite Mediaset, Medusa e Banca Mediolanum), Telecom, Rcs, gli armatori d’Amico e finanche Anas e Fs; nell’organigramma figurano il sottosegretario Letta, l’ex ministro Maccanico e il presidente di Bnl Luigi Abete.

La relazione dell’Antitrust dipinge un caso di privatizzazioni senza liberalizzazioni: si creano continuamente situazioni “di monopolio o di ingiustificato vantaggio competitivo a favore di imprese che, grazie alla proprietà pubblica delle stesse potrebbero essere avvantaggiate nell’assegnazione dei servizi aggiuntivi in musei e siti anch’essi di proprietà pubblica”.

La creazione di società miste è l’escamotage attraverso il quale si cooptano i privati e si procede ad affidare i servizi senza bandire alcun pubblico incanto. Il caso campano della Scabec è eloquente e potrebbe spiegarci perché la Regione non controlli l’effettiva organizzazione del bookshop Electa. Regione ed Electa, infatti, non sono regolatore e regolato, ma soci della stessa Scabec dove, oltre al 51% di proprietà della Regione, figurano la stessa Electa e la Pierreci.

Quando Electa e Pierreci non occupano “il mercato” tramite Scabec - allorquando, cioè, lo Stato non appalta direttamente (anche) a se stesso la gara - comunque vincono il bando sotto forma di Ati (associazione temporanea d’imprese): Electa, Pierreci e Civita lavorano insieme nei principali musei campani, come Capodimonte, San Martino, Sant’Elmo e l’Archeologico di Napoli.

Due anni fa il presidente Napolitano inaugurò personalmente il Museo Archeologico dei Campi Flegrei presso il castello di Baia, insieme a Bassolino: sarebbe dovuto essere il fiore all’occhiello della gestione Scabec-Regione Campania, a seguito dell’accordo di programma firmato pochi mesi prima da Bassolino e Bondi. Oggi, a distanza di due anni, verifichiamo personalmente la situazione: cinquanta stanze su cinquantadue sono chiuse, nel castello non c’è l’allaccio elettrico e non c’è un piano di sicurezza omologato.

Ma perché lo Stato, dopo aver “liberalizzato” i mercati, esce dalla porta e vi rientra dalla finestra attraverso le spa? Le Spa statali rappresentano un’occasione di spesa che può servire a consolidare il potere del politico di turno, al di fuori dei controlli ai quali sono sottoposti gli organismi di diritto pubblico. Nelle spa pubbliche si fanno infornate di assunzioni senza concorso, per gli amici degli amici e, qualora il meccanismo delle assunzioni sia esplicitamente bloccato dalla legge costitutiva della società, il meccanismo delle consulenze è comunque assolutamente incontrollabile.

A peggiorare la situazione è intervenuta, dal 2008, la nomina del governo a Direttore generale dei musei italiani del Cavalier Mario Resca, ancora attualmente legato, a vario titolo, ad aziende in conflitto d’interesse con la sua carica pubblica, come Eni, McDonald’s, Fiat e, ancora una volta, Mondadori, per la quale è consigliere.

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